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Le ambasciate Andiamo a Tunisi per Ambasciate, iniziamo da quella Italiana per fare il passaporto bilingue, per entrare in Libia è indispensabile avere questo documento tradotto in Arabo. All’ambasciata ci sono tante persone in fila soprattutto coppie miste italo tunisine, ce n’è una che non puo` passare inosservata lei un’italiana da un quintale con velo e fuseaux tutta indaffarata a disbrigare le pratiche e lui un allampanato ragazzo tunisino che si guarda continuamente intorno compiacendosi “dell’affare” che sta andando in porto, abbordare un’europea, portarsela in Tunisia per poi sposarsela e farsi mantenere è uno dei sogni dei tunisini e le donne italiane son le più ambite. Per fortuna la procedura che serve a noi viene fatta in un altro ufficio e la faccenda si risolve velocemente. Dal centro della capitale ci spostiamo verso nord dove ci sono la maggior parte delle ambasciate Africane, la più grande e vistosa è quella della Libia, un palazzo che sembra il deposito di Zio Paperone, siamo qui per richiedere il visto di ingresso, ci fanno accomodare in una lussuosa e asettica sala d’attesa con i divani di pelle nera dai cui vetri a specchio si vede il grande giardino. C’è grande cortesia, ma come previsto ci dicono che il visto per entrare in Libia viene rilasciato solo per affari. Con ancora meno speranze andiamo a sentire per il visto anche all’ambasciata Algerina che si trova poco distante, è una sede molto più modesta e sgarrupata e ha un’aria familiarmente maghrebina. Dopo un po’ di anticamera ci riceve una signora gentile dall’abbigliamento e dai modi molto occidentali che rimane affascinata dal nostro viaggio, ma non puo` fare niente per farci avere un visto d’ingresso nel suo paese. E` assurdo ma le difficoltà maggiori di questo viaggio sono di natura burocratica. Dopo una vana ricerca di un fotografo qualificato si torna a Bizerte con il louage. C’è da comprare i viveri per La Galite e chiudere gli zaini. Ma come temevo dal tono sfuggente della telefonata del mattino, non si va, Kaled dice di partire dopodomani quando il tempo sarà migliore, capisco che è una scusa ma non posso fare altro che accettare. |
Monthdicembre 2008
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Autorizzati!! La macchina un ne pole più! Ha perso il paracoppa, la chiusura centralizzata è morta, saltano le marce e la frizione slitta, è lercia come un è mai stato nemmeno “cinghio” ai tempi d’oro, la porto al lavaggio per rifargli un po’ il trucco e poi la riporto al noleggio appena in tempo e… vvvia, mi sembra di esse tornato ai tempi dei rally quando si riconsegnava la fiat uno dell’aci a Piombino dopo averci provato per tutto il fine settimana. Al palazzo del governatore per prendere l’autorizzazione per La Galite, è tutto a posto possiamo andare e pernottare, non ci credo ancora. Sono le 11 buonanotte. |
![]() Ksar Ouled Soltane
![]() Ksar Ezzahra
![]() dama di sabbia
![]() Ksar Jalided
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La magia degli ksour Fa freddo all’alba quando il gallo ci sveglia, le donne del villaggio sono già in azione e stanno spazzando le corti terrose delle loro case. Metto in moto e si parte in direzione della Douiret vecchia, il sole arriva e la luce calda dell’alba colora il deserto di toni rossi. Il villaggio sembra molto più piccolo di Guermessa, anche qui c’è una moschea bianca alla base dell’abitato che si sviluppa su un unico colle sul cui culmine c’e’ la fortezza (kalaa) diroccata. Sul lato di Ponente a un chilometro da qui c’è un grande marabutto che il sole incendia di luce dorata, Douiret è un paese meraviglia che si sta svelando man mano che il sole sale abbassando il sipario dell’ombra fino alla moschea, facendo risaltare le pietre dorate nel cielo terso e potente di questa mattina. Prima di salire mi fermo a fare un giro nel cimitero dove ci sono tre tombe a cupola di marabutti e altre tombe bianche di importanti uomini di fede, da sempre il deserto è patria della mistica e qui evidentemente i santi abbondavano. La strada arriva dritta