Monthgiugno 2009

Luned?¨ 6 aprile 2009 Oasi di Bahariyya – Egitto

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La valle delle mummie dorate e le vacche mummificate
Stamattina il tempo è bello e cosa ancora più piacevole la temperatura è sensibilmente calata, ne approfittiamo per fare una camminata nel deserto ai confini dell’oasi per vedere la valle delle mummie dorate. La zona dista solo qualche chilometro da Bawiti, è una grande area brulla dove ci sono tanti resti di alberi fossilizzati, le rocce sono strane soprattutto nella parte superiore che sembra essere placcata di ferro rugginoso, spingendosi all’interno cominciamo a trovare delle tracce di sepoltura e dopo poco nelle zone più rocciose, dei veri e propri pozzi a cui si accede all’antica necropoli. Qui nel 1996 a quanto si racconta un contadino casualmente ha scoperto una mummia dalla maschera dorata, la notizia è giunta agli archeologi che hanno iniziato una campagna di scavi che ha portato a scoprire la più grande zona di sepolture di mummie risalenti al periodo romano. In questa area di circa trentasei chilometri quadrati sono state rilevate a quanto si dice più di diecimila mummie che sono ancora quasi tutte dentro la necropoli. Sono numerose le aperture che scendono giù nel sottosuolo e con un minimo di attrezzatura non sarebbe difficile entrare, la zona è totalmente abbandonata, nessuno scava e nessuno controlla, si vedono solo le tracce dei lavori archeologici. Camminiamo per qualche ora in questo grande cimitero incontrando anche resti di un villaggio abbandonato in mattoni crudi, di cui è molto difficile stabilire l’età. Spostandosi verso la zona verde in direzione nord ovest troviamo i resti di un forte in pietra circondato da strutture di mattoni crudi, probabilmente una fortezza risalente anche questa al periodo romano. Come spesso accade nel deserto anche qui incontriamo numerosi resti di animali morti, soprattutto mucche che ricoperte parzialmente dalla sabbia, sembrano mummificate. Ritorniamo verso Bawiti e dopo una pausa the e un rifornimento d’acqua ripartiamo in direzione del Djebel Dist, la montagna a forma di piramide che avevamo visto nei giorni scorsi dalla sommità del Djebel Engleez. La camminata è piuttosto lunga, una ventina di chilometri, la prima parte attraversa la grande oasi ed è piacevolmente ombreggiata dalle grandi palme, poi piano piano diventa sempre più brullo, ma comunque coltivato spesso a grano. Per fortuna da queste parti c’è sempre chi ti da un passaggio e un pick up ci carica sul cassone portandoci nella zona della montagna. Ci avviciniamo al rilievo attraversando campi di grano e girasoli, passando vicino ad una casa un bimbo incuriosito dalla nostra presenza ci viene incontro e ci invita a prendere un the. La montagna oltre a essere molto bella è anche estremamente interessante perché qui sono stati ritrovati numerosi resti di dinosauri, questa zona, come del resto tutta la depressione di Bawiti, 80 milioni d’anni fa era una grande palude abitata dai giganteschi rettili. Il primo a scoprire i resti di dinosauro fu un paleontologo tedesco, un certo Ernst Stromer von Reichenbach che nel 1914 qui trovò un vero e proprio cimitero di questi giganteschi sauri del passato. Fu una scoperta sensazionale perché mai prima di allora erano stati trovati resti di dinosauro al di fuori delle americhe e si pensava che questi rettili fossero un’esclusiva del nuovo mondo. Purtroppo i preziosi reperti fossili, dopo essere stai portati in Germania, furono distrutti durante i bombardamenti anglo-americani della seconda guerra mondiale. In tempi molto più recenti qui è stata fatta una scoperta ancora più sensazionale, nel duemilaeuno da un gruppo di studiosi americani sono stati scoperti i resti di un gigantesco rettile erbivoro lungo ventotto metri, alto otto e dal peso stimato di una settantina di quintali, che è stato battezzato Paralititan Stromeri in onore del paleontologo Tedesco. Ormai è tardi per cercare le tracce dei giganti del passato, ma il posto è veramente molto bello e decidiamo di tornarci domani per approfondire la conoscenza. Intanto sfruttando la bella luce del tramonto che si sta avvicinando si fotografa questo affascinante paesaggio dominato dalla piramide elegante del Djebel Dist e dal vicino Djebel Maghrafa (monte mestolo) è caratterizzato da suggestive rocce chiare erose dal tempo, che fuoriescono dalla pianura scura, dalla sabbia anche qui fanno capolino carcasse bovine . Ci godiamo un bel tramonto e poi si comincia il percorso di ritorno aiutati da una luna sempre più grande, che man mano che cala la notte illumina tutto. Una volta raggiunta la strada in pochi minuti veniamo nuovamente ospitati nel cassone di un furgoncino che ci riporta dentro Bawiti.
 
