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Storie e storielle di basso fondale Cammino fra la gente di Kerkennah uomini e donne con volti tanto diversi fra loro figli di una genetica Corsara. La storia romanzata di queste Isole racconta di equipaggi di navi cristiane che si incagliavano negli insidiosi bassi fondali, che venivano tratti in salvo dai Corsari locali e accolti come fratelli e invitati a iniziare una nuova vita come Corsari. Rispetto al Maroccco qui il viaggio ha preso un‘altra forma, più di ricerca che di esplorazione, sono affascinato da questa miscela di gente diversa, da fisionomie spesso familiari, le stesse storie e gli stessi personaggi, lo stesso mare ma visto da un'altra prospettiva, al posto di Carlo V, Suleyman il Magnifico e poi sempre loro i due grandi pirati: Andrea Doria e Khair ed-Din a ruoli invertiti. Questi Ammiragli eroi delle opposte sponde erano in realtà dei mercenari che mettevano a disposizione le loro flotte personali al migliore “Imperator offerente” e nei momenti di stanca predavano per conto proprio. Sono passati alla storia, ma sarebbe più giusto dire alle storie, come acerrimi nemici e uomini santi per opposte fedi, ma in reltà erano colleghi e rilleggendo la storia anche amici. Intorno ai barbuti burattin la gente che viveva affacciata sul nosto comune mar mediterraneo, nel ruolo di prede o predoni a secondo degli eventi, continuamente sballotata fra Isole e sponde continentali spesso massacrati nel nome di dio, il dio unico che poi era lo stesso per tutti, a El Attaya o a Pomonte. Mille scenari mi si figurano nella mente mentre il paese è ormai lontano, sto camminando fra le pitte secche della campagna arrostita dell’Isola di Chergui in direzione di uno dei tanti marabutti presenti sulla costa, davanti a me il mare aperto in direzione delle Sicilia. Penso alla grande ricchezza per il mondo tutto, che è questo mare di bastardi (del quale mi sento orgogliosamente parte), quanto ingegno e quanta arte ha sortito questa miscela mediterranea così disprezzata dai celti (con rispetto per i veri celti) che ora governano l’Italia. In riva al mare alcune donne vestite con i costumi tradizionali e l’immancabile cappello di paglia, stando in acqua in ginocchio lavano le pelli di pecora in mare ripulendone la lana, è una scena che mi fa venire in mente di quando zia Alvia e zio Mario andavano alla Foce a sciacquare i prosciutti in mare. Arrivo a casa che è quasi ora di mangiare, Naima ha preparato il cacciucco, lo mangiamo sulla terrazza seduti sul pavimento intorno al tavolo basso con la nonna che continua a dirmi che ho la faccia da Arabo. Nonna Najet è una tipa ganza, vuole fare la severa coi nipoti ma non gli riesce, parte sempre col vocione duro ma poi “un aguanta” e si mette a ride’. Fino a pochi mesi fa era analfabeta ma poi ha iniziato ad andare a scuola e sta imparando a leggere e a scrivere, è molto brava e appassionata e quando si esercita nella lettura cantilenata del Corano mette i brividi. Prepariamo la sacca stagna con le macchine fotografiche e la video camera e andiamo al porto dove ci dobbiamo trovare con Samir, insieme andiamo al cantierino dove è arenata la barca cucina, una lancia che Samir usa come cucina da campo, la mettiamo in mare e poi inizio la mia “avventura da mozzo” portando la barca in porto mentre loro vanno ad accogliere i francesi. Non ci sono remi, per andare avanti uso la Karia (pertica), all’inizio non è semplice bisogna puntarla stando attenti a non infilarla nella melma e farla scorrere camminando sul bordo della barca, poi quando la barca è lanciata diventa più facile anche se bisogna stare attenti alla corrente. Arrivo al porto lego e poco dopo arriva un gippone proveniente da Douz con i francesi, carichiamo i bagagli sulla feluca e poi i francesi e Amor, la guida del deserto; si alza la vela e si parte, mi diverte il fatto che tutti mi abbiano preso per un Kerkenniano. La feluca scorre veloce nonostante la cucina al rimorchio, c’è una luce bellissima come sempre quando si avvicina il tramonto, incrociamo una feluca di ritorno dalla pesca e Samir scende in acqua fra lo stupore dei francesi e gli cammina incontro per farsi dare un sacchetto di pesce, poi torna a bordo mentre lo aspetto prua a vento, la scena è surreale non mi sono ancora abituato a questo mare che è tutto una secca. Ci godiamo il tramonto, copiando il comandante questa volta scendo io ma per fare le foto e poi raggiungo la feluca arenata a pochi merti dalla costa ovest dell’isolotto di Grimdi dove bivaccheremo. Scendere i bagagli a terra risulta divertente perché ci sono le sabbie mobili, dalla barca alla riva si cammina per una decina di metri su un bassofondale di pochi centimetri ma quando si arriva a un metro da riva si comincia a sfondare nel fango fino alle ginocchia. Il più agitato è Amor, L’uomo del Deserto, che ha paura del mare, però una volta a terra ritorna leader del suo gruppo e organizza il montaggio delle tende e poi insieme agli altri va a recuperare un po’ di legna nel vicino palmeto mente noi aiutiamo Samir a preparare la cena, in realtà Serena fa un sacco di cose mentre io pelo solo due patate e lavo un po di piatti unti in mare. In un battibaleno, fra bracieri di latta alimentati a carbone, pentole e griglie viene fuori una cena coi fiocchi: zuppa di pesce e triglie grigliate. La feluca diventa una barca ristorante e si inizia a mangiare, ai francesi il cacciucchino non piace un granché e la cosa mi aggrada alquanto, mentre alle triglie gli viene fatto maggior onore. Finito di mangiare andiamo tutti sull’Isola, si accende il fuoco e ci si gode la stellata, sono già tutti a letto quando un po’ in disparte montiamo la nostra tendina sul morbido letto di salicorn, l’erba grassa che cresce lungo le coste piatte e salsedinose. |
© 2024 Elba e Umberto
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