fino all’inizio del paese, in una stalla ci sono due ciuchi, mentre dalle prime case delle persone ci stanno osservando, sono affacciate su un pianerottolo di un piccolo albergo aggraziato in costruzione, ma ormai praticamente ultimato, certo leva un po’ di fascino ma penso che sia il modo giusto di fare turismo, portando i visitatori a pernottare dentro le mura si permette di mantenere in vita, magari anche solo parzialmente, questi villaggi eccezionali, è costruito con cura in armonia con l’architettura del villaggio e gli impianti elettrici sono alimentati con cellule fotovoltaiche ben mimetizzate. Poco più avanti la moschea nuova che è aperta, l’interno è scarno e si sviluppa in un grande stanzone vuoto, pero’ è collegata attraverso un cortile coperto alla vecchia moschea che è scavata dentro la montagna, questa è molto più bella e affascinante con la grande sala sostenuta da grosse colonne cilindriche e adornata con tante iscrizioni a rilievo nelle mura, saliamo in cima al minareto che ci regala una prospettiva impagabile sul villaggio e sul deserto. Risalendo i vicoli si incontrano due case ancora abitate, assomigliano tanto alle case grotta dell’Isola di Ponza, il villaggio si sviluppa come un forte che sale a spirale fino al vertice della collina, da qui si vede che le abitazioni si estendono anche lungo una fenditura che si trova nella lunga collina sul lato opposto alla moschea, disegnando un serpente sinuoso lungo sei o settecento metri. Le case abbandonate sono il regno dei “caterulli del deserto” c’è anche un grande frantoio con il tetto di tronchi di palma che probabilmente verrà restaurato. La vicinanza con la strada asfaltata sicuramente agevola le visite turistiche e stimola progetti di recupero, l’impressione è che si stiano facendo le cose per bene, speriamo che stavolta non vengano fatte schifezze. In vetta come sempre i corvi la fanno da padroni, sullo sfondo si avvista la polvere che sale dalla strada, sono dei fuoristrada con i turisti che arrivano mentre la luce magica va via e anche noi ce ne andiamo. Cielo blu e montagne aride a righe ci fanno da sfondo, siamo nella zona dei grandi ksour, per primo incontriamo lo ksar di Ouled Debbab anche questo famoso per essere stato usato per le riprese di Guerre Stellari, ma è una delusione è stato trasformato in albergo e ha perso tutto il fascino diventando pacchiano come il dinosauro stile elbaland che fiancheggia l’ingresso. Andiamo in direzione di Ouled Soltane dove dovrebbe esserci lo ksar più bello della regione. Lungo la via incontriamo le donne al pozzo che con un bidoncino di latta travasano l’acqua nelle stagne attaccate sulla sella del ciuco, con la macchina si fa tanta strada e si vedono tante cose pero’ filtrate e un po’ da spettatori, non come quando si viaggiava col mulo, arrivare a questo pozzo con Tambone avvrebbe significato fare conoscenza con queste ragazze e magari finire a casa loro, arrivando cosi’ ti poni troppo come corpo estraneo e anche le foto sanno un po’ di furto. Arriviamo al villaggio dello ksar più famoso, temevo di trovare file di pullman, biglietterie, bancarelle di souvenir e guide incartapecorite in cravatta e giacca forforosa stile villa di Napoleone di San Martino e invece anche qui ci siamo solo noi. Il gran Ksar di Ouled Soltane è irreale nel suo splendore di forme senza linee rette, un favoloso alveare di luce, sinuosità e armonia disuguale, naturalmente non è passato inosservato agli autori di Star Wars che qui avevano ambientato le abitazioni degli schiavi. Lo ksar è il simbolo di questa regione, è un tradizionale granaio fortificato costruito per conservare e proteggere i raccolti, ogni ksar è formato da “ghorfa” piccole stanze lunghe e strette con un'unica apertura che affaccia sul cortile e che viene chiusa con porte di legno di palma, sono costruite con pietra e gesso e rifinite con il fango, il clima arido permetteva di conservare i cereali per decine di anni. Lo ksar era il cuore del villaggio, le ghorfa erano padronali ma c’era un custode spesso “uomo di moschea” che ne gestiva l’utilizzo impedendo sperperi e