   

Domenica 5 aprile 2009 Oasi di Bahariyya – Egitto

  La tempesta di sabbia 
E’ arrivata una tempesta di sabbia, il vento è caldissimo che si fatica a respirare eppure c’è chi sta facendo una gettata di cemento, spingendo grandi carrette che già vuote peseranno 40 chili. L’aria è di polvere e il computer nonostante sia al riparo si colora velocemente di giallo ocra. Non si vede niente, solo aria rossa e polvere.
 
   

Sabato 4 aprile 2009 Oasi di Bahariyya – Egitto

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Le Mummie Dorate e il camion delle bombole del gas
Dopo una nottata insonne di battaglie con le zanzare arriva l’alba, ci sono già una ventina di gradi, il sole è ormai alto ma Bawiti è ancora addormentata. Si passa dal cimitero dove ci sono due marabutti, il più grande ha dentro almeno sei sepolture, ma è tutto pieno di sporcizia; nel secondo, senza volta, c’è addirittura un teschio, forse è quello del “santo” che riposa tra la spazzatura e una cacata, il culto dei morti islamico è sempre spiazzante, però aiuta a capire il disinteresse della gente verso le storie e le genti del passato.
Andiamo nella zona del museo delle mummie dorate e dopo un po’ di attesa si entra, sono esposte una decina di mummie trovate qui vicino nel 1996, si tratta di un piccolo campione delle circa duecentotrenta che sono state estratte dall’antica necropoli risalente al periodo Greco Romano, dove sembra ne siano state identificate più di diecimila. Rispetto a quelle del periodo Faraonico precedente alle dominazioni straniere, sono molto grezze, i corpi sono ricoperti di bende adornate con disegni colorati che niente hanno a che vedere con la precisione e la raffinatezza delle loro antesignane, anche le famose maschere dorate sono lontanissime dallo splendore di quelle di Tutankamon o della regina Tuya viste al museo del Cairo, la famosa doratura di queste mummie consiste in uno strato sottile di vernice dorata posta sopra le bende di lino che dopo essere state impregnate nel gesso venivano applicate sui volti dei defunti e infine vi disegnavano gli occhi, i capelli e la bocca per riprodurre più fedelmente possibile la fisionomia del defunto. In questo periodo la mummificazione era diventata un fenomeno di massa e quasi tutti si facevano mummificare per accedere alla vita eterna, però come sempre quando le cose diventano alla portata di tutti, la qualità scade e anche le formule magiche disegnate sui corpi mummificati danno l’impressione di essere solo un frettoloso ricopiare. Nel museo si stanno concentrando i turisti, sono arrivati un gruppetto di italiani e uno di tedeschi, lasciamo il deposito delle mummie e ci spostiamo  di qualche centinaio di metri e andiamo a visitare le tombe di Quarta Qasr Salim, le più famose di Bawiti, che risalgono alla XXVI dinastia. Si trovano proprio in mezzo all’abitato, all’interno di in poggiolo di terreno brullo che è recintato ma ha il cancello aperto, sembra che non ci sia nessuno ma i custodi sono tutti in un grande stanzone a pennicare, uno un po’ contrariato si alza e ci apre il grande cancello a botola, si scende nella prima tomba più grande che fu costruita per Bannentiu, che le iscrizioni geroglifiche descrivono come sacerdote. Alla fine della discesa ci sono due stanze decorate con colori vivaci, con le solite raffigurazioni di dei e offerte e quelle del padrone di casa, la moglie e il figlio, gli affreschi sono grezzi nella fattura  ma molto accesi nei colori, sono realizzati su di un velo di intonaco, ora molto delicato, appoggiato sulle pareti di arenaria, purtroppo il calore delle luci al neon sta facendo crescere una muffa nera che si sta mangiando gli affreschi. Mentre siamo dentro scende un gruppetto di tedeschi e nonostante siano persone assai rispettose del sito, si vede come la presenza di tante persone in uno spazio così angusto produca danni irreparabili, le mani che finiscono sui dipinti, lo zaino che struscia sulle pareti e si porta via un pezzo di colore, ma è soprattutto l’umidità che si sviluppa con la presenza delle persone che sta distruggendo rapidamente le pitture. Risaliamo per andare a vedere l’altra tomba visitabile di questo sito, la più famosa, quella di Zed-Amun-ef -ankf  un ricco commerciante che era anche il babbo di Bennentiu, è più piccola ma molto bella, con un'unica camera centrale adornata da quattro piccole colonne irregolarmente cilindriche che sono scalpellate nella roccia formata da sottili strati di diverso colore che si armonizzano bene con i colori dei dipinti, purtroppo anche qui i colori stanno subendo grossi danni a causa della poca cura con cui sono illuminate le tombe e da come sono gestite le visite. Ai lati nelle pareti ci sono altre aperture che conducono a piccole tombe senza decori risalenti al periodo romano, quando in questa zona furono costruite delle tombe collettive.
