Churros e jelado
Classica colazione di Melilla coi churros (vermoni di pasta fritta stile frate) e caffè, qui gli orari sono spagnoli e si fa colazione quando i marocchini pranzano. Cerco informazioni su eventuali navi anche mercantili per raggiungere l‘Algeria, ma non si trova niente, gli unici collegamenti sono con la Spagna con i porti di Almeria e Malaga. La città è deserta quasi tutti i Melillani sono sulla spiaggia, un tristissimo spiaggione attrezzato fra la strada asfaltata e la diga foranea, che si estende fino al grande porto commerciale, il famoso e malfamato porto franco di Melilla. La spiaggia non ci interessa e il porto non si può visitare, passo la giornata a scrivere e a ciattare con Roberto che è l’unico al corrente delle ultime disavventure e mangiando gelato.
|
|
Monthagosto 2008
|
Refoulé Guardo il passaporto e mi accorgo che c’è un timbro: Refoulé … espulso cazzo !!! Sembrava tutto risolto e invece no, provo a chiamare l’ambasciata e il consolato ma è tutto chiuso fino a lunedì mattina. Solo io sono stato espulso, il passaporto di Serena è regolare, vorrei andare subito alla frontiera ma prima di peggiorare la situazione decido di aspettare lunedì.
Giro per Melilla come un esiliato, il rischio di dover tornare in Europa (quella continentale) è alto, i bastardi della caserma di Al Hoceima hanno voluto metterci l’ultima parola, e io coglione chissà cosa ho dichiarato firmando quei fogli in arabo.
Non resta che aspettare, mi guardo la partita dell’Italia contro la Romania in un barettino e poi in giro per il centro storico che si sviluppa dentro i bastioni e ricorda Portoferraio. Le fortificazioni sono più piccole e meno belle di quelle ferrajesi ma meglio conservate, comunque i punti di contatto con le fortezze medicee sono tanti, il faro, le garitte, i camminamenti fra i forti, i gabbiani cacatori e i gatti ruffiani.
Suona il telefono e arriva una bella notizia Azzedine è arrivato a Bni Krama con Tambone, tutto bene, questa l’abbiamo risolta bene, il bambolo è sistemato, ora vediamo di sterza’ anche l’intoppi doganali.
|
|
Gita fuoriporta
Stamattina so’ tutti amiconi, sorrisi e tentativi di parlare italiano, “è tutto risolto” dicono di continuo “è stato solo un equivoco, ora andate a Melilla e poi potete continuare il vostro viaggio; e mi raccomando parlate bene del Marocco e della polizia”. Sembra proprio che il caso sia risolto, dopo l’intervento della diplomazia, come ci è stato riconfermato telefonicamente da Meliani. Firmo una serie di documenti in arabo, chiedo una copia in francese ma non mi viene data, mi fido, credo che sia il pv, ma non è così perché si va direttamente a Melilla. Ci dicono che è tutto a posto, che siamo regolari, che hanno fatto tutto loro e che dobbiamo andare solo alla polizia di frontiera per regolarizzare il tutto, ci accompagnerà un loro agente, i passaporti e i documenti firmati da me e dal comandante vengono sigillati in una busta che il nostro accompagnatore custodisce gelosamente. Partiamo col cellulare fino alla stazione dei bus, poi partiamo scortati dal nostro tutore sul pullman per Melillla. Facciamo la strada interna, risalendo sulle alte montagne aride del Rif orientale dove l’esercito di Abd el Krim inflisse le sconfitte più dure agli spagnoli, guardando l’asprezza di questi monti si capisce perché gli abitanti non sono mai stati veramente assoggetati a nessuna dominazione. La strada è ripida e sinuosa e il bus fatica a superare il passo più alto e si deve anche fermare un paio di volte perché il motore surriscalda, poi si comincia a scendere, avvicinandosi al mare la strada diventa pianeggiante e circondata da coltivi, fino ad arrivare a Nador. Ritorniamo alla frontiera Marocco-Spagnola, ma questa volta scortati. Entriamo direttamente nell’edificio della dogana marocchina saltando tutta la fila, nel cortile assisto ad una scena tremenda: c’è un piccolo gruppo di etnia sub sahariana che è stato fermato alla frontiera, circondato da poliziotti con fucili e manganelli, una ragazza come impazzita urla e piange mentre si spoglia e si prende a sassate, forse nella speranza di finire all’ospedale per non essere rispedita nel suo paese. Mi ritorna in mente il villaggio abbandonato che avevo visto a gennaio ai limiti del deserto dove i pozzi si erano seccati e la gente era andata via per non morire di sete. Arriva un poliziotto e mi dice di spostarmi da lì. Aspettiamo pochi minuti e poi un funzionario in divisa ci accompagna alla frontiera spagnola tenendo in mano la busta con i nostri documenti. Il poliziotto che ci ha accompagnato da Al Hoceima ci saluta tutto gentile dicendo che è tutto a posto e che possiamo rientrare da subito in Marocco e proseguire il nostro viaggio, anzi ci fa gli auguri di buon proseguimento e ci saluta con un “sempre benvenuti in Marocco”. Ci congediamo dal Marocco con l’ulteriore conferma verbale che possiamo rientrare nel Paese volendo anche immediatamente, ma seguendo il consiglio dell’ambasciata penso che resteremo almeno un paio di giorni a Melilla.
