Port Said Arriviamo alla stazione precisi per prendere il bus, sbaglio la fila mi metto in coda con le donne, mi brontolano e mi devo spostare. La strada è un veloce rettilineo che fiancheggia il canale circondata da un terreno nero di limo, da qualche laghetto salmastro e da campi verdi e frutteti rigogliosi. In un’ora siamo alla dogana per entrare sull’isola che è stata creata con i detriti dello scavo del canale depositati nel lago Manzala, su cui si estende Port Said, è una formalità necessaria perché la città è porto franco, ma è solo una formalità. Port Said è una grande città con palazzi e strade piene di traffico e nessuna traccia evidente dei bombardameni subiti durante la guerra con Israele, è ricca di banche e sedi di compagnie marittime. L’ingresso del canale dal Mediterraneo è delimitato da due strutture in muratura, in questo momento è chiuso in direzione Suez, i bastimenti man mano che arrivano vengono parcheggiati dalle pilotine a delle grosse boe lungo l’ingresso del canale e formano delle carovane di navi, in questo momento ce ne sono quattro in fila. Solo la prima zona del canale è visitabile poi inizia la zona militare e la zona dei cantieri che è interdetta. Dall’altro lato del canale si sviluppa il quartiere di Port Fuad che è praticamente il proseguo di Port Said collegato da dei piccoli traghetti gratuiti che fanno continuamente la spola, ne prendiamo uno anche perché è il posto migliore per fare le foto alle navi. Tornati a Port Said si fa un giro tra il porto e le strette vie di impostazione coloniale e poi passando dal porto peschereccio si arriva sulla costa mediterranea che si sviluppa con una lunga spiaggia piena di grandi conchiglie con l’orizzonte punteggiato di navi a rada. Ritorniamo alla blindatissima stazione dei pullman per rientrare a Ismailia, dalla corriera si vedono i convogli provenienti da Suez che stanno risalendo il canale, è un’immagine suggestiva con le grandi navi che scorrono da dietro l’argine che sembrano arare il terreno passando davanti a palme, granai e alle mucche al pascolo che ignorano il passaggio continuo delle gigantesche porta container. In serata ci fermiamo a vedere due pescatori che dalle rive del lago Timsah, con grande fatica stanno salpando una grande sciapica, è una rete molto grande e fanno una fatica disumana e alla fine non raccolgono praticamente niente. Sotto una grande stellata rientriamo alla base, domani inshallah si entra nella penisola del Sinai. |
|
Monthfebbraio 2009
|
La tempesta di sabbia Da Ismalia in bus ci spostiamo verso Suez, città costruita sul vertice meridionale del canale. Già al tempo dei Faraoni l’uomo aveva pensato di collegare il Mar Rosso con il Mediterraneo, ci sono dei documenti risalenti al 610 avanti cristo che ne parlano e per primi ci riuscirono i persiani sotto Dario il secolo dopo. Anche i romani migliorarono questo primordiale canale di Suez che collegava il Mar Rosso con Bubastise e da lì, attraverso i canali del delta, al Mare Nostrum. Ma il canale vero e proprio come lo conosciamo noi fu inagurato nel 1869 al termine di dieci anni di lavori stravolgendo le rotte marittine e i commerci dell’intero pianeta. Il canale rimase in mano ai francesi e agli inglesi fino al 1956 fornendo alle due potenze coloniali ingenti guadagni, loro malgrado dovettero subire la nazionalizzazione del canale da parte di Nasser che, con i dazi di transito finalmente in tasca all’Egitto, finanziò la costruzione della famosa diga che porta il suo nome e che ha stravolto la vita dell’Egitto e forse anche il clima del mondo tutto. La strada corre dritta nel deserto dove ci sono tante basi militari con cannoni e carri armati, tante di queste basi sembrano bombardate di recente con mura e hangar semidistrutti e le garritte annerite, evidentemente sono i segni della guerra contro Israle del 73, o addirittura di quella del 