speculazioni ai proprietari e razionalizzando i consumi in maniera da avere delle riserve in caso di carestia, per garantire la sussistenza per tutti gli abitanti del villaggio. Lo ksar dall’esterno ha l’aspetto di un forte con un'unica porta detta la skifa da cui si accede al cortile, le ghorfa si sviluppano su più piani, questo ksar ne ha quattro, in alto si conservavano i cereali e in basso l’olio, i legni murati sopra le nicchie più alte facevano da gru per caricare con un sistema a carrucole il frutto dei raccolti nei vari livelli collegati solo da rampe di scale e da lastre inserite nella muratura che ricordano i gradini che sporgono dai muri a secco delle vigne alte nella Valle del Poio. Il sistema degli ksour era perfetto per queste terre e fu adottato anche dagli arabi e la maggior parte degli ksour, compreso questo, sono successivi all’invasione araba. Di solito lo ksour si sviluppa intorno a un'unica piazza ma questo ne ha due, dal primo cortile passando da una piccola porta si accede al cortile più interno, qui la struttura che è stata splendidamente restaurata lascia senza fiato, è anche troppo perfetto tanto da risultare asettico, comunque bellissimo. La luce è calda e potente e lo sfondo blu perfetto. Quattro piani di stanzine stondate a formare un anfiteatro di decine di nicchie ombreggiate che mi guardano come gigantesche tope rasate, mentre i legni di olivo e le ”lastre scalino” disegnano ombre nelle pareti come meridiane. Padroni silenziosi dello ksar sono dei grossi passeri con un collare che cangia dal grigio al turchese a secondo di come ci riflette la luce. Prima di andare via mi fermo a chiacchierare con dei regazzi che gestiscono un piccolo bar, si lamentano perché non viene mai nessuno a parte qualche gruppetto di turisti frettolosi di stanza a Jerba che ogni tanto capita d’estate, sono dispiaciuti perché sono giustamente orgogliosi del loro gioiello architettonico, vorrebbero costuirsi un futuro qui, ma non vedono molte prospettive, parliamo un po’ e gli racconto del Viottolo e delle mie idee sul turismo. Sono contento, a Bizerte in un mese non ho strinto nessun rapporto umano vero, in questa regione seppur visitata in maniera frettolosa ho ritrovato l’entusiamo e la magia dell’Atlas. Il sole è ormai alto e fa caldo, una stradina tutta dossi ci porta a Ksar Ezzahra, sono solo pochi chilometri ma sufficienti per entrare in una dimensione totalmente estranea al turismo, è un villaggio piccolo ma vivo con i vecchi Peugeot 404 cassonati che troneggiano nella piazza. E’ un crescendo di bellezza, questo è un paese vero con lo ksar ancora attivo, dalle vie passano una serie di personaggi favolosi con i vestiti tradizionali, che qui arrivino pochi estenei lo si capisce dal fatto che siamo noi l’attrazione del paese. Serena mi chiama è davanti alla skifa che come a Ouled Soltane si apre sullo ksar, una luce magica filtra all’esterno, dalla piazza di terra con al centro un albero. E’ la porta delle porte, la vera porta spazio temporale, entri dentro e si apre un'altra dimensione, la porta di questo ksar è la trasfigurazione della fica, ti apre orizzonti inimmaginabili. Appena dopo l’ingresso ai margini del cortile interno i vecchi saggi del villaggio sono riuniti nello scuro irregolare di un ombra composita, giocano e disegnando con le mani universi nella sabbia, sereni e fieri, distaccati dal mondo esterno, quello dei soldi e dei cercatori di esclusive, senza parole capisco che la foto bellissima che vorrei scattare è inopportuna, uno sguardo collettivo di intesa me lo comunica, le parole non servono. Mentre cammino mi perdo nelle forme surreali e nel silenzio di questo universo di sagome e ombre sinuose, salgo dalle scale di lastre inserite nelle pareti, nelle ghorfa più alte, alcune delle quali conservano ancora un po’ di grano, gli “scalini” sembrano buttati a casaccio nella parete, ma è tutto calcolato e ti permettono di salire con facilità. E’ un posto incantevole, che sa di libertà dove contemporaneamente ti senti libero e ignorato. Osservo il rito del the e la dama di sabbia e sassolini, poco distante c’e