Sulla sponda spagnola il clima è molto più rilassato, un funzionario doganale con fare ironico mi chiede se lo zaino è tutto pieno di droga. Ci sistemiamo all’ hostal, sembra di essere in europa, ci sono gli euro che me li ricordavo più grandi, le donne coi capelli al vento e il prosciutto, è un altro mondo. La città autonoma di Melilla è un truman show circondato da reti elettrificate e filo spinato, abitato da militari e funzionari spagnoli che ostentano un diffuso benessere che si rispecchia nei tanti figli di papà in giro per le vie del centro sopra a gipponi metallizzati, con la radio a palla e inforcando occhiali da sole grandi come maschere subacquee.
Superi le barriere e cambi continente, al posto del classico marocchino secco, sdentato e mediamente cencioso, ti ritrovi il melillano grasso, vestito alla moda e puzzicoso d’alcool. Telefoniamo per ringraziare i diplomatici che ci hanno aiutato e poi andiamo a scoprire l’enclave spagnola che rispetto ai centri urbani marocchini sembra deserta. La città è piena di locali e negozi che ostentano il vino e i superalcolici come grande simbolo di libertà, ma c’è anche una gelateria artigianale spettacolare che fa tre tipi di cioccolato con un fondente così bono che quando lo lecchi chiudi l’occhi e ridi.
Sicuramente per un marocchino Melilla è una visione distorta dell’europa. |
Il commissariato
Mercoledì mattina telefoniamo al consolato italiano a Casablanca, spieghiamo la situazione e quello che è successo, ci dice che è inutile stare a discutere sulle scadenze, che bisogna pagare una multa, ma di evitare assolutamente la gendarmeria notoriamente corrotta e confusionaria, dobbiamo andare al commissariato di polizia, è solo una formalità su un problema che si verifica spesso, mi spiega che basta riempire un modulo (il PV), aspettare un paio di giorni che la polizia lo consegni al tribunale il quale emetterà una condanna per il pagamento di una multa di tremila dirahm a testa, dopo di che dovremmo uscire dal Marocco (verso Melilla) e rientrare, meglio il giorno dopo, con la possibilità di rimanere ancora tre mesi. Sembra tutto molto semplice e risolvibile, andiamo subito al commissariato, sono le dieci di mattina. Un agente ci dice di attendere nell’ufficio a sinistra, arriva un ragazzo con fare arrogante che ci chiede cosa facciamo lì, dico che dobbiamo fare il pv, ci accompagna nell’ufficio a fianco dove c’è un funzionario più anziano che dice assolutamente no, gli spiego che siamo lì per regolarizzare la cosa su precisa indicazione dell’ambasciata italiana, ma ci dicono no no senza ascoltare, affermano che dobbiamo presentarci alla polizia della dogana delle città in cui siamo entrati in Marocco. Insisto che dobbiamo fare il PV, certi della legalità della richiesta perché ce l’ha detto l’ambasciata italiana, continuano a dire no e a non ascoltare. Insisto e iniziano a minacciare verbalmente, dicendo che siamo in una posizione di clandestinità, che dovrebbero arrestarci ed espellerci dal paese e la minaccia di carcere viene ripetuta più volte “prigion prigion” incrociando i polsi. Ci controllano i passaporti e viene fuori che quello di Serena alla dogana di Melilla è stato regolarmente timbrato per l’uscita dal paese, rispieghiamo i fatti ma è tempo perso, il disco è quello, arresto di manette e prigione, Serena è a posto ma per me c’è l’arresto e devo rimanere lì.
