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Omaggio al mare Camminando fra le barche in secca faccio amicizia con Fathi un pescatore che parla un po’ di italiano perché è stato due anni a lavorare a Napoli dove vive il fratello. Mi racconta un po’ della sua esperienza italiana e delle maree di Kerkennah e poi ci invita ad andare al suo villaggio Ouled Hacen dove nel pomeriggio ci sarà una festa di mariage (matrimonio) che è articolata su più giorni, oggi ci sarà la festa in mare con le barche. Facciamo un giro nel surreale mare senz’acqua della baia di Sidi Frej e poi andiamo sull’altro lato dell’Isola a Ouled Kacem dove abbiamo appuntamento con Fathi per le cinque e mezzo, quando con il risalire della marea le barche potranno prendere il largo. Arriviamo in ritardo all’appuntamento ma giusto in tempo per vedere l’arrivo del corteo nuziale con gli sbandieratori e poi prendiamo il largo con le feluche. Fathi ci tiene tanto, ci stava aspettando e ci fa salire sulla barca più importante, quella che porta “il folklore” un tamburo e una trombetta. C’è il futuro sposo che è un po’ malconcio perché come mi spiega Fathi ha fatto un incidente e s’è “schasciat a’gamb” mentre la sposa resterà in casa fino a domenica giorno della cerimona finale. Tutto il villaggio partecipa alla festa salendo sulle tante imbarcazioni vivacemente imbandierate. Prendiamo il largo, il vento è teso e le vele latine spingono le barche velocemente, è una specie di danza con gli scafi che si avvicinano e si allontanano come per sfidarsi fra urla divertite e scherzosi gesti di sfida degli equipaggi. I drappi colorati sono annodati su una cimetta che va dalla testa dell’albero alla poppa dove è legata a una bottiglia di plastica piena d’acqua che ogni tanto viene lanciata verso le altre barche o nel vento sventolando mille colori. È un’esplosione di colori e suoni con il tamburo e la trombetta che non hanno mai tregua. C’è una ritualità atavica e pagana in questa cerimonia, un omaggio al mare che qui più che mai è il Dio padrone, i ritmi sono sempre più frenetici e gioiosi mentre sulle barche si svuotano veloci lattine di birra e altri veleni liquidi. Si naviga una ventina di minuti velocemente perché queste barche eleganti viaggiano assai rapide, poi le mettono prua al vento e ci si ferma per fare il bagno a largo dove ci sono due tre metri di profondità e si possono fare i tuffi e nuotare. In tanti si tuffano uomini donne e bimbi è una festa di tutti, l’acqua in realtà non è un granché, soprattutto se paragonata a quella Elbana, ma la festa è bellissima e soprattutto è vera, ad eccezione di noi e di una donna inglese, è tutta gente del villaggio. Si rientra in un clima sempre più eccitato, fra canti tuffi e abbordaggi. La festa prosegue a terra, ci intruppiamo nel corteo che tra strombazzate tamburi e sbandieramenti attraversa il paese fino a raggiungere la casa della sposa, minuscola con gli occhi da bimba e velata di bianco, sembra la Madonna data in sposa a Giuseppe. È ormai sera quando lasciamo la festa che durerà fino alle cinque di mattina e ritorniamo a Sidj Frej. |
Monthagosto 2008
Il mare senz’acqua Facciamo il primo bagno tunisino, il mare di Kerkennah non a nulla a che vedere con quello Elbano, è un bassofondo infinito e pantanoso, ricco di alghe, spugne e granchi di sabbia, è un mare caldo e salatissimo lo si sente dal sapore e lo si vede dalla linea di galleggiamento delle feluche che sembrano volare sull’acqua. Il bassofondale fa si che il paesaggio cambi completamente con la marea, quando il mare si ritira la riva diventa un’infinita distesa di sabbia e fango e le barche rimangono in secca insieme alle ancore. Nonostante questa zona sia la più turistica dell’Arcipelago è un posto estremamente tranquillo, i pochi turisti arrivano per lo più dalla vicina Sfax e passano il tempo fra il mare e i teloni montati sulla spiaggia dove sono sempre accesi i bracieri di latta per cucinare. C’è un’atmosfera tipicamente mediterranea, più che l’Elba mi ricorda Ponza ma più tranquilla, il tramonto è il momento più suggestivo con il sole gigante che si immerge nella laguna infuocandola. |
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Ripulendo il computer da una memoria ormai troppo piena ho trovato questo appunto scritto la sera del 28 gennaio 2007 di ritorno da una bella giornata passata nella valle di Pomonte.