Fa caldo oggi a Bawiti, ci spostiamo camminando in direzione di Farafra per vedere un’altro complesso funerario che dista qualche chilometro, percorrendo le solite vie polverose vediamo passare i pulmini dei turisti incontrati prima, probabilmente vanno a vedere il Deserto Bianco. In uno slargo lungo la via c’è grande movimento e assembramento, è arrivato il camion delle bombole del gas, si scaricano le piene e si caricano i vuoti, ancora qualche decina di metri, l’abitato finisce ed è già deserto, qualche minuto di cammino e troviamo un controllo di polizia, il militare è perplesso di vederci lì a piedi e senza guida, risolve tutto una guida beduina in fuoristrada che sta entrando a Bahariyya con una famiglia di belgi, anche il poliziotto come i bimbi del villaggio mi chiede una penna “uangonben!?” Ma avrebbe anche ragione visto che registra i passaggi con il tubino dell’inchiostro di quella che fu una penna a sfera. Qui vicino ci doverebbe essere la tomba più antica ritrovata in questa zona, un blocco di arenaria e un casotto di frasche di palma ci fa capire che siamo sulla giusta via, nel capanno ci sono tre guardiani stesi all’ombra, “ticket” mi urla uno, mostro il biglietto che vale per tutti i siti dell’oasi e si avanza verso il sito, la tomba di Amenhotep Huy risale alla XVIII dinastia, non è che ci sia un granché, è rimasto poco si intuisce con un po’ di fantasia qualche traccia di figura umana e delle spighe di grano, resti di altre tombe e resti di grossi pezzi di ceramica spessi diversi centimetri. Andando via per qualche metro ci segue il canino festante dei guardiani sempre sdraiati in capanna. Si riprende la via e si ritorna verso il deposito del gas dove ormai i vuoti sono quasi tutti sul cassone del grande camion e la gente sta tornando a casa con le bombole portandole nelle maniere più disparate, i bimbi a piedi le fanno rotolare sulla strada inventandosi una specie di gara che trasforma in gioco il lavoro, chi le carica sull’asino, chi sul carretto o la bicicletta, tanti con le moto spesso caricando due bombole sui fianchi del centauro a mo’ di soma di ciuco, poi i più ricchi con i motocarri, i pik up e i trattori. Il sole è vicino allo zenit ormai è troppo caldo per camminare, ci ripariamo all’ombra per qualche ora e poi verso le tre si riparte per andare a vedere il tempio di Ain al-Muftella, anche questo, come le tombe dentro il paese, risalente alla ventiseiesima dinastia, anche qui lungo la strada che costeggia l’oasi le solite strade sabbiose e le solite situazioni, l’edificio più interessante la tomba di uno sciecco con la classica cupola conica e il solito corredo di spazzatura all’interno, poi la strada diventa asfaltata e cammina nel deserto anonima finché non si incontra una cancellata con all’interno una tettoia. I due guardiani ci dicono è chiuso, come al solito questi siti poco visitati sono sempre chiusi, gli orari di visita vengono gestiti a bashish, nonostante il biglietto il tempio rimane chiuso, faccio un giro fra mattoni crudi e i resti del santuario, dalle fessure delle porte si intravedono i classici rilievi che si vedono nei templi Egizi. Si prosegue camminando verso sud e si rivede la strada da cui siamo arrivati da Siwa, sul cavo dell’eletricità che fiancheggia la strada c’è una lunga fila di gruccioni, che forse si preparano a partire per l’Europa, mentre ai bordi della via ci sono diversi cadaveri di animali senza testa, soprattutto gatti e galli che mi fanno pensare a riti di magia nera ancora diffusi fra la popolazione nonostante siano combattuti dall’islam. Si cammina fra campi di grano e ogni tanto spunta qualche piccolo girasole, poi isolata incontriamo una grande villa dall’architettura vistosa, con tanto di pratino all’inglese e mercedes nero davanti al portone, forse la casa di un moderno Zed-Amun-ef-Ankf, nel frattempo la temperatura si è abbassata e il cielo si è coperto di nuvoloni gialli, incredibilmente piove, sono solo poche rade gocciolone me qui è comunque un evento e la cosa preoccupa i muratori che stanno costruendo il minareto di una moschea di campagna. Seguendo la mappa che mi porto dietro, il famoso tempio di Alessandro Magno non dovrebbe essere lontano, infatti tagliando per i campi grazie anche alle indicazione di alcuni contadini lo vediamo in lontananza e attraversando una distesa arida lo raggiungiamo. Anche se alcuni studiosi ritengono che Alessandro non sia mai passato da qui, sembra che il condottiero Macedone, dopo aver ottenuto conferma dai Sacerdoti dell’Oracolo di Amon a Siwa sulle sue origini divine, sulla via del ritorno sia passato da qui e in onore di Ammon e di se stesso abbia fatto erigere questo monumento. Sta di fatto che questo è l’unico tempio dove sono state trovate raffigurazioni e cartigli di Alessandro Magno. Purtroppo però ormai non si vede quasi niente perché l’erosione ha consumato quasi tutto e poi la visita risulta angosciante perché i due guardiani particolarmente ottusi, ci vogliono mandare via in tutti i modi asserendo che il sito è chiuso e che i turisti arrivano dalla strada e non dai campi e solo la mattina. Sulla via del ritorno passiamo da un piccolo villaggio dove la gente dopo una giornata nei campi si rilassa e si lava nelle pozze di acqua tiepida alimentate dalle sorgenti calde che sbucano un po’ ovunque. È ormai buio quando si rientra  camminando nel flusso dei ciuchi di rientro dalla campagna e poi il paese ci accoglie con i bimbi che recitano a pappagallo “uan ben……”  
 
