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"Vanno vengono a volte ritornano" (Liguri e Nuvole)
E' ancora buio e piove quando andiamo alla stazione dei pullman, l'unico per Tabarka parte alla sei. Fra piovaschi e temporali arriviamo a Tabarka alle 10,  sotto la pioggia andiamo subito al porto in cerca di un "passaggio" per La Galite. C'è la barca di un diving che sta partendo per fare un'immersione, il boss dice che non c'è problema con le autorizzazioni ma che ormai non è più stagione, il secondo diving ci spara una cifra assurda, il terzo propone un'escursione di giornata con pranzo a bordo, gendarmeria e guardia Nazionale non ci sanno dire niente. Visto che siamo qui proviamo a capire se si riesce ad entrare in Algeria, all'inizio sembra che non ci siano problemi, la cosa è assai strana, ma qui spesso le cose apparentemente più difficili si risolvono velocemente, ma questa volta no e alla fine la frontiera resta un limite invalicabile per chi non è Algerino o Tunisino. Smette di piovere e andiamo a visitare l'Isola di Tabarka e il suo Forte Genovese, i francesi durante il periodo coloniale hanno costruito una strada rialzata che collega l'isola al continente, odio queste violenze che trasformano le Isole che sono sempre terre di magia in anonimi lembi di continente e vorrei organizzare un comitato per la liberazione delle isole da ponti e strade e festeggiare con un grande botto globale simultaneo da Tabarka all'isola di Chiloè in Cile. Sulla prima cinta di mura ci accoglie una lapide di marmo che recita "I Tabarkin du paize uiza de San Pe in Sardegna doppu 250 anni in vixita a Taborka tera di Vegi pe Memoria Taborka au II de settembre du 1988" I Vegi erano i Pegliesi che seguirono i Lomellini quando nel 1540 a seguito delle trattative fra Barbarossa e Andrea Doria per il riscatto di Dragut, l'Isola venne assegnata a questa potente famiglia ligure alleata dei Doria che era interessata alla pesca e al commercio del corallo. La comunità Pegliesi d'Africa che si ribattezzarono Tabarkini visse qui fino al 1741, quando il corallo cominciò a diminuire i traffici e i commerci non andavano tanto bene, il Bey di Tunisi prese il possesso di Tabarka. Carlo Emanuele III di Savoia propose ai "Tabarkini "  di colonizzare L'Isola di San Pietro nel Sud della Sardegna, buona parte della popolazione accettò e capitanata da Agostino Tagliafico raggiunse la disabitata Isola Sarda e la colonizzò. I Tabarkini mantennero la loro identità ligure anche in terra di Sardegna parlando e scrivendo in genovese antico, lo stesso scolpito nel marmo davanti a noi.
Un ragazzino mi dice con tono minaccioso che la zone è interdit, ma poi visto la scarsa considerazione dimostratagli chiama gli altri bimbetti e cambiano loro zona. Il forte è in restauro, ma forse sarebbe meglio dire in rinforzo, sui bastioni bassi che sono lesionati i ponteggi con ferrotubi basculanti sembrano usciti dall'antimanuale della 626. La fortezza è costruita sul culmine dell'isola che poi si tuffa nel mare possente e statica come una cascata pietrificata. Il cielo lavato dalla pioggia è ora terso e a nord ci fa vedere la sagoma de La Galite, l'Isola dei pescatori anarchici esiste davvero, non è un miraggio della fantasia. Il vento è teso e le nuvole cangianti lo attraversano veloci, nel cervello mi suona ossesiva e amica l'onirica voce Sarda che dà inizio alle Nuvole di De André "Vanno vengono ogni tanto si fermano – e quando si fermano sono nere come il corvo – sembra che ti guardano con malocchio – Certe volte sono bianche e corrono e prendono la forma dell’airone o della pecora o di qualche altra bestia…"
Da una delle finestre del forte si affaccia il guardiano del faro "interdit zone militaire" dice di andare via, poi scende giù e apre il portone, il cicchetto ringhiato in breve si trasforma in una eccezionale concessione per visitare il forte da dentro, con la raccomandazione di non sporgersi dai bastioni per evitare che gli operai vedano e facciano la spia, è tutta una recita ma stiamo al gioco ben felici di visitare questa favolosa fortezza piena di cunicoli, garitte e segrete. Da sopra i bastioni si ammira un panorama superbo che spazia dalla costa rocciosa del versante Algerino a le montagne ricoperte di sughere dell'interno, per perdersi nelle grandi dune di sabbia lungo la costa ad est dell'abitato, purtroppo si vedono anche i tanti cantieri di alberghi in costruzione che stanno rovinando ancora di più un paesaggio già menomato dal cemento, ma che conserva ancora scorci di grande bellezza.