chi dorme nell’ombra dentro una coperta. Qui l’aria è densa di saggezza, mi sdraio in un angolo all’ombra di una ghorfa, gli aromi di terra e di sansa, di olio e di polvere mi invadono piacevolmente, anche le mosche addosso non disturbano, anzi portano messaggi, un anziano mesce il the scandendo frasi lente e rituali e su tutto questo la luce forte del deserto che ti rimbalza di fianco anche quando ti accucci all’ombra di una delle mille curve dello ksar la percepisci sempre, anche ad occhi chiusi. Nelle vesti ampie, nelle rughe, nel rito del the, nella schacchiera disegnata nella sabbia e nelle pedine di sasso, una sensazione di pace e verità rivelata, è il regno dell’essenza dove l’apparente nulla diventa tutto e allo stesso tempo qualsiasi cosa è di troppo. E allora la macchina fotografica diventa un sasso dalle forme sgraziate e le ciabatte sgradevoli preservativi che ti allontanano dal contatto con il suolo. Non so quanto tempo è passato quando apro gli occhi, forse un’ora o magari solo dieci minuti, ma è stato un tempo speciale, “hai già dormito?” mi chiedono ironici con il palmo aperto delle mani i “padroni di casa” mentre mi appresto ad uscire dalla skifa, saluto muto e rituale come un Amazigh e lascio i veri jedi nel “tempio senza tempo”. Uscendo ritrovo la luce piena del deserto, quella che ti abbassa lo sguardo e ti ingigantisce le grinze dell’occhi. Continuiamo nell’arsura lungo una stretta carareccia e ci ritroviamo al grande ksar abbandonato Jelidet, è il più grande di quelli visti, si entra da una larga porta blu, è sbiancato da una luce accecante e circonda una vasta piazza rettangolare con una costuzione nel mezzo. Poi ancora deserto e ksour, uno per ogni villaggio incontrato, la pista è stata cancellata dalla pioggia e una deviazione ci porta sulla strada asfaltata per Tataouine. Appena passata la cittadina, come spesso è capitato in questi giorni, diamo un passaggio, da queste parti sono poche le persone che hanno una vettura propria e per spostarsi si usa tantissimo il passaggio, si vedono tante persone che con l’immancabile sacchetto di plastica nero porta tutto, camminano apparentemente verso il nulla, vanno senza sapere quando arriveranno… inshallah. Siamo molto vicini alla Libia e ormai siamo vicini al mare, attraversando una zona che le carte stradali e le guide ignorano, è un deserto strano questo, è tutto coltivato ad olivi che si estendono per decine di chilometri fino al mare … radio tunisi trasmette in lingua italiana e ci fa ascoltare le canzoni di un cantautore siciliano, il tormentone “ventu quandu te’ncazzi mi fai paura” mi si inculca nel cervello. Il nostro passeggero ci saluta alle porte di Ben Guerdane un paese dai tanti distributori che non esiste sulla guida della Lonely Planet, come non esiste tutta questa zona. Nelle vie c’è tanta gente e i cartelli stradali che indicano Tripoli e il Cairo ci fanno capire che il confine è vicino, le donne sono vestite in modo molto più “coranico” rispetto a Bizerte, è tutta un'altra Tunisia, diversa come per l’Italia lo sono Bolzano e Palermo. Nei pressi di El Marsa finalmente arriviamo al mare, Douiret che abbiamo visitato all’alba è un mondo lontano, il mare davanti a noi è una laguna dove pascolano fenicotteri rosa e garzette. Sfrutto la bassa marea per camminare dentro l’acqua e fare qualche foto ai fenicotteri, poi prima che la marea si prenda la macchina ripartiamo. Il tramonto è ormai vicino queste giornate piene mi hanno fatto tornare l’entusiamo e fra pochi giorni La Galite, ancora non ci credo che abbiamo l‘autorizzazione. Lungo la riva le donne raccolgono la “salycorn” l’erba grassa che cresce sul limite della marea e che avevo già visto a Kerkennah. Una lingua di terra sottile chiude la laguna che parte dal forte di Naoura e porta fino a un piccolo villaggio di pescatori, le barche di legno e le gorgoulette richiamano immagini kerkenniane, come anche il marabutto di Sidi Ahmed Chaouch che si trova proprio alla fine dell’istmo, su un piccolo isolotto che si puٍ raggiungere a piedi con la bassa marea. Le ultime barche rientrano quando cala il