Dopo una notte di pioggia, albeggia nei pressi di Auorir, fra l’oceano e un ambiente che si fa sempre più desertico, con la luce si popola il paesaggio. Attraversiamo la periferie di Agadir incontrando centinaia di bimbi che vanno a scuola a piedi. Dopo Agadir sosta a Iznegane. Durante la notte sembra di aver viaggiato cosi tanto da avere raggiunto un altro mondo.
Iznegane è il primo paese che sa di Africa, perlomeno dell’Africa del mio immaginario, grandi piazzali polverosi dove si trova di tutto dai venditori di asini a quelli di profumi questo paese è un importante crocevia di comunicazione da qui si cambia e si parte per Marrakech, per Laayoune, per Casablanca e per tutte le destinazioni.
Ci sono soprattutto i gran taxi scangherate, mercedes berlina anni 70 colorate di bianco e “celeste Ponzese” che portano fino a 6 persone e se riesci a fare un equipaggio completo sono veramente
economici. Poi ci sono le Land Rover, anche queste mediamente vecchie e scassate che vanno verso il deserto o la catena dell’Atlante, i bus di tipo europeo quelli turistici, e quelli marocchini i più pittoreschi. È un mondo di odori forti e contrastanti fiori, spezie, merda, haschish, menta, sudore, carne di montone, si sovrappongono continuamente, i bus non sembrano esserci, chiedo un collegamento con Tarfaya, spostamento in piazzale laterale e bus vecchio ma perfetto.
9.30 si parte, nella bauliera, casse di pomodori, balle di erba, patate e bagagli. La vendita dei biglietti è uno spettacolo, credo che nessuno dei passeggeri abbia pagato lo stesso prezzo, ogni tagliando è una trattativa. Con il pulman già in movimento i vari bigliettai si dividono i compensi sembra sempre che sia sul punto di scoppiare una rissa ma poi torna tutto tranquillo.
Nella corriera c’è gran varietà di abbigliamento, turbanti e tuniche multicolori, ciabatte, anfibi, babbucce; fra le donne nessuna è vestita all’occidentale, ma solo poche hanno il volto coperto. Si procede a grande velocità, nei pressi di Tinznit sosta pausa pranzo c’è un macello, con carne di capra, mucca, agnello e montone, un arrostitore, un venditore di pane, salumi inscatolati e bibite e un bar.
C’è un rituale ben preciso: tutti in fila a lavarsi le mani, poi dal macellaio a farsi tagliare la carne in piccoli pezzetti, si passa a prendere il pane e poi si porta la carne ad arrostire e si mangia il tutto seduti. Qualcuno preferisce il panino alla marocchina, un pane morbido che viene aperto tipo marsupio e riempito di pesce carne e salse varie. The o caffè e si riparte.
Il paesaggio è ormai desertico ma la pioggia lo farà fiorire.
Arriviamo a Tan Tan per un’altra grande sosta le mercedes bianco celesti stanno lasciando il posto a vecchie Land Rover e i carretti trainati dagli asini sono sempre più numerosi. Si scaricano quasi tutti i pomodori e le balle di erba. Il paesaggio diventa sempre più affascinante, con le onde dell’oceano che incontrano il deserto e le incredibili case baracca dei pescatori. È notte quando arriviamo a Tarfaya, tira vento e fa freddo, è tutto molto tranquillo, un bimbo ci accompagna ad un piccolo hotel, non c’è posto, ma ci offrono una vera casa marocchina con turcae secchio sciacquone, camera con letto basso e sala con tappeti, tanti cuscini e materassi, piastrelle multicolori, pareti verdi, soffitto bianco.
La giornata finisce davanti ad un tajine di pollo, il mare è agitato e non c’è pesce.
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© 2024 Elba e Umberto
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