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Ogni mattina il tempo è più bello, decidiamo di rimanere qui un paio di giorni, la zona è bellissima e merita di essere conosciuta. Dopo aver visitato Segagnana nella stalla della Kasbah che fa anche da toilette, ci spostiamo verso il centro di Amezray dove c’è un’altra grande Kasbah e tante case. Zawyat Ahansal è un insieme di duuar un po’ come la valle di Ait Boualli, questa valle prende il nome da un marabutto che ha vissuto qui intorno al 1600 e ancora oggi viene venerato dai berberi di questa e di altre valli nonostante il culto dei marabutti sia osteggiato dalla “curia” islamica. Nel villaggio regna il silenzio su tutto domina il fragoroso scorrere dell’acqua del torrente Ahansal che si sta gonfiando sempre più per lo scioglimento delle nevi alte. Il fondo valle è tutto coltivato e adornato da grandi mandorli fioriti, scendiamo lungo il greto del fiume che ha un’acqua pulitissima, ma color ghiaccio. Ci sono tanti canali per l’irrigazione e nei punti più ripidi dei mulini, ogni tanto ci sono dei ponticelli di legno. Il sole è caldo e viene voglia di bagnarsi, l’acqua è fredda ma piacevole. Si incontrano contadini che irrigano i loro terreni con canali e chiuse, donne che lavano i panni o che vanno a prendere l’acqua alle fonti. Su tutti mi colpisce una giovane ragazza con un bambino sulla schiena che incontro più volte, è molto giovane, ha un portamento elegante e un vestito arancione, spicca per l’eleganza e per la pelle scura, è diversa dalle altre donne, più che una Berbera sembra una Touareg. Lasciamo il fiume nei pressi del souk di Zawyat Ahansal ora deserto, il silenzio lo rende ancora più simile a un set di un film western, mancano solo le musiche di Morricone. Poco distante dal souk ci sono degli edifici in stile europeo, sono stati costruiti dai francesi negli anni trenta durante il periodo coloniale e oggi sono il palazzo del governatore e la caserma della guardia forestale. Ci sono anche diversi resti di scambi e carrelli a testimonianza dell’attività mineraria che si svolgeva nella parte più alta della valle. Ritorniamo verso il fiume, l’attraversiamo da un ponte, sotto c’è un gruppo di donne che lava i panni, mettono i panni sul bordo del fiume, hanno steso una specie di grande coperta che fa da base e dentro dei fondi di bidone tagliato pigiano i panni coi piedi come facevano prima nei tinelli pe’ schiaccià l’uva. C’è anche una ragazzina che sbatte i panni sulla “copertona” con una specie di matterello e i bimbi piccoli tutti intorno che giocano, sembra che si divertano tutti. Entriamo nel duuar di Agoudim, è questo il nucleo più importante e antico di Zawyat Ahansal, ci sono diverse Kasbah, alcune ormai poco più di un cumulo di macerie. Appena entrati sembra disabitato, ma poi, come sempre, ci si rende conto che sono tutte case abitate. Andiamo verso la Kasbah più grande dove ci sono le indicazioni di una gite d’etape, entriamo per prendere un the e veniamo accolti dalla famiglia Amahdar, Ahmed il proprietario, ci offre omelette, biscotti, the, noci e acqua minerale. Conversiamo piacevolmente per una mezz’oretta nel cortile assolato della casa, poi attraversando una serie di vicoletti e cortili ci porta a vedere la Kasbah più bella del villaggio. Ogni volta che ci mettiamo a parlare ci si rende conto che tutti ci conoscono, siamo gli italiani dell’asino che sono arrivati da Assemsouk, sono tutti molto gentili e sono ammirati e affascinati da questo nostro viaggio che sentono molto berbero. È un popolo fiero e orgoglioso delle proprie origini nomadi e in tutti gli argomenti affrontati viene sempre rimarcata la differenza fra berberi e arabi.
Continuiamo a girare tra i vicoli per poi scendere nella zona del cimitero dove c’è la tomba del famoso marabutto, la cappella è bianca con il tetto ricoperto di tegole verdi è piena di tantissimi indumenti e veli che qui vengono lasciati come segno di devozione da tantissimo tempo, poco più avanti un grande ginepro con tanti braccialetti attaccati ai rami, sono i doni lasciati dalle donne in cerca di marito e di figli.
Il culto dei marabutti è ancora vivo, e il suo inizio è antecedente a quello dell’islam, questi “santi” sono molto amati dai berberi che continuano a celebrarne le ricorrenze radunandosi nella Zawyat (villaggi nati per accogliere i pellegrini) con pellegrinaggi che durano anche diversi giorni e festeggiando con musiche e canti.
I Marabutti hanno avuto un ruolo molto importante nella storia del Marocco avvicinando le genti delle campagne all’Islam con la fondazione di scuole religiose di campagna (le Zawyat) che finivano per contrapporsi alle famose Madrasse, le grandi scuole coraniche delle città, creando dei movimenti di popolo che spesso hanno portato a rovesciamenti di potere nel paese .
Il sole è tramontato, andiamo a vedere l’ingresso della valle che visiteremo domani, ci chiama un uomo che insiste perché andiamo da lui a prendere un the, si chiama Mohammed e ci racconta un sacco di storie e aneddoti sui berberi, sul Marabutto e sulla sua vita di guida nel deserto e dell’Atlante. Ci racconta che ha fatto la traversata dell’Atlante a piedi in un mese a passo veloce e ci da delle preziose indicazioni per il proseguimento del nostro viaggio e anche per l’escursione che vogliamo fare domani. Mi mostra orgoglioso le foto del cugino, un campione di podismo che ha vinto numerose corse, fra cui più volte la prestigiosa maratona delle sabbie. Sono contento anche se un po’ incredulo di questo clima umano così caldo e amichevole, dove ti chiamano per il piacere di conversare, sembra quasi che ci sia una gara ad ospitarti, la cosa più bella che si respira è l’orgoglio della propria storia e l’amore per la propria terra, valori che da noi si stanno perdendo che mi ricordano l’orgoglio sano dei vecchi isolani, quelli che ospitavano in cantina i “trinchesvain” e facevano assaggiare ai primi turisti le lampate i ricci e le grampie di polpo. Insieme al the la moglie di Mohammed ci porta anche un dolce che è la copia esatta della schiacciunta di nonn’Onelia. Torniamo a casa che è buio e c’è una bella sorpresa: l’acqua calda! Il bagno è sempre nella stalla ma una doccia calda è proprio quello che ci vuole nelle fredde serate d’Alto Atlante. È ormai notte fonda nella valle si sente solo il rumore del fiume, è un silenzio calmo e freddo illuminato da una quantità incredibile di stelle che rendono tutto ancora più magico.
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© 2024 Elba e Umberto
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