Ci tengono almeno tre ore senza farci sapere niente, sotto lo sguardo cinico e imperturbabile del ritratto del precedente re Hassan II, personaggio amato delle forze militari molto più dell’attuale re Mohammed VI, ma che a differenza dell’ultimo sovrano con la gente di queste parti non aveva un buon feeling anche perché subito dopo l’indipendenza marocchina del 1956 guidò lo sbarco delle truppe reali a Al Hoceima per disperdere con la forza la ribellione dei rifegni che seguendo anche le indicazioni di Abd el Krim avevano combattuto per l’indipendenza del Marocco riconoscendo l’autorità del re nella speranza di entrare nella gestione locale della nuova nazione, speranza che risultò vana perché il re e il suo entourage mise in tutti i posti di comando gente araba tagliando fuori i berberi del posto da tutte le cariche.
Poi proclamano che Serena è libera e deve tornare in albergo e io devo rimanere lì in stato di arresto. Serena non vuole andare. “Non puoi scegliere, sei libera e devi andare in albergo, non puoi rimanere qui, non è una tua scelta”. Chiedo spiegazioni: “perché il passaporto di Serena è stato timbrato anche se erano scaduti i termini?”
“non è un problema nostro, ma della polizia della dogana”
“Chiamate la polizia della dogana per chiedere” Si rifiutano di metterlo per scritto, provano in tutti i modi a separarci, gli rispiego che noi siamo andati da loro per regolarizzare la nostra posizione su indicazioni della nostra ambasciata e che sono sicuro di quello che dico, se loro non vogliono fare la procedura pv che ci restituiscano i documenti e andiamo direttamente all’ambasciata italiana. I documenti li tengono loro.
Gli chiedo se posso telefonare mi dicono che il telefono funziona solo all’interno della caserma, gli faccio notare che prima aveva chiamato la polizia di frontiera, mi invitano a provare ridendo.
Chiedo conferma se Serena è libera, alla risposta affermativa esce e va a telefonare da un telefono pubblico, ma il passaporto non lo consegnano nemmeno a lei.
Si irritano quando pretendo che mettano per scritto la posizione regolare di Serena, cosa che chiaramente non fanno.
Appena esce inizia un interrogatorio aggressivo fatto di urli e minacce:
“Che ci facevi a Torres? sei un sindacalista? sei un periodista comunista? Noi non amiamo quelli come te! Cosa pensi dell’Islam? cosa pensi del nostro re? ….” E ogni volta che accenno una risposta mi parlano sopra, “cosa pensi di noi?” mi esce un “che siete arabi”
“Razzista! te sei razzista! la nostra cultura è contro il razzismo e tu sei razzista!!! odi l’islam e il Marocco, il Marocco è una nazione islamica, te sei un razzista, intanto questa notte dormirai in prigione poi si vedrà” Tutto urlato a tre centimetri.
Gli dico che stanno abusando del loro potere, che non possono trattenere i documenti e di stare attenti perché esistono le leggi internazionali, la carta di Ginevra e che prima di venire qui avevo contattato la diplomazia Italiana, che io le leggi le conosco bene. Cercano in tutti i modi di provocarmi, mi chiedono le stesse cose cento volte e quando capiscono che ho una grande ammirazione per la gente Amazigh cominciano a offendere anche loro. Faccio una gran fatica a non reagire ma mi faccio forza del fatto che loro sanno benissimo che si stanno comportando illegalmente.
Rientra Serena, al telefono la dottoressa Zerbi, la diplomatica che avevo sentito in mattina, gli dice che tutto questo è assurdo, che non lo possono fare, è abuso di potere e non ci possono minacciare ne trattenere, ne tanto meno arrestare, che il pv è una normale procedura d’ufficio che loro debbono semplicemente attuare e ci dice di farsi consegnare i passaporti e di andare a Fes dove c’è il rappresentante consolare più vicino. Serena ha chiesto che un funzionario consolare venga al commissariato ma le viene risposto che è troppo lontano, dobbiamo chiamare il corrispondente consolare di Fes, Meliani, quello che abbiamo conosciuto a Fes.
Meliani prende tempo per parlare con il consolato, Serena insiste perché chiami direttamente il commissariato di Al Hoceima per farci rendere i passaporti perché andiamo da lui a Fes per fare la procedura del pv come ci ha detto di fare la Zerbi, visto che lui è marocchino dovrebbe risultare più facile il dialogo con la polizia. Meliani risponde: “non ti proccupare cerco il numero e chiamo subito” Serena è tornata in caserma convinta che sia tutto risolto, mi racconta che è stata seguita fino alla cabina telefonica da un poliziotto che cercava in tutti modi di convincerla a tornare in albergo perché lei è libera.