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Venerd?¨ 3 aprile 2009 Oasi di Bahariyya – Egitto

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Djebel Engleez
Colazione con una spettacolare macedonia che Serena ha preparato con la frutta dell’oasi: una zuppiera di fragole, banane, pesche e aranci. Passo le ore più calde a scrivere poi verso le quattro si esce per andare al Djebel Engleez, dopo aver lasciato il villaggio di Bawiti e attraversato per una ventina di minuti l’oasi, si esce dalla freschura del palmeto e si comincia a salire sulla desertica montagna nera che con le sue forme ondulate fa pensare a un asteroide sterile. Come in tutte le zone desertiche ai margini dei centri abitati, anche qui ci sono tante tracce di sepoltura, si sale fino alla vetta che in realtà è il punto più alto di un piccolo altopiano, dove si trova il rudere di un piccolo forte costruito con scaglie di sasso tenute insieme da un impasto di fango secco, questo avamposto fu costruito durante la prima guerra mondiale per volere di un ufficiale inglese di nome Williams che da qui intendeva  avvistare  i predoni nomadi che spesso facevano irruzione dalla vicina Libia. Il panorama è ampio e spazia a 360 gradi, a nord ovest si vedono i piccoli laghetti dell’oasi e a nord la collina a forma di vulcano del Djebel Dish, dove sono stati scoperti importanti resti di dinosauri.
Con l’avvicinarsi del tramonto la collina si popola di turisti e accompagnatori, arrivano anche due francesine con una ventina di ragazzi dell’oasi al seguito, tutti impegnati a farsi fotografare con le due divertite ragazze, mentre ci spostiamo per guardare il tramonto da un pinnacolo più in basso, vediamo arrivare “i maschi” delle due contese fanciulle, entrambi con l’occhi a polpo lesso e il  sorriso in giamaica, poi scendendo in una radura più in basso vediamo parcheggiati tutti insieme un gruppo di fuoristrada dove i cucinieri dei vari gruppi stanno preparando l’immancabile the. È assurdo ma tutti fanno le stesse cose, nello stesso posto, alla stessa ora, purtroppo questo concetto di turismo è comune da tutte le parti, Elba compresa. Per tornare verso valle si passa da una dei tanti sentierini che attraversano la “montagana nera” passando sopra a una zona che suona vuota sotto i piedi, sicuramente sotto è cavo, chissà…magari qualche tomba sconosciuta, cosa assi probabile da queste parti. A buio si rientra a Bawiti e si va a mangiare il solito kofta al solito posto.    
 
   

Gioved?¨ 2 aprile 2009 Oasi di Bahariyya ‚Äì Egitto

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Archimede Pitagorico Egiziano
Uscita al forno per comprare pane e brioche che poi ci andiamo a mangiare al cafè dove si prende il the contornati dai soliti tipi che giocano a domino. C’è agitazione in paese, è arrivato un gruppo di studenti di una scuola media del Cairo, i ragazzini e le ragazzine sono molto “occidentali”, così come i professori, mentre le insegnanti pur non portando il burka sono comunque velate. I bimbi sono  tanto diversi dai coetanei di Bawiti, specialmente le ragazze, qui le loro coetaneee sembrano tutte delle suorine, l’Egitto è un paese di sperequazioni sociali, dove l’istruzione è ancora un privilegio delle classi sociali più facoltose. Parlo con il prof che mi dice che i ragazzi visiteranno i principali siti archeologici dell’oasi e poi andranno a bivaccare nel deserto bianco, un programma bello e ben organizzato con tende e fuoristrada, una cosa bellissima  peccato che sia destinata solo ai figli di papà cairoti e che per i bimbi di Bawiti non sia previsto niente.
C’è un gran caldo, passo il pomeriggio a scrivere poi in serata si va a fare un giro sulle colline nere che si elevano ai margini del centro abitato in direzione nord, è un paesaggio arido ma affascinante basta salire di qualche decina di metri per avere forte la percezione della grande depressione di Bahariyya, un’enorme buca in cui affiorano le acque fossili del sottosuolo che permettono lo sviluppo di estesi palmeti. Ci godiamo il tramonto e il sorgere della luna e poi si rientra in paese attraverso le vie sabbiose dei palmeti ormai nella semioscurità incrociando numerosi fellah di rientro dai propri coltivi, alcuni in bici, altri con i ciuchi e qualcuno anche con le moto a cui hanno applicato le shuarì (le ceste che normalmente si usano sui ciuchi) sui fianchi. In serata cerchiamo senza successo delle bici da nolleggiare, però incontriamo un Archimede Pitagorico Egiziano, che ha costruito una spettacolare sidecar a pedali che si può nolleggiare, faccio un giro di collaudo rischiando di finire sotto un fuoristrada, il ciclo ha un aspetto accattivante, però pesa uno stofonchio e tira tutto a destra, ma soprattutto per girare ha bisogno più o meno dello stesso spazio di un tir, con un po’ di imbarazzo rinuncio a noleggiare il prototipo che il geniale progettista orgogliosissimo della sua ceratura, ha stampato anche sui biglietti da visita.
  
