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Sveglia alle sei, ci saluta Hussain che sta già andando a lavorare nei campi, è un ragazzino, ma è già un uomo, ha in pratica tutta la famiglia sulle spalle. Facciamo una provvidenziale colazione da contadino dell’Atlas mangiando due ciotole di pasta, prima di salutarci il vecchio Wasen mi da delle preziose dritte su come legare il tagrart, mentre le donne di casa si fanno un sacco di foto con Serena. La strada scende fiancheggiando il fiume, c’è l’asfalto ma si incontrano solo donne ciccione in sella a microciuchi,  al guado  incontriamo una famiglia  mamma e figli che con i loro asini stanno facendo il percorso all’inverso.Viaggiare col mulo è eccezionale per fare conoscenza, non sei schermato da lamiere e vivi alla velocità delle persone che incontri, anche i termini che usi sono gli stessi: tagrart, shuarì, host, herra, ssscohoh, yallah, oued, adrar, duuar, tizi, nishan, e quando ti sentono pronunciare qualche parola in dialetto sei di famiglia, un po’ come succede in Corsica nei borghi del dito quando discori all’Elbana.
Arriviamo ad Agoudim, un paese bello con diverse Kasbak, alcune anche con decori raffinati, e numerosi edifici costruiti dai francesi che ricordano il passato minerario di questa zona. Un ragazzo si avvicina e ci invita a casa sua a prendere il the, ottima occasione per avere informazioni. Mentre Ou Abbas ci parla della sua gite in costruzione in società con uno spagnolo, Tambone si sdraia col carico, colgo l’occasione per ripartire prima che il thè diventi un pranzo e poi una cena. Si prosegue lasciando la strada, la primavera sta colorando i campi, i fiori gialli e bianchi rendono più gioviale il paesaggio imponente delle grandi montagne. C’è un fosso dove diverse ragazze stanno lavando, tutte vogliono essere fotografate, qui il rapporto con le foto è totalmente diverso dalle zone della prima parte della traversata, c’è la ressa per guardare le foto nel display della fotocamera.
Arriva dalla montagna una carovana di muli al trotto carichi di legna, sono una decina alzano la polvere e danno spettacolo, sono guidati da giovani donne che qui sono più intraprendenti, in tante ci invitano a casa e ci danno informazioni sulla via per Taarart, anche se non capiscano perché se  dobbiamo andare a Midelt passiamo dalle difficili vie di montagna invece di passare dalla strada asfaltata. Percorriamo una pista sterrata che attraversa un deserto di roccia grigio senza traccia di persone, dopo un paio d’ore incontriamo due donne di ritorno dalla macchia, ci vogliono invitare a pranzo, rifiuto a malincuore, mi colpiscono i bei gioielli, credo d’argento, che gli adornano i polsi, da noi credo che le donne un siano mai andate ingioiellate alla macchia. La  strada è larga e monotona, incrociamo un pastore che mi da buone dritte, poco dopo arrivano due camion (i mitici bedford) sui cassoni ci sono almeno cinquanta persone, che sommate a quelle in cabina e sul tetto fanno più di sessanta persone a camion. Chiedo informazioni e mi confermano che siamo sulla via giusta per Taarart, ma mi dicono anche che a Taarart non c’è niente solo freddo e miseria.
Saranno le tre del pomeriggio quando incontriamo un villaggio, dalla prima casa ci chiama  la padrona di casa per il the, non me lo faccio dire due volte, ho fame e sete. Ci prendiamo il the e  si mangia anche una  bella frittatona. La donna vive sola con i figli, un bimbo e una bimba che stanno guardando alla televisione dei cartoni animati giapponesi, che sono gli stessi in tutto il mondo solo che qui si cucina su una stufa ricavata da una latta, si vive dentro una casa di fango in compagnia dei polli e l’acqua si prende al fosso. Fatima è originaria di Imichil, è tutta eccitata, ci fa vedere le foto di una festa, credo il matrimonio, e poi mi chiede di fotografarla insieme a Serena con un con un vestito da festa. Ci invita per la sera facendoci ben presente che lei ha una mucca che fa tanto latte, decliniamo anche l’invito a pernottare della donna di Imiclhil e si riparte. All’ingresso del paese di Thirermine i campi  sono colorati di verde inteso e le donne del villaggio sono nei coltivi a sarchiare, mentre  nella “piazza” del paese c’è la solita stesa di vagabondi. Attraversiamo il borgo seguito dal brusio dei commenti e dalle risate della gente, chiedo un po’ di informazioni e proseguo sulla via principale. Da un vicolo intravedo sfuggente una bella ragazza dagli occhi grandi tutta vestita di bianco, la rivedo poco dopo in sella a un mulo mentre stiamo guadando il fiume, che cavalca  verso le montagne innevate come una misteriosa  principessa delle nevi.
La pista prosegue  in alto sul lato sinistro del fiume, sotto di noi una campagna coltivata, rincontriamo uno dei due camion, sta scaricando persone e merci casa casa. Questi camion sono l’unico mezzo di trasporto e tutto merci, persone e animali viaggia sul cassone e fa anche da trasporto informazioni, dalle case la gente si avvicina per sapere cosa succede fuori dalla valle, il camion e un po’ come quando arriva la nave a Pianosa. Risaliamo la valle, sopra di noi si vedono solo montagne brulle, mentre dall’altro lato ci sono delle meravigliose montagne innevate che ricordano le dolomiti i cui picchi superano i tremilaquattrocento metri. Il paesaggio torna selvaggio,  incontriamo solo spavalde donne sui muli, la neve è sempre più vicina, dovremmo essere sotto il Jbel Abachi ma non si vede nessuna grande vetta innevata sopra di noi. Nella valle sta entrando il gelo quando raggiungiamo un austero duuar di cui ignoravo l’esistenza, perché non segnalato nella cartina, gli abitanti sono ostili, si vede che qui estranei ne viene pochi, tutti si allontanano al nostro passaggio, però ci si sente gli occhi di tutti addosso. Si avvicina un anziano gentile che mi indica la via per Taarart fra i vicoli del borgo dicendomi che mancano ancora  cinque chilometri e consigliandomi di rimanere da lui per la notte. Ormai manca poco voglio arrivare, proseguiamo, bisogna guadare nuovamente il fiume, fa freddo e per portare sull’altra sponda Tambone bisogna bagnarsi fino alle caviglie, ma la solita fortuna arriva anche stavolta, arrivano due uomini dal lato opposto con i muli e uno di loro prende per le redini il nostro asserdom e lo porta di là, così noi passiamo saltando fra i sassi e rimanendo asciutti, è un favore enorme perchè sicuramente siamo sotto zero.
Viene notte, la via è illuminata dalla neve che riflette la luce della luna e delle stelle, dopo una mezz’oretta si vedono alcune luci che si specchiano nell’acqua, per raggiungere il paese bisogna passare un altro guado, per fortuna  c’è una specie di ponte e raggiungiamo Tarrart con i piedi asciutti. Il paese si sviluppa sui due lati della via, ci spostiamo a sinistra dove ci sono delle luci, c’è una specie di bar negozio dove ci sono un po’ di uomini che giocano a carte, chiedo se possiamo dormire da qualche parte oppure montare la tenda, dopo un primo momento di sguardi cupi, l’atmosfera si fa più rilassata, si avvicina un omone che ci invita a seguirlo a casa. Entriamo nella grande casa di Baali, costruita in pietra, calda e profumata di legna bruciata, ci offrono burro fuso, pane caldo e the e ci invitano a restare qualche giorno.