Il sunto di due giornate per me importanti
È uno dei tanti articolini scritti e mai pubblicati con cui da anni intaso quaderni e pc.
Questo lo voglio pubblicare anche per ringraziare le numerose persone che parteciparono, scusandomi con chi non è citato nell’elenco che mi ricordo incompleto.
Sabato 27 e Domenica 28 Gennaio 2007
“AH Poltronia ” detto campese che certifica che ci si sveglia sempre troppo tardi.
(ma se ci si sveglia guai)
Volevo ringraziare i bimbi e i loro genitori per la partecipazione alla seconda uscita dell’Isola dei Bimbi e ai numerosi volontari che hanno partecipato alla pulizia del Sentiero che porta al rudere della chiesa di San Biagio nella valle di Pomonte.
Sono state due giornate importanti e gratificanti per noi del Viottolo, la prima vera uscita dell’Isola dei Bimbi è stata un grande successo, come la pulizia del sentiero che conduce al paese abbandonato di San Biagio che abbiamo riaperto grazie ad una quarantina di volontari che puntuali si sono ritrovati a Pomonte in mattinata armati di pennate, falci, zappe e picconi per ripulire il sentiero. Vista la grande adesione abbiamo deciso di dividerci in due squadre ed abbiamo ripulito anche il sentiero di collegamento dalla valle dei Mori al Fosso della Cerchiaia.
L’immagine “epica” di due code colorate che risalivano e ripulivano i viottoli nei due bracci della valle.
Mi sono sentito orgoglioso della gente della mia Isola che riapre un sentiero dimenticato per riappropriarsi della sua terra coi fatti, senza tante parole, zappa, pennato e via, vivendo la valle come l’angolo bello del giardino di casa.
Perché per noi Isolani lo scoglio è una casa comune, i pappalagi continentali con i loro sermoni di proprietà e profitto hanno intaccato ma solo in superficie l’animo Isolano, lo zoccolo duro sale la valle mentre l’impalagiti/e strusciano le vie asfaltate delle città continentali piene di cose inutili da compra’. E mi si figuravano nella mente le epiche gesta dei Campesi e dei Marcianesi che nel 1553 vennero in soccorso delle genti di San Biagio e sconfissero gli uomini di Dragut nella valle dei Mori che prende il nome proprio da questa storica battaglia.
Gli uomini di Dragut erano abili soldati, avevano distrutto grandi città costiere della Francia e dell’Italia, si erano spinti fino a Roma ma gli Isolani uniti sconfissero i Mori che dettero fuoco a San Biagio.
La storia mi viene raccontata 454 anni più tardi da tre arzilli signori che hanno passato gran parte della loro vita nella Valle e ora si godono il sole caldo di questo gennaio su una panchina di Pomonte.
La storia della epica battaglia di San Biagio viene raccontata con grande intensità come se il fatto fosse successo poco prima di Capodanno.
“…Dopo aver distrutto Grassera ed attaccato gran parte dei paesi Elbani, alcune navi degli uomini di Dragut raggiunsero la costa di Pomonte per attaccare il paese di San Biagio, che dominava dall’alto la Valle Pomontinca.
I mori non cercavano tesori, ma omini, donne e bambini da vendere ai mercati degli schiavi di Tunisi e Algeri.
La gente di San Biagio combatté con grande coraggio e mentre si preparavano all’impari battaglia, intuita la malaparata vennero mandati dei ragazzi a chiedere rinforzi ai Marcianesi e ai Campesi che si mobilitarono e vennero in soccorso dei fratelli Isolani (perché noialtri avemo il gusto di aiutassi solo quando siamo nella merda).
I Marcianesi arivonno che San Biagio bruciava e la gente sopravissuta era già in catene, i Campesi arrivonno dopo e scesero giù dal Cenno urlando.
I mori furono attaccati nella valle e la battaglia fu tremenda, ci fu tanto sangue che l’acqua del fosso diventò rossa fino al mare. Gli assalitori furono tutti uccisi e i prigionieri liberati, le navi dei pirati salparono.
Fu una grande vittoria, ma il paese era stato distrutto e fu abbandonato per sempre e i pochi sopravvissuti si trasferirono e Marciana”.