67. Arriviamo a Suez dentro una tempesta di sabbia, il cielo è giallo e la visibilità assai scarsa, attraversiamo il ponte che collega il centro principale con Port Taufiq il vero ingresso del canale che qui è veramente scavato nel deserto, in questo momento non stanno transitando navi, c’è il blocco in entrata, ma a rada ce ne sono tante che attendono l’apertura che avverrà dopo il transito dei convogli che devono arrivare dal Mediterraneo. Qui rispetto a Ismailia è tutto più trasandato, solo un piccolo tratto di passeggiata di Port Taufiq consente di vedere il canale il resto è tutto militarizzato e interdetto e le vie interne sono ricche di banche e uffici di compagnie di navigazione chiuse. Suez città, è piccola e malridotta con i segni della guerra ancora visibili se si esce dalla zona centrale. Dopo una colazione ritardata con frullato di banana, ci andiamo a mangiare un pesce a metà strada fra il parago e il dentice da un grigliarolo sulla via del centro, sopra la “cucina” c’è un ristorantino dove si può consumare il pesce, è un posto ganzissimo una specie di capanna gestita da tre allegre gioiose velate ma alquanto disinibite. Ritorniamo a Port Tauiq passando da un elegante e decadente quartiere coloniale e finalmente vediamo le navi nel canale che stanno arrivando da nord, è un flusso costante come una processione, le sagome delle navi si materializzano nelle polvere del deserto e poi ci passano a fianco prima di entrare nuovamente nel mare, le più impressionanti sono le gigantesche portacontainer, la più strana una nave con quattro gigantesche bolle bianche sulla coperta che sembra una base spaziale. Per rientrare il pullman non c’è, ma non è un problema perché c’è un Peugeot 504 collettivo che sta per partire per Ismailia e il tassista beduino che lo guida è un vero driver, va sempre a chiodo e sorpassa facendo peli millimetrici a camion e vetture, in un’oretta siamo nuovamente a Ismailia. Ismalia è la città delle donne, perlomeno rispetto alle altre città del nord Africa ci sono molte più donne in giro rispetto ai maschi, anche perché molti uomini vanno a lavorare nei vicini stati della penisola arabica dove rispetto all’Egitto guadagnano molto di più e di conseguenza lasciano più libertà di movimento alla donne, ci vorrebbe più tempo per approfondire la cosa ma per esempio rispetto a una città come Marsa Matrhouh la differenza di atmosfera è macroscopica. |
|
Le navi nel deserto Sveglia nel silenzio del lago Timsah, un grande catamarano e una barca a vela con un lungo albero a tre crocette escono dal porto di Ismailia in direzione Suez, dopo poco tre grandi navi risalgono il canale verso Port Said. Nel lago ci sono già tanti pescatori a lavoro, si spostano a remi o a vela sfruttando il vento teso del lago con delle piccole vele improvvisate fatte cucendo insieme sacchi di plastica. È una zona ricchissima di uccelli, tantissime upupa e tanti uccelli marini sempre intenti a pescare e a catturare gli scarti dei pescatori e dei tanti pesciaioli che vendono lungo la via, il lago è ricco di tante piccole isolette verdeggianti e nelle zone più calme si formano delle vere e proprie praterie di erbe marine. Ci spostiamo verso nord fiancheggiando un canale secondario dove ogni centinaio di metri ci sono delle chiuse comandate da dei timoni a mano, probabilmente risalenti al periodo coloniale come le tante ville che fiancheggiano questo canale. Ismailia, nata come Suez e Port Said insieme al canale, è ricca di verde, ci sono tanti parchi con prati e grandi alberi. Dopo un paio d’ore si arriva al canale dove ci sono i traghetti che attraversano continuamente collegando la sponda africana con quella asiatica. Le navi risalgono continuamente il canale a piccoli convogli di tre alla volta, ma questo piccolo scalo è uno dei pochi punti accessibili del canale il resto, perlomeno in questo tratto, è tutto interdetto da basi militari. Sulla via del ritorno veniamo invitati da una famiglia di Ismailia a prendere un the con loro in uno dei grandi parchi, è una famiglia numerosa e allegra c’ha invitato il capofamiglia che ci presenta la moglie i figli, un fratello, un paio di sorelle e relativi consorti e figli, ci godiamo questa atmosfera familiare rilassata mangiandoci anche un paio di dolcini boni e poi si rientra verso il lago. |