   

Mercoled?¨ 1 aprile 2009 Oasi di Bahariyya ‚Äì Egitto

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La normalità cambia
Tutto è impregnato di Islam a Bawiti ma senza la poesia di Siwa, si sente la vicinanza con il Cairo e comunque questa è un oasi araba. Passa un contadino su un carretto trainato da un ciuco, è tutto sdentato e ha una galabiyya verde intrisa di settimane di odori e colori, ma indossa un paio di mocassini lucenti che gli dondolano nei piedi, trasporta una bombola del gas e una gallina legata alla zampa, scene come questa ormai mi scorrono davanti senza destare interesse. Si cambia velocemente e la normalità cambia con il viaggio, mi torna in mente quando, appena partito, nel gennaio 2008 in Marocco, mi stupivo nel vedere passare carri e ciuchi, ora quasi non faccio più caso nemmeno agli uomini che passano con i fucili in spalla, ce ne sono tanti qui, sono tipo poliziotti in borghese e girano con i loro schioppi per le vie. Scendendo verso la via principale dopo una specie di rotonda monumento, dove unendo parti di alberi fossili e cristalli hanno costruito un orrendo simulacro di albero, si arriva nella via dove vendono frutta e verdura, le famiglie dei venditori in pratica vivono qui, vendono per terra o su banchini fatti con le cassette di legno di palma, le mercanzie in parte sono dell’oasi e in parte arrivano dal delta con i camion. Ci godiamo il tramonto dalla terazza con il sole che si infilza nella mezzaluna della moschea e subito dopo la temperatura si abbassa. Anche oggi non c’è connessione telefonica e internet non va.
  
   

Marted?¨ 31 marzo 2009 Oasi di Bahariyya ‚Äì Egitto

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Ticket armati e lacrime televisive
Bawiti non ha un aspetto molto invitante, è un insieme di cubi di cemento e strade polverose, il suo passato però è ricco di storia, qui ci sono importanti tracce archeologiche che testimoniano la ricchezza di questa oasi, soprattutto nel periodo Romano quando era un importantissimo centro agricolo in cui si coltivavano e si commerciavano vino, olio, datteri e grano, la cui prosperità aveva portato alla realizzazione di complessi monumentali. Ma niente lascia intuire il glorioso passato, arrivando qui senza saperlo, sarebbe dura intuirne la storia, anche il museo che custodisce le famose mummie dorate è imboscato, si tratta di un brutto capannone anonimo apparentemente incustodito, mi avvicino e entro, arriva il guardiano con la pistola, è un baffuto pancione che sembra uscito dai quaderni di Lombroso, con fare da automa minaccioso dice solo “ticket, ticket” il problema è che la biglietteria è chiusa… torneremo nei prossimi giorni. Attraversando la strada principale si scende da una via secondaria verso il sito archeologico più famoso di Bawiti, le due tombe di Qaret Qsar Selim risalenti alla XXVI dinastia, ma anche qui è chiuso, anche se arrivano subito un paio di persone per cercare di rimediare qualcosa. Qui a Bawiti sembra tutto casuale e improvvisato e la  moschea baracca che si trova nei pressi del cimitero fatta con tavole rimediate, pezzi di plastica e cartoni e sovrastata da un grande altoparlante, è un po’ il simbolo del modo di costruire di qui, che dalle mi parti si direbbe a “cazzo di cane”. È comunque sempre interessante osservare la gente e la postazione privilegiata è il “cafè della piazza” dove gli uomini shishano e giocano a domino, c’è anche chi piange commosso davanti alla televisione che manda in onda uno sceneggiato sulla vita di Sadat.
   