Domenica la valle ha rivisto un’alleanza vincente unita per liberare i resti del paese dimenticato dalla macchia. Un esercito colorato e pacifico di bimbi, donne e uomini accomunati dalla volontà di riappropriarsi di qualcosa di molto importante: la propria storia e senza cadere nell’enfasi la propria identità.
Non vorrei banalizzare la giornata al grido di uniti si vince, però ritengo giusto dare valore al fatto prima di tutto pratico ma anche simbolico di questa splendida domenica.
Troppo spesso si parla degli Elbani come di una sottospecie di uomo, che vive in funzione dell’ampliamento, cemento, appartamento. Penso si debba invece dare voce al “vero” popolo Elbano, quello dei fatti positivi. E dentro il rudere della chiesa paragonavo questa banda del pennato con gli incravattati all’incoronazione di Mario Tozzi nuovo presidente del parco, tutti felici, tutti applaudenti, tutti o quasi lontani dal territorio.
Sono stati due eventi positivi ma agli antipodi, di spessore diverso, uno silenzioso ma di sostanza, l’altro ufficiale e ricco di paroloni ma con i protagonisti principali pronti a lasciare lo scoglio appena finita la recita.
Il punto è questo, se uniamo queste due “fazioni” la Nostra Isola è destinata ad un grande futuro altrimenti sarà dura, noi comunque continueremo imperterriti come sempre convinti delle nostre idee.
Penna e Pennato
1) Umberto Segnini
2) Stefano Luzzetti
3) Roberto Miliani
4) Marco Segnini
5) Fausto Carpinacci
6) Pietro Mazzei
7) Sergio Galli
8) Silvana Mari
9) Daniele Testi
10) Silvia Caffieri
11) Maurizio Testa
12) Davide Pancani (11 Anni)
13) Patrizia Pedace
14) Alberto Batignani
15) Valentina Ortaggi
16) Patrizia Bernini
17) Francesca Bernini (11anni)
18) Gian Lorenzo Bernini (7 anni)
19) Mariolina Facchetti
20) Ugo Gamba
21) Franco Giusti
22) Franco Galassi
23) Ferdinando Montauti
24) Francesca Paolini
25) Sabrina Melas
26) Simona Pieruzzini
27) Deborah Colombo
28) Stefano Martorella
29) Elisa Berti
30) Daniele Zuccotti
31) Sabrina Gentili
32) Pierangelo Nelli
33) Federico Regini
34) Attilio Gavassa
35) Francesco Bonanno
36) Nicoletta Allori
37) Rebecca Allori
38) Natalino Giulianetti
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Da Isola a Jazera Arriviamo a Sfax all’una e mezzo, l’ultimo traghetto è partito da un’ora, ma non è un grosso problema perché il prossimo è alle tre e mezzo. Aspettiamo sul porto insieme a un paio di famiglie e un po’ di ragazzi che hanno passato la notte in continente. Il traghetto è piccolino simile a quelli che collegano Palau alla Maddalena. È mare ma sembra uno stagno, in pratica è una laguna sabbiosa, dal porto di Sfax a Kerkennah si naviga sempre su un basso fondale. Sbarchiamo alle cinque che è ancora buio nel porto di Sidi Youssef sull’isola di Gharbi. I louage aspettano sulla banchina, ne prendiamo uno che ci porta fino a Ramla, il capoluogo, che è sull’isola di Chergui la più grande dell’arcipelago collegata con Gharbi da un ponte costruito dai romani. È tutto piatto, una Pianosa brulla piena di palme circondata da un mare laguna che percorriamo praticamente su un rettilineo che costeggia il lato orientale dell’isola fino a Ramla. Scendiamo che è giorno, il tempo di fare colazione, capire che qui non c’è posto per dormire e ci spostiamo verso Sidi Frej. Ci troviamo una casina, intanto ci si piazza e ci facciamo una dormita rigenerante, è un posto tranquillo che sa di Ponza e di Pianosa, è il posto ideale per riordinare e poi stendere i pensieri. |
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Di nuovo Africa Esco che è già giorno, la nave veloce fiancheggia la costa sarda, riconosco l’isolotti tra Olbia e S.Teodoro. C’è poca gente sulla nave, quasi tutte famiglie tunisine che stanno tornando in patria e tanti camionisti nord africani come Fathi, un camionista Libico che parla bene francese ma si arrangia anche con l’italiano. È subito gentile e ci offre il pranzo, lo incuriosiamo, in effetti siamo anomali coi nostri zaini grandi. Ce ne stiamo fuori nel caldo sole mediterraneo tra tunisini che fumano il narghilé e bevono birra. Già dalla traversata si capisce