Le domandano cosa ha detto l’ambasciata. “non potete trattenerci i passaporti, li riprendiamo ed andiamo a Fes dal referente consolare che ci aiutera’ con la pratica per il pv”.
Dicono di no, che hanno gia’ aperto loro la pratica del pv presso il tribunale.
Chiedono a Serena se vuole fare anche lei il pv o se va direttamente a Melilla che tanto non ci sono problemi.
Chiediamo un documento scritto, telefonano al responsabile della dogana e lo fanno parlare con Serena, lui conferma che non ci sono problemi, Serena chiede il documento, lui dice che al commissariato non possono farlo, lei chiede che lo faccia la dogana e lo spedisca per fax, niente, dice che da’ la sua parola e anche lui le dice di andare in albergo.
Passa ancora un po’ di tempo e Serena ritorna a telefonare, gli ripeto che loro stanno abusando del loro potere …. E loro che io devo andare in prigione che siamo in Marocco e loro conoscono bene la legge marocchina, mi dice che è inutile che parli, qui siamo in Marocco e loro capiscono solo la lingua araba.
Poi si capisce che è arrivata la telefonata, cambia lo scenario, si muove qualcosa, ma continuano a fare le stesse domande decine di volte, perché sono lì, per l’ennesima volta riprovo a spiegare ma non ascoltano, e ancora mi chiedono il percorso e le tappe del viaggio e per l’ennesima volta fanno finta di scriverle. Nel tardo pomeriggio cambia tutto, iniziano a darsi da fare “il gran messier sarà accontentato” mi dicono a denti stretti in francese e italiano e iniziano a preparare i moduli del pv, ci chiedono tutti gentili se abbiamo sete o fame e si scusano se non parlano italiano ma solo francese. Arriva anche il grande capo che con fare da boss dice che è tutto a posto, grazie alla loro efficienza è stato risolto tutto e ci domanda se ora siamo contenti, irritato dalla mancanza di prostrazioni se ne va via stizzito. Ci trattengono senza motivazione i passaporti, alla fine dell’ennesimo interrogatorio chiudono con un serafico “la legge dice che dovrei metterti in prigione ma per me e lo faccio per lei (Serena), pur essendo agli arresti, puoi andare a dormire in albergo”
Pretendono scuse e ringraziamenti che non arrivano.
Appuntamento a domani per la procedura pv. E’ ormai sera quando usciamo dalla caserma, telefono all’ambasciata e mi confermano che sono intervenuti attraverso il comando di polizia di Casablanca e che è tutto a posto, i passaporti non ce li hanno restituiti perché gli brucia avere ricevuto la telefonata dai loro superiori e la fanno cascare dall’alto per orgoglio, ma il problema è risolto. Anche il referente consolare mi conferma che è tutto risolto.
Camminiamo per Al Hoceima, è una distesa selvaggia di cemento e la famosa spiaggia non è niente di che, però le falesie chiare a picco sul mare intorno al centro abitato sono molto belle, specialmente quando come ora sono illuminate dalla luna. È stata una giornata squallida passata in mezzo a gente squallida e corrotta mi sento rintronato e pieno di rabbia e tanto grato a Serena, sicuramente se non c’era lei io oggi dal commissariato non ci uscivo.
Scendiamo al porto dei pescatori dove cominciano a rientrare le barche che portano un sacco di pesce “bono”, cernie, dentici, orate, corvine, paraghi, saraghi, gallinelle… che vengono vendute nei banchini sul porto, bancarelle rimediate che crescono dal nulla come funghi man mano che le barche arrivano. Ci compriamo un’orata e un saragone e li portiamo dal grigliarolo del porto, intanto stasera si mangia bene poi domani si vedrà.
|
|
Pausa Non c’è molto da fare bisogna cercare di regolarizzare la nostra posizione, decido che oggi ce ne stiamo anonimi a fare i turisti raccogliendo un po’ di informazioni su internet e cercando di mangia’ un pesce bono. |
|
|
I controllori del traffico Si viaggia tutta la notte e all’alba siamo a Nador, città marocchina confinante con Melilla. Spazzatura che brucia sulla spiaggia, aria umida e appicicosa come le sciroccate d’agosto a Campo, Nador è unta e colorata di grigio e di nero.Con un bus urbano si arriva fino alla frontiera, un tratto a piedi dentro una fiumara di marocchini che stanno andando a lavoro nella ricca enclave spagnola. Arrivati alla dogana marocchina consegnamo i passaporti, Serena passa, ma io no, chiedo spiegazioni arriva il responsabile, gli spiego che ci hanno mandato i loro colleghi ma non mi ascolta, mi incazzo e arriva subito una folata di agenti uno dei quali prova a mettermi le manette … e mi ritrovo in strada.