|
Il lago dei coccodrilli Si parte col pullman avvolti nella classica nebbia alessandrina del primo mattino, la strada attraversa la pianura del delta velata di umidità ma già attiva, campi verdi e alberi adornati di immobili ibis bianchi, gli asini camminano tristi sui bordi dei canali, mucche e bufali pascolano nei prati acquitrinosi mentre dalle infinite distese verdi dei coltivi sbucano le teste dei tanti contadini che lavorano gattoni nei campi, i canali in manutenzione sono quasi secchi e mostrano chilometri di pattume, con il salire del sole tutto diventa luminoso e vitale, nel delta è già iniziata la primavera. Passiamo dentro la città di Zagazig, dal pullman si vede una lunga distesa di grandi e brutti palazzi, solo una grande statua di Ramses ci ricorda che siamo nel cuore dell’antico Egitto, qui infatti sorgeva Bubastis una delle più antiche città dell’Egitto dei faraoni risalente al periodo di Cheope e dedicata a Bastet la veneratissima dea gatto. Poi ancora campagna e canali fino a Ismailia che si presenta tranquilla e allegra con i suoi taxi arancioni, l’ostello è pieno ma non ci sono problemi questa città nata col canale di Suez è piena di alloggi -è infatti una delle mete del turismo interno- e ci piazziamo sul lago Timsah dove un tempo vivevano numerosi i coccodrilli. Il lago ha un aspetto piacevole peccato che intorno è tutto cemento, sul lato orientale del lago passa il canale di Suez dove si vedono passare le grandi navi mercantili che stagliano le loro sagome sulla sabbia del Sinai. Nel lago ci sono tanti pescatori che calano continuamente piccole reti, il canale per loro è stato una grande fortuna ha aperto la strada ai pesci del Mediterraneo e del Mar Rosso anche se la maggior parte di loro pescano soprattutto “gorani” con lo sciapichello. C’è un’atmosfera rilassata e tranquilla, i pescatori vendono il pesce direttamente dalla barche arenate a riva e usano il banco di prua come espositore e l’atmosfera tranquilla si mantiene anche spostandosi nel centro della città che è caratterizzato da una grande moschea e da tanti negozi di stampo occidentale. |
Overdose di cioccolato Giornata a leggere e scrivere della seconda guerra mondiali ed a preparare testi per gli articoli e per il Viottolo, salutiamo Alessandria con un overdose di torta al cioccolato. |
|
|
Il Faraone barbuto Prima di lasciare Alessandria vorrei vedere il famoso museo greco romano ma purtroppo è chiuso per restauri, è però aperto il museo nazionale di Alessandria, dove troviamo solo un po’ di giapponesi, sicuramente bello e interessante ma niente di fantasmagorico. C’è la cronostoria di Alessandria dal periodo dei grandi faraoni ai giorni nostri, mi colpisce la statua di un faraone barbuto è la trasfigurazione dell’impertore Romano Caracalla nel Dio Re degli egiziani, ulteriore testimonianza della cultura promiscua anche in campo artistico di questa città. Il pezzo forte del museo è il busto di Akhenaten il famoso faraone eretico, che si trova nel livello più basso interamente dedicato all’Egitto dei faraoni, nella penombra di questo piano interrato fra gli espositori ricchi di gioielli e affreschi colorati, spuntano le statuette di uomini con la pancia e donne sensuali, sono opere raffinate ma prive del movimento delle statue greche e romane a cui è dedicato il livello successivo. Poi si passa all’arte copta, per arrivare alla pochezza del periodo arabo che nonostante la cura espositiva