che i tunisini hanno un rapporto molto più disinvolto con l’alcool rispetto ai marocchini. Rientriamo e troviamo Fathi, ci troviamo a chiacchierare con due libici e un tunisino, sembrano amici da una vita, ma in realtà si sono conosciuti solo sulla nave, ci scambiamo gli indirizzi e ci dice di chiamarlo quando vogliamo entrare in libia, spiegandoci che se la richiesta la fa un cittadino libico, possiamo avere il visto. Si vede l’Africa, le prime isole brulle della Tunisia e poi la baia di Tunisi. Un veloce controllo alla dogana e poi con un petit fino alla stazione dei louage (corrispondente tunisino dei grand taxi marocchini). Dobbiamo pazientare un po’ prima che si formi l’equipaggio, ma poi si parte destinazione Sfax, città costiera da dove prenderemo il traghetto per le isole Kerkennah, ho deciso che sarà questa la nostra prima meta. Da Torres a Tunisi sono successe troppe cose, c’è bisogno di farle decantare, aggiornare il sito e spedire i primi servizi. |
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L’isola e poi la luna Facciamo colazione insieme a Jader e Demarista, è sempre un piacere stare a parlare con loro, ci siamo conosciuti durante una traversata trekking l’ultima primavera ed è nata un’amicizia vera. Ripassiamo dall’ufficio, ci salutiamo con Michelangelo il vero artefice del sito del viaggio che sommergo sempre di richieste e infatti ne approfitto per fare alcune piccole modifiche al sito attuale di ElbaeUmberto nell’attesa di mettere on line quello nuovo che sarà arricchito anche di una parte video. Carichiamo gli zaini nel land rover e andiamo alla stazione, un’ultima foto, ci salutiamo e poi in un treno strapieno partiamo per Genova. Bologna, Voghera, e poi arriviamo nella città di De André. L’ultima galleria finisce dentro la stazione Principe, una passeggiata fino al Porto passeggeri e poi in mezzo a tanti turisti, in maggior parte diretti in Sardegna, ci prepariamo per l’imbarco. Il prezzo è una sgradevole sorpresa, molto sgradevole, non che credessi che andavamo tutti e due a Tunisi con i biglietti pubblicizzati a partire da 1 euro, ma nemmeno di spendere 350 euro per un passaggio ponte. C’è un gran traffico di navi che partono e arrivano, grandi traghetti che somigliano sempre di più a navi da crociera. La Lanterna è già illuminata quando la nave molla gli ormeggi, si torna in Africa. La costa ligure è un’infinita sequenza di luci sempre più lontane, e poi solo mare. Ho voglia di salutare l’Elba, non c’è più nessuno fuori a destra si vedono nitide le luci della Corsica, Rogliano, Erbalunga, Bastia e a sinistra l’Isola, intuisco Portoferrio e Marciana, poi scendendo si vedono bene le luci di Marciana, Poggio e il faro di Patresi, il faro di Pianosa e dopo rimane solo la luna. |
Rimini Decidiamo di rimanere un giorno in più, anche perché visto che ci siamo, andiamo a vedere la mitica Rimini, è una vita che predico contro la riminizzazione dell’Elba, ma in realtà io non l’ho mai vista . Ci prepariamo per bene gli zaini, cercando di togliere il più possibile, poi andiamo a vedere la mitica Rimini. Anche qui si respira una certa piatta celebrale e di crisi, il centro è bello e tutto sommato tranquillo, ricco di reperti di epoca romana, ponti, mura e la villa del chirurgo. Il resto ha tutto il negativo che mi immaginavo, spiaggia divisa con tanti bagni che sembrano pollai, mare brutto, asfalto e palazzi vecchi nuovi e in costruzione, e la parte Felliniana, per lo meno come me la immaginavo io, fatta di luci e colori (una cosa a metà strada fra las vegas e il circo togni) non la vedo, Rimini me la immaginavo come la città delle donne di Fellini, tutta illuminata e frivola e invece è una specie di Follonica gonfiata con l’anabolizzanti. Rientriamo a Verrucchio che invece è molto bello, con le colline morbide ricoperte di viti e olivi. |