Ringraziamo il fanalista che ci ha ospitato e scendiamo da un viottolino visto dal forte che scende lungo la scogliera sotto i bastioni di ponente. La luce è sempre più bella e il sole fa luccicare le massicce mura ancora bagnate dalla pioggia, scendendo fra giunchiglie e barba di giove ci ritroviamo nuovamente sulla spiaggia dove un antico cannone insabbiato ci ricorda che stiamo camminando sulla storia della pirateria del mediterraneo. C'è un omino magrissimo con una voce da baritono che sta parlando con due persone che non vedo, uno con una voce stridula e uno roco, ci metto un po' a capire che Il matto di Tabarka in perfetta solitudine sta facendo un comizio fra le rocce e la spiaggia, è un grande degno del miglior Giovannino di Pomonte interpreta tre personaggi da vero artista e mi rammarico tanto di non capire l'arabo. Buone nuove su La Galite non ce ne sono e passare la frontiera algerina sempra cosa assai complicata, andiamo a fare un giro verso il promontorio a ovest dell'abitato da dove si dovrebbe vedere bene la Costa Algerina, passiamo dalle Aiguilles, i pinnacoli di roccia che sono uno dei simboli di Tabarka e effettivamente sono molto belle per forma e colore, peccato che per renderle più accessibili le hanno circondate di cemento, una passeggiata criminale per quanto è brutta, cammina per qualche centinaio di metri lungocosta raggiungendo anche un altro ecomostro, un anfiteatro di cementoarmato, poi fra cantieri edili e strade in costruzione raggiungiamo la scogliera dopo essere passati da una strada in costruzione che a causa delle forti piogge è finita in mare e fa un certro effetto vedere il guard rail sospeso per aria e una cinquantina di metri più in basso i resti della strada dentro il mare. La scogliera è bella e ha un che di Monte Grosso ma dal mare Algerino spinte da un vento freddo stanno arrivando delle nuvole che "sono nere come il corvo" quindi si torna indietro e l'acqua grossa arriva quando ormai siamo in paese e fra tettoie e botteghe in smantellamento ce la sterziamo bene. L'unico mezzo per rientrare a Bizerte è il louage, dopo una trattativa di un'oretta con altri sei troviamo un louage che ci porterà fino a Beja e da lì saliremo su un louage diretto a Tunisi, sembra strano a raccontare ma è tutto legato a dove i tassisti si fermeranno a mangiare alla fine del giorno di digiuno, il nostro a Beja e il tassista che ci sta aspettando andrà a mangiare a Tunisi. Si cambia al volo in una piazzola, il nuovo tassista viaggia come una scheggia col suo ducato dalle tendine ricamate, sorpassando tutto quello che si presenta davanti, un pik-up carico di poponi gialli ci taglia la strada e rischiamo di brutto e l'autista "occhi di demonio" si incazza così tanto che dopo aver litigato per un paio di chilometri dal finestrino con il poponaio comincia un comizio su come si guida con i passeggeri, è talmente preso che si dimentica che aveva furia e da un passo da 120 chilometri all'ora passiamo a 40 di media. Arrivati a Tunisi occhi di demonio sceso dal Ducato sembra un agnellino e ci saluta con fare da chierichetto. A pochi metri c'è un louage con solo due posti liberi diretto a Bizerte, si sale e si parte subito. Intorno all'una uscendo da internet vediamo per la prima volta il ponte aperto con i rimorchiatori che trainano un mercantile all'interno del lago di Bizerte.