e il tanto spazio dedicatole non mi entusiama. Tornati nelle vie metropolitane ci spostiamo verso il porto nuovo ma gli accessi sono interdetti, c’è solo una via di smog e rumore che ci riporta nella zona dei i ristoranti di pesce. Per strada assistiamo alla solita finta rissa che finisce a pacche sulle spalle e poi si va a fare un giro sulla spiaggia di Anfushi devastata dalla sporcizia. Sul margine nord dell’arenile ci sono i cantieri dove costruiscono grandi panfili con tavole sottili che danno un gran senso di fragilità, come anche gli impianti idraulici delle barche fatti con pezzi di manichetta, fascette e tubi di plastica tipo carta velina. Dopo aver attraversato i resti del mercato del pesce nel porticciolo dei pescatori noleggio una barca a remi per capire se le braccia sono sempre vive, vogando fra le barche e i gavitelli del porto sopra un mare unto di nafta che custodisce ancora chissà quante meraviglie archeologiche. |
|
El Alamein, memorie di coraggio, ardimento e follia Fuori dalla stazione dei treni di Mahattat Misr in un delirio di asini, carretti e pulmini cerchiamo un mezzo per andare a El Alamein, per visitare il Sacrario a memoria dei soldati italiani caduti nelle due famose battaglie della seconda guerra mondiale. Saliamo su uno dei tanti micropulmini che portano fino alla stazione esterna alla città e poi da lì prendiamo il pullman per Marsa Matrouh. Scendiamo davanti al Sacrario italiano che si trova a circa otto chilometri a ovest dell’abitato di El Alamein. È un luogo di lutto e silenzio con tante lapidi enfatiche ma anche commoventi, che ricordano il coraggio e l’ardimento eroico dei tanti soldati italiani che qui hanno combattuto con tenacia sovraumana e in migliaia si sono immolati per rispettare le consegne. Le tante iscrizioni parlano di gloria e onore, patria e ideali, nessun accenno alla follia della guerra, allo spreco di tante giovani vite, a quanto coraggio e ardimento sono stati distrutti, a quanta energia e capacità rese vane per questa immane follia, a quanta vita è stata sprecata per assecondare i criminali disegni di morte di un branco di folli. Eroi, sicuramente è stato eroico il comportamento dei Para’ della Folgore ad El Alamein così come quello dei carristi della divisione ariete e prima di loro i Bersaglieri, gesta piene di ardimento e capacità, ma anche di follia, leggere “Consacrato al riposo di 4800 soldati marinai ed avieri d’Italia, il deserto ed il mare non restituiscono i 38000 che mancano” provoca dolore ma anche rabbia. Assieme alle tante lapidi commemorative e toccanti come quella del Ten. Col. dei Para’ Alberto Bechi Luserna “Fra sabbie non più deserte sono qui di presidio per l’eternità i ragazzi della Folgore fior fiore di un popolo e di un esercito in armi caduti per un’idea, senza rimpianti, onorati dal ricordo dello stesso nemico essi additano agli italiani nella buona e nell’avversa fortuna il cammino dell’onore e della gloria. Viandante arrestati e riverisci. Dio degli eserciti accogli gli spiriti di questi ragazzi in quell’angolo di cielo che riserbi ai martiri e agli eroi” Avrei voluto leggere anche qualcosa come “Grande e commosso rispetto per l’eroismo e il coraggio di questi ragazzi coerenti fino alla morte. Infinita vergogna per chi ha permesso che questo si verificasse impedendo a questi ragazzi di diventare i grandi uomini che sarebbero sicuramente stati” Un largo vialone conduce al monumento principale, una torre ottagonale sulla cui sommità sventola un tricolore italiano consumato dal vento. L’interno è austero e solenne, migliaia di loculi di cui centinaia con l’iscrizione Ignoto ne ricoprono le pareti, al centro un altare e poi delle grandi finestre che si aprono sul deserto e il mare. Poco distante un altro monumento che segnala il punto denominato Q33 il luogo del primo cimitero. Nel frattempo si è avvicinato al confine