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Partenza Ruggero va via che sono quasi le tre, alle quattro e mezzo forse un po’ prima arriva babbo che mi accompagna alla nave, devo sempre fare lo zaino, infatti mi sdraio senza dormire finché non sento che arrivata la macchina del mi babbo. Il tempo di fare il biglietto e via, ci salutiamo sotto le scale della nave. Nuovamente vedo allontanarsi la sagoma dell’Isola, chissà quanto passerà prima di rivederla. Sono contento di partire, anche perché ho l’assoluta certezza che qui ci tornerò, questa è la mia casa, qui c’è la mia gente. Lo zaino, dopo tanti giorni a spalle vuote, mi sembra pesantissimo, nonostante abbia ridotto di un bel po’ il bagaglio. Prima tappa Livorno, vado in questura a prendere il passaporto, poi in treno fino a Firenze. Ritrovo Serena e partiamo alla volta di Rimini, stesso tragitto di dicembre, cambio a Bologna e poi Rimini, dove ci vengono a prendere Demarista e Michelangelo. Andiamo allo Studio Bonfiglioli dove ci aspetta Jader che mi mostra la sua ultima creatura: Plexicat. Ci mettiamo tutti intorno alla tavola rotonda per sistemare il sito e poi il cambio di scarpe, consegno le vecchie 8850 che hanno fatto la traversata dell’Atlas e del Rif e prendo le nuove, leggermente modificate. |
La pizza di mamma È il giorno dei saluti, faccio un giro alla spiaggia e saluto Claudio, Andrea, Riccardo, Gianfranco, come l‘altra volta vorrei salutare tante persone ma è impossibile, in un attimo arriva l’ora di portare Serena al traghetto, ci ritroveremo domani a Firenze, poi faccio un giro col mi fratello per cercare un telefono e il resto del pomeriggio alla fine lo passo a parlare del Viottolo coi fratelli Martorella. Sento il Guru, saluto Roberto e Zia Alvia che mi dice che camperà ancora a lungo e poi vado a Filetto a casa di Babbo dove si mangierà la pizza che ha preparato Mamma. Stasera ho proprio voglia di starmene a casa, passo quasi tutto il tempo a giocare con le bimbe, Nicol mi spiega in segreto come fare per essere presente al suo compleanno a fine agosto, basta che faccio finta di perdere il passaporto così posso tornare. È già domani quando arrivo alla Bonalaccia per preparare lo zaino, dopo poco arriva Ruggero di ritorno da S.Andrea, alla fine si rimane a parlare del Viottolo fino alle due e mezzo di mattina, anche stanotte dormirò poco. |
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Pianosa Albeggia quando arrivo alla Bonalaccia, ma stavolta Serena dorme. Alle sette arriva Ruggero. Dormo ancora quando arriviamo a Procchio dove troviamo Francesca. Prendiamo la nave al pelo, anzi ci facciamo aspettare facendo incazzare i marinai. A bordo oltre ai soliti amici di Pianosa c’è un gruppo di ragazzi accompagnato dalle guide del Parco. Lasciamo Rio, le miniere e poi si punta su Pianosa, la giornata è bellissima, il vento di ieri ha ripulito l’aria e si vede benissimo l’Elba, Montecristo Pianosa e la Corsica, siamo tutti fuori a ammirare il panorama, meno le guide chiamate dal Parco che se ne stanno chiuse dentro la nave come se avessero paura del sole, carismatiche come un pisello moscio dentro un preservativo. Vediamo saltare anche un branco di lecce che mi fanno sperare nella possibilità di vedere i delfini che però non si vedono. Arrivati a Pianosa non abbiamo tanto tempo, sbarchiamo, mi salutano gli agenti della penitenziaria e i carabinieri e anche gli amici della San Giacomo che come sempre gentili dopo aver caricato la frutta mi aiutano a caricare le canoe sul carrello del trattore, così le portiamo direttamente in deposito. Abbiamo poco meno di due ore ma abbastanza per farsi un giretto, chiesta l’autorizzazione alla forestale andiamo a fare un giro con la bici per visionare i percorsi autorizzati dal parco per la stagione 2008 mentre Serena e Francesca vanno a farsi un bel bagno nelle acque turchesi di Pianosa. Pianosa su di me ha sempre esercitato un grande fascino, il tempo passa in un attimo e come spesso succede la nave suona perché è già l’ora di partire. Soliti saluti dalla poppa e di nuovo in navigazione in direzione di Rio Marina. Rifacciamo la bella strada del Volterraio, questa volta non avendo ritardi ce la godiamo appieno, poi prendiamo un kayak dalla base di Procchio per portarla all’Iselba, punto di partenza delle escursioni in kayak dal Golfo di marina di Campo. |
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