sole, si riparte in direzione di Zarzis, c’è traffico, è normale siamo alle porte di Jerba. Con il buio la situazione diventa infernale, motorini a fari spenti, macchine contromano e senza fari, è come un video gioco di quelli che diventa sempre più difficile, arriva anche Medenine e poi ancora Gabes, da un camion volano pancali con casse e scatole di frutta. Nella notte la strada si illumina di rosso con i “distributori” segnalati da neon messi dentro le stagne rosse, è il gran souk del petrolio che si estende per decine e decine di chilometri, nell’attesa dei clienti si mangia arrostendo la ciccia e scaldando the con il fuoco riparato da un cerchio di contenitori di benzina, fanno tutti cosi’ come se fosse la cosa più normale del mondo, è come percorrere una chilometrica bomba molotov. Poi arriva anche la pioggia con gli immancabili incidenti, quando la strada si allarga e diventa a due corsie il traffico scorre più veloce ma bisogna fare ancora più attenzione perché i motorini e i furgoncini senza fanali viaggiano contromano per vedere chi arriva e poi ci sono i mitici Stop della polizia, quelli che se ti fermi ti guardano come a di’ “oh fava ma che ti sei fermato a fa’!” ma se passi anche piano piano ti fermano e ti cicchettano per non aver rispettato lo Stop. Per fortuna sono quasi sempre a mangiare in qualche chiosco e ci sono solo i cartelli incustoditi, comunque quando vedono che sei italiano ti lasciano passare, ma con i Tunisini “c’è un gran commercio”. Da Sousse prendiamo la nuova autostrada, i caselli sono ancora in costruzione quindi non si paga, arriviamo a Bizerte che è quasi l’alba. |
![]() dentro il Sidi Driss
![]() Toujane
![]() olivi nel deserto
![]() Ksar Hallouf
![]() Ksar Haddada
![]() Il Marabutto di Guermessa
![]() La Vetta di Guermessa
![]() La Piramide di Roccia
![]() La Moschea Troglodita
![]() La strada sospesa
![]() Il Santuario dei sette Dormienti
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{youtube}E02D0EFaLyY{/youtube} {youtube}AhnHKMeIjHw{/youtube} Da Star Wars a i sette dormienti passando per il magico villaggio di Guermessa |
![]() Bir Soltane
![]() Tamezret
![]() casa troglodita
![]() Haddej
![]() Il Marabutto
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{youtube}I6AiNzfgnDA{/youtube} Le case troglodite Inizia a fare giorno ma rimane scuro, ci sono tante nuvole nere che sembrano minacciare pioggia. Partenza lanciata, devo uscire veloce dalla curva secca per superare il tratto di sabbia, fatto! Attraverso il villaggio dei distributori e via lungo l’interminabile rettilineo dai tanti dossi, lungo la strada devo fare attenzione ai dromedari che sembrano nervosi per l’aria di tempesta e anche alla sabbia sulla strada che rispetto a ieri è aumentata di molto. Dopo una trentina di chilometri deviazione a sinistra dove c’è una pista che porta al Pozzo di Bir Soltane, un tempo prezioso punto di rifornimento per uomini e carovane, oggi è praticamente abbandonato perché si trova all’interno di una zona militare, dopo poco infatti c’è un isolato posto di guardia dal quale un ragazzo in mimetica con un grande mitra mi ferma ma solo per indicarmi la strada giusta per il pozzo. |
![]() Oasi di Douz
![]() Oasi di Ksar Ghilane
![]() Il Villaggio di Ksar Ghilane
![]() Il Forte nel Deserto
![]() Le Formiche del Sahara
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Il Deserto di sabbia Sveglia di buio per vedere l’alba sulla grande duna di Douz che è proprio davanti agli albergoni e poi non è cosi` grande. Il sole sorge gigante dietro le sagome delle palme, il cielo si incendia e le piccole dune del deserto prendono forma. Sono deluso dalla duna soprattutto perché decantata come la Grande Duna, mi aspettavo quacosa di simile alla Grande Duna di Erg Chebbi nei pressi di Marzouga in Marocco che avevo visto a gennaio. Questo è il desertino dei mille balocchi, alzato il sole si è scatenata la baraonda: i quad, le moto e i fuoristrada alzano polvere e rumore, tutti in fila fanno una specie di girotondo fra le dune bianche davanti a noi e poi ritornano alla base, si alza anche un ultraleggero che