con l’area recintata un branco di dromedari portati al pascolo da due ragazzi beduini, ci sono diversi cuccioli che approfittano di ogni pausa per farsi una poppata. Ci spostiamo verso il mare attraversando un paio di chilometri di deserto bianco che nell’ultimo tratto diventa un pianoro salmastro, quelle che da lontano sembravano dune di sabbia in realtà sono friabili rocce bianche che il mare ha frantumato lungo la linea di costa. Camminiamo lungo costa avvolti nella luce di un sole potente che si riflette nelle rocce bianche e nel turchese intenso del mare, finalmente dopo il caos delle città solo suoni della natura, il soffio del vento e il mare che frange. Incontriamo solo tre ragazzi beduini venuti a pescare che stanno preparando un focherello per il pranzo, sono gentili e hanno facce rilassate. Ritorniamo verso la strada arrivando al cimitero tedesco, una severa costruzione molto simile a quella già vista a Tobruk, qui però è tutto chiuso, proseguiamo verso la strada. La prima macchina che passa ci da subito un passaggio e ci accompagna fino al museo militare di El Alamein, uno dei due passeggeri parla bene italiano perché ha lavorato vent’anni in nord Italia, sono molto gentili ci accompagnano fino al museo e addirittura ci vogliono aspettare perché anche loro vanno a Alessandria. Il museo è ben fatto e interessante, ricco di documenti, foto e cimeli e c’è anche un grande e spettacolare plastico che riassume tutte le battaglie svolte nella seconda guerra mondiale fra l’Egitto e la frontiera algerina. Purtroppo è l’ora di chiusura e i tanti inservienti di questo museo sono inflessibili e vogliono chiudere, quindi torniamo sulla strada per cercare un passaggio. Se le vie di Alessandria e del Cairo danno l’impressione che gli egiziani siano gentili solo per interesse, chiedendo passaggi sono di una generosità e una gentilezza disinteressata sconosciuta dalle nostre parti. L’autista di un furgone mi vede, rallenta, si ferma e fa retro marcia e poi ci carica, anche loro stanno rientrando verso Alessandria dopo una giornata di lavoro in questa zona che è, come già detto, un interminabile cantiere. I centoundici chilometri di deserto che separavano i bersaglieri del settimo reggimento da Alessandria nel millenovecento quarantadue, oggi sono una lunga città costiera dove sono state costruite e si stanno costruendo migliaia e migliaia di villaggi residenziali turistici. Dopo un’ora di viaggio lungo la strada ininterrottamente fiancheggiata da cemento, siamo nuovamente ad Alessandria con la sua periferia che sta strappando la terra alle lagune per costruire abitazioni e impianti industriali, lagune e canneti sono assaltati da ruspe, trivelle e idrovore e tutt’intorno i palazzi si perdono a vista d’occhio. Ci accompagnano in un centro commerciale, uno dei più grandi di Alessandria, è un centro enorme, uguale a tutti i centri commerciali del mondo, dove però non si trova lo zaino che si stava cercando. Mentre cammino nel fiume umano di questo grande hangar colorato e illuminato dalle solite scritte penso alla follia epica dei “Leoni della Folgore” ad El Alamein, così lontana da questo mondo che si sta consegnando a multinazionali e centri commerciali senza l’onore delle armi. |
|
La biblioteca di Alessandria Finalmente sono in pari, oggi voglio andare a vedere per bene la nuova biblioteca inaugurata nel duemiladue e considerata il vanto della città. La storia e il prestigio di Alessandria nell’antichità erano strettamente legati alla sua biblioteca, istituita per volere di Tolomeo subito dopo la fondazione della città, in breve diventò la più grande biblioteca del mondo ed arrivò a contenere oltre settecentomila testi. Intorno a tanto sapere archiviato prese forma il più grande centro culturale dell’epoca classica dove vennero fatte alcune delle scoperte più importanti della storia umana, che poi la