   

Luned?¨ 30 marzo 2009 Bawiti Oasi di Bahariyya ‚Äì Egitto

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Connubio inquietante
Siamo alloggiati nella sezione dell’albergo destinata agli egiziani e cercano di farci andare nella zona riservata agli occidentali, ma a noi va benissimo così e poi questo sistema di apartheid all’arrovescio è uno degli aspetti più sgradevoli dell’Egitto.
Bawiti è un posto di 4×4, è l’oasi del deserto occidentale  più vicina al Cairo da cui dista solo 365 chilometri e viene usata come base per visitare il vicino Deserto Bianco, qui i turisti sono visti come portafogli viaggianti e tanti abitanti dell’oasi abbagliati dalla possibilità di facili guadagni, si sono comprati i fuoristrada indebitandosi e ora girano come mosconi alla ricerca di clienti che in realtà sono molti meno delle macchine. Anche qui donne in giro se ne vedono poche e sono velate di nero o marrone, il centro del paese è un incrocio su cui si affacciano un po’ di attività, dove i prezzi sono gonfiati per i turisti e tutti si propongono per ogni cosa, però basta spostarsi di qualche centinaio di metri nella zona popolare e i cacciatori di europei si smaterializzano e si cena con 15 pound in due. Anche a internet bisogna trattare il prezzo, è difficile aggiornare il sito con queste connessioni, il locale ha cinque o sei vecchi computer e qui i ragazzi si ritrovano per giocare con la playstation, fa una strana impressione una sala giochi in cui viene diffuso il corano a palla e i ragazzetti ne canticchiano le nenie mentre giocano nel loro mondo virtuale, un connubio alienante inquietante.

   