fa dei microvoli di cinque minuti a rotazione, ma nel giro di mezz’ora tutto si quieta. Le dune sono piccole ma belle, di colore chiaro quasi bianco con i soliti magici ricami sinuosi di sabbia e ombra, è un posto divertente per giocare a fare salti e scivolate, pero` scalzi perché con le scarpe si fa troppa fatica e poi si riempiono di sabbia. Rientrano le carovane dei cammelli che hanno portato i turisti a dormire nel deserto, in realtà molto vicini alla zona turistica ma infossati dentro le dune per coprire le luci del centro abitato, credo che abbiano dato un senso di Sahara selvaggio ai turisti, l’immagine dei cammelli in fila indiana fra le dune rimane comunque molto bella, ma lo spettacolo massimo di queste dunette sono i “Tombolamerda” gli scarabei che camminano veloci sulle dune lasciando una traccia simile a quella di due minuscoli cingoli. Camminiamo per tre ore fra le dune e poi rientriamo alla “grande” duna dove i finti Tuareg si stanno preparando all’arrivo dei turisti portando cammelli e allestendo le bancarelle di souvenir. Questo è un deserto per tour operator, c’è anche la pista dei go kart da sabbia che anche mi garbano ma non è certo questo il deserto che cerco. Attraversiamo un tratto della grande oasi rigogliosa con le sue tante palme ricche di caschi di datteri ricoperti con fogli di nailon per proteggerli dall’umidità della notte, poi passiamo dal villaggio appena oltre la zona turistica, questo è il paese dei cammelli ce ne sono a centinaia probabilmente le “navi del deserto” perlomeno in questa zona sono ancora legate all’uomo per il turismo in quanto le attività carovaniere sono ormai state soppiantate dai camion. Sono pochi chilometri ma è una realtà completamente diversa da quella a ridosso della duna, fra le case semidisastrate, capre, cammelli, asini e tanta spazzatura. Proseguiamo in direzione Matmata, la strada è bella nel deserto roccioso si incontrano di tanto in tanto stentati cespugli dove pascolano piccoli branchi di dromedari selvatici, uno si ferma in mezzo alla strada ignorandomi, segno evidente che di traffico ce n’é poco, vale comunque la pena di fermarsi per godersi le espressioni ingonghi dei cammelidi e le puppate energiche di un piccolo, qualche foto e si riparte voglio andare all’oasi di Ksar Ghilane per vedere il vero deserto di sabbia, il Grande Erg Orientale. Le guide dicono che la strada è percorribile solo con i fuoristrada ma comunque vale la pena provare, dopo una settantina di chilometri sulla destra con a fianco un piccolo cafè, il bivio per l’oasi, ci sono tre persone, uno è un poliziotto e mi ferma, temo che mi dica che la strada è solo per i fuoristrada e invece è solo per chiedermi un passaggio per un collega che poi in realtà si rivela il direttore dell’accampamento fisso che si trova dentro l’oasi. La strada è agevole dritta e piena di dossi, meno male se no ci sarebbe da addormentarsi, man mano che si avanza le dune si sostituiscono alla roccia e la sabbia ogni tanto invade la sede stradale, dopo una trentina di chilometri, circa a metà strada incontriamo la stazione di un gasdotto, da qui la strada diventa sempre più stretta bisogna andare forte quando c’è la sabbia per prende’ ” la ire” come diceva il Moro. E` divertente un po’ come quando dopo le sciroccate serie, il lungomare di Campo si riempie di sabbia, solo che qui per evitare di rimanecci in mezzo bisogna entracci a palla. All`improvviso come un miraggio il villaggio, poco più che una serie di distributori (baracche circondate da fusti di benzina e gasolio) e di abitazioni con il tetto a botte e i panneli fotovoltaici, il tutto arso dal sole e senza nessun albero. E` il classico villaggio di frontiera dei film, quello prima del punto di non ritorno e in effetti, nonostante sia una zona ricca di petrolio, è l’ultima stazione di rifornimento prima di addentrarsi nel profondo sud Tunisino, il prossimo luogo dove è possibile rifornirsi è Borj el Khadra un avamposto militare, il punto più meridionale di questa nazione, che si trova a pochi chilometri da Ghadames la mitica città di carovanieri Tuareg nell’odierna