moderna scienza ha certificato come esatte solo un paio di millenni dopo, la fama di Alessandria e della sua biblioteca sarà legata per sempre a personaggi come Aristarco che scoprì che la terra ruota intorno al sole, Erastotene che fra le altre cose calcolò la circonferenza della terra, Euclide l’inventore della geometria e a tanti altri protagonisti di quel momento storico straordinario. In una ventina di minuti camminando tra i palazzi ormai decadenti del cuore di Alessandria da piazza Saad Zaghul si arriva alla nuova Biblioteca. L’edificio più prestigioso della città è un grande e futuristico semicerchio che rappresenta il sole della cultura che risorge sulla città fondata da Alessandro il Grande, le pareti esterne sono in granito e ci sono incise lettere, geroglifici e simboli che rappresentano tutte le forme di scrittura del pianeta, ha un aspetto massiccio e un po’ tetro ma è ingentilito dai laghetti artificiali che lo circondano e comunque non è l’architettura esterna l’aspetto più interessante. Dopo aver passato i controlli si entra, la sala principale è un ambiente grandioso e affascinante, ci sono contenuti otto milioni di libri tutti divisi per argomento e tutti consultabili e fotocopiabili gratuitamente, ci sono quattro piani principali contenuti nella stessa grande stanza e per ogni piano ci sono centinaia di tavoli dove leggere, ogni posto a sedere ha un computer da dove si può accedere sempre gratuitamente all’archivio virtuale della biblioteca. Il cervellone dell’archivio internet fa bella mostra di se dietro una vetrata con tanto di monitor che informano sul numero enorme e sempre crescente dei dati immagazzinati, è un’immagine che sa di tanto 2001 odissea nello spazio, è come se dentro questi cassoni dai tanti led luminescenti ci stesse immagazzinato tutto il sapere dell’umanità. Trovo dei libri interessantissimi sul Nilo, questo è un luogo esaltante, lontano dall’immagine noiosa e polverosa della classica biblioteca, è un posto meraviglioso dove tante persone vengono a cercare informazioni e a studiare, un ambiente ideale silenzioso e luminoso e tutte queste persone che ci sono trasmettono una sensazione di potenza consapevole, la potenza della conoscenza. Oltre alla grande sala ci sono delle zone dedicate alla cartografia, alla musica (dove si può ascoltare prendendo da un archivio infinito) e ai testi sull’arte, ci sono anche delle mostre di cui una bellissima sulla storia della città che si sviluppa cronologicamente con centinaia di stampe e foto. Quando usciamo è orami il tramonto, volevo andare a vedere anche il planetario ma è tardi e allora mi limito a fare qualche foto a questa sfera scura che sbuca nella grande piazza fra la biblioteca, la sala conferenze e l’univesità. Certo che c’è tanta dissonanza fra questa zona e le brutture e la tanta miseria che si epandono a dismisura spostandosi solo di qualche centinaia di metri da qui, ma questa biblioteca è giustamente l’orgoglio di questa città e anche del mondo tutto. |
Migrazione contro corrente Oggi mi è arrivata un’altra lettera da persone che leggendo i racconti del viaggio di elbaeumberto mi scrivono per avere informazioni sui paesi magrebini, non per turismo o viaggi, ma per trasferirsi in maniera permanente in Africa. La crisi economica sta accelerando in maniera considerevole questo processo, che in Tunisia era veramente macroscopico, se ne parla poco di questa migrazione controcorrente ma ora ci sono tanti europei in viaggio che cercano fortuna in Nord Africa. |
|
Burka da spiaggia Il sole fa venire voglia di mare e la spiaggia sta prendendo vita, ci sono anche i pedalò in mare che prudentemente gironzolano vicino alla riva, il noleggiatore: camicia, maglione e giaccone di pelle non ha un aspetto molto balneare e nemmeno le ragazze che passeggiano sulla riva della spiaggia nascoste dai Burka. |
|
© 2024 Elba e Umberto