Morale siamo in Marocco io illegalmente perché il passaporto non va bene, Serena perché è ufficialmente uscita dal Marocco. Telefoniamo alla gendarmeria di Torres, risponde un agente che ci passa il capo, dico che a Melilla non ci fanno passare, ma casca la linea. Richiamo, risponde lo stesso agente, rispiegando il problema, stavolta dice che il comandante (con cui avevamo parlato un minuto prima) non è lì e che dobbiamo richiamare nel pomeriggio. Decido di rientrare a Torres, anche perché dobbiamo dare Tambone ad Azzedine. Ritorniamo a Al Hoceima in bus ed aspettiamo Azzedine che ha viaggiato tutta la notte e ora sta per arrivare, anche lui con un pulmann. Ci incontriamo a piazza “Du Rif” punto d’arrivo di bus e taxi, dopo una non facile trattativa prendiamo un gran taxi per Torres. Man mano che ci avviciniamo l’autista diventa più teso e ci vuole scendere qualche chilometro prima, insisto e borbottando riparte, arrivati a due chilometri prima di Torres, sul bivio, che è l’unico accesso al paese, troviamo i gendarmi che stanno facendo un posto di blocco. Ci riconoscono e ci chiedono se è tutto a posto, spieghiamo che a Melilla non ci hanno fatto passare e chiediamo cosa dobbiamo fare per metterci in regola, iniziano a dire che non capiscono “je ne comprend pas…” e fanno cenno al tassista di portarci alla spiaggia.
C’è un aria strana Azzedine mi dice che vuole prendere Tambone e partire subito per raggiungere il villaggio a qualche ora da qui dove ci sono dei conoscenti che lo ospiteranno per la notte e poi domani prima dell’alba prenderà la via della montagna, la più breve per tornare alla casa di Oulad Bchir. Arriviamo alla spiaggia, oggi qui non c’è nessuno, solo il gestore del bar che è anche l’uomo di “moschea” del villaggio, gli chiedo un the per noi, Azzedine e per il tassista, non mi risponde e senza chiedergli niente inizia a caricare i bagagli sul taxi con l’aiuto dell’autista che è sempre più agitato. Poi prepara il the ma solo per Azzedine, noi veniamo sollecitati alla partenza. Dico che voglio andare alla gendarmeria per spiegare le cose e capire che dobbiamo fare, ma mi dice che i gendarmi gli hanno chiesto di avvisarli del nostro ritorno e lui li ha chiamati per telefono, in caserma non c’è nessuno e il comandante ci aspetta direttamente sulla strada per darci tutte le spiegazioni. Il tassista vuole assolutamente andare, Tambone ci fa festa e non vede l’ora di partire, vuole andare via da tutta questa agitazione che, da montanaro quale è, non capisce. Azzedine è abbastanza spaventato, dopo essere stato chiamato “dal barba” ci dice che è meglio partire subito, facciamo due foto e salutiamo il nostro compagno equino senza il quale la traversata dell’Atlas e del Rif non sarebbe stata possibile. Azzedine è imbarazzato, ci dice che domani ci chiamerà e che ora è meglio andare via, il tassista suona e sgassa, montiamo sul taxi sotto lo sguardo soddisfatto del barista che ora ha il sorriso stampato sul volto al posto della solita maschera da duro e chiama subito dal cellulare guardando verso il mare mentre noi si parte. Raggiunto il posto di blocco chiedo all’autista di fermarsi ma i poliziotti lo esortano a proseguire senza fermarsi, noi restiamo a bocca aperta, dei nostri documenti non gliene frega più niente, ridono divertiti per aver assolto brillantemente alla loro missione, l’unica cosa che interessava alla gendarmeria era mandarci via per non vedere, di certo abbiamo capito che la nostra presenza lì non era gradita a prescindere dalla nostra posizione più o meno regolare all’interno del paese. (io non ho documentazione che può testimoniare che ci hanno mandato via perché dovevano far partire un carico di droga, ma tutto faceva capire questo, la spiaggia deserta, i turisti – quelli con la tenda sopra il tetto del bar – che erano spariti, il rifiuto del gestore del bar a prepararci il the perché dovevamo partire, la polizia che ci dice di andare via, l’agitazione del tassista, ma soprattutto il cambiamento di interesse e comportamento da parte della gendarmeria). Arriviamo a Al Hoceima che è ormai buio, l’unica cosa da fare è cercare un posto per dormire e poi domani ragionare sul da farsi.
|
© 2025 Elba e Umberto