Libia. Walid (il nostro passeggero che nel frattempo si è svegliato) mi dice di proseguire a destra su una pista sterrata in direzione dell’oasi, due tre curve a novanta gradi e poi un tratto che finisce appena prima di rimanerci dentro, ancora qualche centinaio di metri e siamo all’accampamento nel cuore dell’oasi di Ksar Ghilane. Questa è proprio la classica oasi dell’immaginario colletivo, le palme, la sorgente, il laghetto e poi le dune tutt’intorno. E` incredibile con quanta forza esca l’acqua che permette di irrigare un palmeto molto esteso che in alcuni tratti è addirittura allagato, il posto è molto bello e seguendo l’invito di Walid decidiamo di passare qui la notte. Intorno e dentro la pozza c’è un gruppo di tedeschi che fa il bagno, fa strano vedere le donne in bikini (e anche un po’ skifo perché so’ brutte) e la gente seduta che beve birra, ma questo è il turismo che violenta e omologa tutto anche le oasi. Fra qualche ora quando il sole sarà meno aggressivo vorrei andare a fare una camminata fra le dune fino a raggiungere l’antica fortezza di epoca Romana di Tivasar, che successivamente fu trasformata in ksour, di cui ho letto una descrizione molto appassionata. Dovrebbe trovarsi su uno sperone di roccia due o tre chilometri ad ovest dell‘oasi, chiedo a delle guide che si stanno riparando all’ombra del piccolo chioscho a bordo pozza che mi confermano i tre chilometri, ma quando capiscono che non ci voglio andare né in fuoristrada né in cammello i chilometri diventano prima cinque, poi sette e poi dodici, cosi` come i tanti pericoli che crescono con i minuti, pero` anche nel disappunto c’è comunque sempre cordialità. Fa troppo caldo per entrare nel deserto, andiamo in giro nel palmeto dove c’è anche un albergo, l’unico punto rumoroso dell’oasi a causa del gruppo elettrogeno che da la corrente elettrica al complesso. Il palmeto è rigoglioso e ci sono tantissimi datteri, all’interno si trovano delle piccole radure dove pascolano pacifici dromedari, asini e cavalli, nonostante siano avvolti da nuvole di mosche e zanzare. Il limite dell’oasi è segnato da grandi piante di tamerice, appena oltre troviamo delle dune alte una trentina di metri e molto ripide e bellissime, nonostante la luce accecante l’arancio dorato della sabbia contrasta con l’azzurro terso del cielo e le nuvole bianche sullo sfondo, è un posto ganzissimo per giocare a fare i salti, mi immagino quanto si divertirebbero i bimbi con cui facevo le escursioni all’Elba e mi riprometto di portare i bimbi Isolani in Africa per far partire “Basa Elba”. Prima di entrare nel deserto “vero” si ritorna al “villaggio di frontiera” l’auto ti consente di vedere tante cose perٍ sempre troppo filtrate, per capire di più bisogna andare a piedi meglio se lentamente, in modo che oltre a vedere le cose che cerchi, vedi anche quelle che ti vengono incontro. Il villaggio delle cellule fotovoltaiche e dei dirtibutori dipinti con i loghi e i colori delle auto e delle moto da competizione che sono passate da qui qualche tempo fa, è un posto vero e duro e anche i suoi abitanti lo sono, ci guardano con sospetto come a dire il vostro recinto è dentro l’oasi qui si viene solo per fare rifornimento, una bimba dagli occhi di ebano mi squadra curiosa mentre sta scaricando delle stagne dal cassone di un camioncino, è bellissima e mi viene di fotografarla ma mi fulmina con uno sguardo di censura e non riesco a scattare. Mi trovo a girare fra le case rifugio in un clima di gelo nonostante gli almeno quaranti gradi, ma poi la curiosità ha il sopravvento e gli sguardi di soppiatto diventano cenni e poi sorrisi, come sempre il ghiaccio è rotto dalle donne che allargano i sorrisi da sotto i veli censori. Questo è un villaggio di venditori di benzina e cammellieri, isolato da tutto dove l’energia arriva dal sole per mezzo delle cellule fotovoltaiche che sono collegate a gruppi di batterie i quali fanno funzionare le televisioni e l’lluminazione, ci sono anche dei lampioni con i panneli come quelli sulla strada sopra il Macciarello, mentre per l’acqua c’è un pozzo. Un asino immobile si gode