Domenica 29 marzo 2009 da Siwa a Bahariyya – Egitto

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I rifornimenti ai posti di blocco Sahariani
Dormono tutti al fonduk, si caricano gli zaini sul cassone insieme alla pala, le tavole anti insabbiamento, la tanica del carburante, un po’ di legna e le immancabili coperte. Apro la stanza dove dorme l’autista, mi sembra che non ci sia nessuno, poi guardo meglio e il tappeto arrotolato in fondo ha due appendici che sono i piedi del driver, arriva Grraziaa!!! anche lui autista ma da buon Siwano solo per giri a corto raggio, stamani è stranamente pimpante e con la sua classica espressione da fulminato allegro entra nella camerata del collega Beduino gli urla qualcosa e lo sveglia. Tempo un quarto d’ora si parte, per prima cosa andiamo a prendere un Siwano a casa sua che si piazza nel cassone e si mette a dormire, poi si va dalla polizia per fare i permessi, i militari ci consegnano un grande sacco e uno scatolone di cartone pieno di viveri. Lasciata la caserma si parte alla volta del palmeto a fare un po’ di legna per il the, la ricerca è lunga e sembra infruttuosa, solo qualche steccolino, ma poi l’autiere si stufa di raccattare bricioli, prende un lungo ramo secco di olivo e lo carica nel cassone. Si parte passando dalla via per Dakrur incontrando tanti bimbi che stanno andando a scuola, un ultimo sguardo alla montagna dei fantasmi e poi si imbocca la strada che taglia la laguna, la via asfaltata prosegue costeggiando il lago di Zaytun fino al primo posto di blocco della polizia, quello che martedì era il limite invalicabile e che si può varcare solo con il permesso speciale rilasciato dai militari. Consegnamo un po’ di viveri del sacco, Mustafa da dietro lo schienale del sedile tira fuori anche un po’ di pane e lo regala ai poliziotti che contraccambiano regalandoci due rametti di basilico, un soldato con un cencio in capo si tuffa sui viveri mentre un paio di altre guardie spostano i fusti vuoti che ostruiscono la carreggiata e si inizia la traversata del deserto. È da subito un ambiente totalmente arido, pochi chilometri e la strada diventa pista, ci insabbiamo un paio di volte, pala, tavole sotto le ruote e via, nella prima ora di chilometri ne facciamo davvero pochi, la pista sabbiosa si alterna all’asfalto della strada in costruzione, che una volta ultimata collegherà l’oasi di Siwa a quella di Bahariyya. La strada principale è circondata da lingue di asfalto steso senza massicciata per permettere ai mezzi di avanzare, c’è anche un  impressionante frantoio per macinare la pietra nel deserto e fare la breccia, i cantieri sbucano dal nulla e la gente vive dentro baracche arroventate, le dune invadono spesso i tratti già ultimati di carreggiata e le piste laterali di servizio si deformano, spesso risultano impraticabili, sono diversi anni che stanno lavorando a questa strada nel tentativo di asflatare il deserto, l’impresa da qui appare titanica e anche i mezzi meccanici per quando enormi sembrano poca cosa al cospetto della potenza e della dimensione del deserto. Arriviamo al secondo posto di polizia, una baracchina sgarrupata coi pannelli solari per fornire l’energia elettrica, solita distribuzione di viveri ai militari nelle cui facce abuliche è dipinto l’isolamento. Lasciata la postazione di controllo si avanza cercando una deviazione sul lato sinistro della strada per raggiungere come concordato un importante sito, trovato l’imbocco procediamo per una pista disegnata dentro una depressione bianca fino ad arrivare a vedere una montagnola candida che si eleva precedendo una sottostante pianura dove spiccano alcune palme, sullo sfondo la vegetazione si fa più fitta e si ha la percezione di uno specchio d’acqua, il posto è molto bello ed è anche un importante sito archeologico in cui si trovano numerose sepolture che dovrebbero risalire al periodo Romano, ma Mustafa ha furia e dà segni di insofferenza anche nel vedermi fare le foto. Il terreno è disseminato di piccoli dischi sottili di roccia grigia a forma di moneta, una volta ripartiti il beduino si rilassa, ritorniamo sulla strada principale e si prosegue verso oriente, gli unici mezzi che si incontrano sono quelli che lavorano al cantiere stradale, il caldo comincia a diventare pesante e la caligine disegna confini indefiniti sull’orizzonte, si cominciano a vedere anche delle grandi dune in lontananza, hanno colori più sbiaditi rispetto a quelle Libiche, si viaggia a una media di cinquanta chilometri all’ora, forse meno, avanzando per lo più sulla massicciata del futuro stradone. Per raggiungere il terzo posto di polizia si fa una deviazione di qualche centinaio di metri per arrivare alla postazione baracca che man mano che si entra nella profondità del deserto diventa sempre più fatiscente. Per farsi scorgere dai “guardiani” Mustafa deve suonare più volte, poi un ragazzino assonnato fa capolino e di seguito altri tre, attratti soprattutto da Serena che guardano come fosse un miraggio, solita distribuzione di viveri e si riparte. La monotonia della pista si interrompe quando la pista si incunea in una depressione da cui si elevano tante montagnole scure che si innalzano dal bianco come ruderi di gigantesche piramidi, è un paesaggio estremamente suggestivo con la strada che si infila sinuosa fra le gibbosità, le montagnole hanno i fianchi erosi tanto da creare delle sagome da grandi funghi, sotto una di queste un gruppo trasportato da un paio di fuoristrada si è fermato a fare la pausa pranzo. Poco dopo anche noi ci fermiamo sotto un grande panettone di roccia, per i beduini la sosta pranzo è un rito irrinunciabile, si sveglia anche il Siwano e comincia a spezzettare la legna per fare il fuoco. Approfittando della sosta saliamo sul più alto di questi cocuzzoli, il panorama è bello e surreale, scende verso sud nella depressione di Bahrein, siamo a circa centoquaranta chilometri da Siwa, qui un tempo c’era  una rigogliosa oasi, oggi c’è solo un po’ di verde e qualche cespuglio sofferto di palme, poi la grande conca che da l’illusione di essere ricoperta d’acqua si spenge  indefinita nelle grandi dune del mare di sabbia. Ormai è poco più di una chiazza di sterpaglia in mezzo al niente, ma fino a pochi decenni fa era un’irrinunciabile tappa intermedia per le carovane che da Siwa avanzavano verso l’oasi Bahariyya. Bahrein è balzata all’attenzione delle cronache archeologiche nel 2003, quando un gruppo di italiani ha portato alla luce un importante tempio risalente al Periodo Faraonico, il santuario era dedicato ad Amon e fu costruito per volere del Faraone Nactnanebo I (380 – 360 a.c.) Il luogo del ritrovamento dovrebbe trovarsi ad una cinquantina di chilometri da qui ed è improponibile chiedere a Mustafa di raggiungerlo, anche perché non essendo pista battuta sarebbe necessario un fuoristrada, il rimpianto di non poter raggiungere i resti del tempio è mitigato dal fatto che i blocchi superstiti del tempio ancora ricchi di pigmenti colorati sono stati trasportati a Marsa Matruh in un deposito della sovrintendenza archeologica in attesa di restauro. A quanto affermano gli archeologi la maggior parte dei blocchi del tempio fu distrutta nei primi secoli dopo cristo, quando i blocchi di calcare vennero smantellati e cotti nelle fornaci per fare la calce. Il mutare delle rotte commerciali e probabilmente anche il peggiorare delle condizioni climatiche, portarono gli abitanti ad abbandonare l’oasi intorno al quinto secolo e da allora Bahrein non è più stata abitata stanzialmente.
Ci sono fossili ovunque, conchiglie e coralli e migliaia di piccoli dischi grigi che sembrano monete,
il suolo è formato da calcare bianco e basta smuovere la superficie e tutto calcare del terreno per trovare una polvere bianchissima di gesso, tutto originato dai sedimenti organici depositatasi sul fondo di quello che un centinaio di milioni di anni fa era un mare, un anticipo del famoso Deserto Bianco che dovremmo visitare nei prossimi giorni.
Tornati al “campo base” si mangia e si chiacchera, la classica conversazione essenziale “io Beduino lui Siwi, io arab” “io no arab io Siwi different, different language” “questo in Siwi si chiama… in Arabo…. in Italiano…” e via elencando pane, pomodori, formaggio, peperoni, conchiglie, lucertole e mosche e ognuno mentre enuncia il suo idioma si dimentica quello dell’altro. Immancabile rito del the e si riparte, qualche decina di chilometri e si arriva al quarto controllo di polizia, è più grande degli altri, ci sono tanti cani, gli unici che si accorgono del nostro arrivo, in una delle baracche i soldati sbracati sulle brande rimangono immobili anestezzati dalla calura, in questo sorprendere i guardiani mi sembra di rivedere la motovedetta che porta i viveri a Montecristo, lasciamo altri viveri e si riparte, la scena si ripete più volte, ogni volta si devia e si suona per svegliare i militi, per quanto atteso il pik up con il convio coglie sempre impreparati, persi nell’ozio forzato di queste postazioni di controllo sperdute e lontane anche dall’unica strada da dove normalmente non passa nessuno. La via continua a scendere dentro una depressione che sembra non finire mai circondata dai paesaggi surreali di queste lande aride sotto il livello del mare, la discesa si interrompe in un inaspettato lago dove si sviluppa un grande e rigoglioso canneto che con i suoi colori vivi ci rammenta che sotto questa apparentemente infinita distesa di arsura sterile, si trova una delle più grandi riserve di acqua dolce del pianeta. Si procede spediti, Mustafa guida con aria annoiata tenendo la testa inclinata e gli occhi semichiusi con lo sguardo fisso sull’orrizonte, la monocromia alienante del paesaggio abbiocca aiutata dalla calura, guardando nello specchietto retrovisore la strada sembra evaporare dopo il nostro passaggio, poi come fosse un miraggio appare una macchia arancione  indefinita, all’inizio sembra un’illusione di vapore, ma poi prende velocemente la forma di un camion che poderoso avanza e ci raggiunge, mentre ci affianca ci si scambia i saluti, proprio come quando si incontra una barca in mare aperto. Ogni tanto la pista viene invasa dalla sabbia, per tre o quattro volte Mustafa con abilità se la cava per un pelo, ma poi la rena prende il sopravvento e ci  piantiamo. Spalando e mettendo le tavole sotto le ruote si acquista poco e il pikup ogni volta affonda di più fino a che non si insabbia anche il telaio e si pianta definitivamente. Il posto è favoloso e l’idea di passare la notte qui mi alletta, soprattutto per la vicinanza alla dune, dopo una mezz’oretta  arrivano due fuoristrada per turisti senza passeggeri e dopo un’ora di manovre varie e tentativi falliti si supera l’ostacolo e si riparte, peccato perché sarebbe stato stato un posto bello per bivaccare. Ancora un po’ di passaggi critici con accumuli di sabbia sulla via, poi Mustafa dice “finish after no problem”, il paesaggio diventa sempre più bello con le dune alte a poca distanza che cominciano a prendere forma più definite con l’abbassarsi del sole, entriamo in una pianeggiante distesa bianca e poi ancora dune e forme surreali. Altro posto di blocco dove i protagonisti sono un cucciolo di cane e un uccellino giallo con cui gioca. I paesaggi diventano sempre più belli e si miscelamo con i miraggi che si inghiottono la strada, al tramonto raggiungiamo un altro posto di blocco e poi si scende ancora nella depressione, arriviamo all’ultimo posto di blocco che si iniziano a vedere le luci di Bahariyya. In perfetto stile beduino Mustafa guida a fari spenti, ma la via è ben visile perché illuminata dalle tante stelle, con il ponere del sole c’è stato un cambio drastico di temperatura e ora complici anche gli spifferi fa veramente freddo, sono circa le dieci quando si entra dentro Bawiti il paese principale dell’oasi, dopo l’ultimo controllo nella caserma del paese finalmente il nostro autista ci consegna i passaporti custoditi segretamente sotto il tappetino della pedaliera del guidatore.
È un brusco risveglio, siamo tornati in Egitto, siamo assaltati da una nuvola di persone che si fiondano addosso come le zecche cercando di accaparrarsi le prede europee, manca la magia di Siwa. Circondati da questo flusso epilettico di “amici” ci spostiamo seguendo un cartello di un hotel “no, no lì troppo caro!” ma finalmente si dileguano. Si tratta e ci si piazza.
Arrivando ho visto dei fuoristrada con le targhe dell’organizzazione del Rally dei Faraoni la cosa mi incuriosisce e vado a cercare un internet per saperne di più.
A differenza di Siwa, internet qui è lento e va collegato al telefono, ma dal web una gradita sorpresa, le modifiche al sito grazie a Miki sono on line, le notizie del giorno sono: vince la Brown al debutto e la Ferrari fa schifo, segna Pazzini il sampdoriano e Berlusconi si autocelebra al congresso di fondazione del popolo …  il rally dei Pharaoni passerà di qui però a settembre.  

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