l’ombra del carretto che da croce si è trasformato in privilegio, le case sono circondate da muri per difendere l’abitazione dalla sabbia che il vento ci spinge contro, il tutto è reso magico da incredibili nuvole bianche che come dirigibili immobili adornano il cielo. Mentre cammino fra i vicoli incrocio lo sguardo gentile di un bimbo che mi mostra fiero la sua meravigliosa bicicletta con una ruota sola con cui magari s’immagina pilota invincibile di moto da raid e mi ritornano in mente i pomeriggi passati a immaginarmi pilota da rally tutto rannicchiato dentro un macchinina a pedali ormai diventata troppo piccola, Salaam! Una voce ridente mi riporta a Ksar Ghilane, è un anziano del villaggio che assieme al nipote sta preparando i dromedari per andare all’oasi ad accompagnare i turisti, ne parla con rispetto ma anche come un corpo estraneo, facciamo un breve tratto insieme e poi ci salutiamo. Il sole ora è meno forte e cominciamo a camminare, contrariamente a quello che pensavo non ci sono né dromedari né fuoristrada, i tedeschi sono andati via e sono arrivati altri due gruppetti in fuoristrada di cui uno di italiani ma sono fermi dentro l’oasi. Iniziamo a camminare nel “mare di sabbia” scalzi si cammina perfettamente, le parole qui sono di troppo e come quando vai sott’acqua osservi e immagazzini immagini e produci pensieri. Come il mare sotto, il deserto è silenzioso ed è anche apparentemente sterile e invece è vivo e sempre in movimento, se la guardi bene la sabbia anche quando sembra non esserci vento si muove e anche sotto i piedi è sempre in movimento, è solido ma assomiglia tanto al mare anche nell’illusione di sentire la sua voce che ti parla entrando direttamente nei pensieri. Le dune in questo tratto non sono molto alte e sono gialle, ogni tanto c’è qualche cespuglio erboso e anche qualche alberello isolato, su ogni duna il vento ha disegnato trame diverse mentre le nuvole bianche e plastiche rendono bucolico questo ambiente di prima impressione infernale. Poi esce il vento che aumenta velocemente e la sabbia vola dentro basse nuvole che bucano quando ti battono addosso, man mano che il sole cala le dune diventano di colore cangiante, arriviamo alle dune più alte che la luce è veramente bella, a poco più di un chilometro ora si vede bene il forte dove vola un aquilone, a fianco dello storico baluardo c’è un fuoristrada che gli leva un po’ di poesia, dall’altro lato vedo in lontananza dei cammelli che stanno venendo verso ovest. Due turiste americane alcolizzate con due accompagnatori arabi molto più giovani di loro, le babbione puzzano di alcool e assomigliano a Fulvia maga mago`. Del forte romano è rimasto poco e niente e anche lo ksour è fortemente compromesso, iniziamo a tornare indietro fermandosi sulle dune più alte per vedere il tramonto, ci sono dieci minuti di pura magia in cui le dune sembrano di materia impalpabile, tanto il gioco dei chiaroscuri ne fa cambiare continuamente la forma, poi all’improvviso appena tramontato il sole cominciano a uscire dalla sabbia delle bellissime formiche grigio metallo con le zampe rosse, sono frenetiche e mordaci e gli garba pizzica’ nei piedi, sono le Cataglyphis Fortis dette anche formica del sahara dicano che sia attiva anche con temperature esterne di settanta gradi, i suoi segreti per difendersi dal caldo sono la velocità (per attraversare velocemente le zone assolate) e zampe lunghe (per tenere il corpo lontano dalla sabbia rovente) ma qui io le ho viste solo dopo il tramonto. Mentre il cielo si incendia a ovest e diventa algido e pallido ad est rendendo il paesaggio gelido e immobile, si cominciano a vedere le prime stelle quando da una grande tana esce un animale bianco, non riesco a identificarlo ma guardando le impronte penso che si tratti di un fenec la volpe del deserto. Ormai è notte, ma sotto le stelle camminare è ancora più bello, vedo i falo` degli accampamenti che sono a poche centinaia di metri dall’oasi, ecco dove erano finiti i cammelli visti prima, ancora quache passo e poi si rientra all’accampamento. |
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