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La sensazione di essere dentro la storia, la speranza e la vergogna
Sono nel deserto Libico, nella mitica città dei Tuareg. In questi giorni ho avuto forte la sensazione di vivere da dentro un momento storico importante: la vittoria di Barrak Obama, il primo presidente nero degli Stati Uniti. Di certi momenti se ne respira l’importanza dalla tensione e dalla paura, sono mesi che se ne parlava di queste elezioni ma sempre con distacco e disillusione “tanto non cambierà mai nulla” “è sempre un americano” “è amico di Israele” “se vince è un fantoccio, se no lo fanno fuori” Però in fondo la speranza di un cambiamento c’era. Negli ultimi giorni si capiva che la paura che vincesse il vecchio soldato yankee era forte. Lunedì sera ero a Sousse a cena con il mio amico Alì, uno che di politica non ama parlare ma stavolta anche lui è teso “ se vince Mc Caine non c’è speranza per il mondo, se vince Obama forse è possibile un futuro”. Mercoledì mattina, ha vinto Obama, c’è aria di festa sul louage che mi sta portando alla frontiera Libica, senza tanto clamore come usa in questo tipo di democrazie, ma la radio invece che fissa sulle solite musichette cerca continuamente notizie sul fatto del giorno. Passo la frontiera Libica con meno problemi del previsto, anche nella blindata nazione di Gheddafi l’argomento è Barrak, la gente è felice anche se scettica e soprattutto ancora incredula, sono tutti in attesa delle prime mosse, da oggi alla testa del paese considerato il nemico numero uno, quello che qualsiasi cosa fa ha sempre ragione, c’è un Africano anche se molto yankee. La speranza che possa di colpo diventare un alleato per sconfiggere la miseria e far crescere la democrazia e la libertà in Africa è tanta. Felice anche se scettica e soprattutto ancora incredula. Un‘ora fa prima di venire a internet ero a mangiare in compagnia di “belli giovani e abbronzati” (e di molto grossi) Tuareg, mentre la televisione raccontava le esternazioni del “brillante” presidente del consiglio italiano. Come italiano mi sono sentito una merda e mi è ritornato in mente Mohamed di Kerkennah, un anziano ridaccione col dono dell’ironia che mi faceva lezioni di geopolitica sul tetto della sua casa ricavata da un vecchio forte ottomano, “voi italiani siete come noi, solo che da noi i dittatori vanno al potere con i colpi di stato, invece voi li eleggete democraticamente” e giù a ride’ a presa di culo. È quasi un anno che sono in Africa, sono in pratica stato adottato da questa gente, sull’Atlas mi hanno ospitato nelle loro case dandomi da mangiare a da dormire e aiutandomi a trovare il cammino, tutti poveri, neri e mussulmani, quelli che vengono quotidianamente insultati e aggrediti da Calderoli e compagnia. Quando arrivavo nei villaggi di montagna la sera la gente mi veniva incontro per salutarmi e offrirmi ospitalità, non ho mai montato la tenda nei villaggi sono sempre stato ospitato e il pensiero andava spesso alla pagaiata in canoa fatta poco prima di partire per questo viaggio, dall’Elba a Roma dove nel “mio” paese sono stato fermato due volte per vagabondaggio dai carabinieri. Gli unici problemi li ho incontrati quando ho incontrato i trafficanti di droga sulla costa mediterranea del Rif, ma lì ormai non era né Africa né Europa, era solo un gran giro di soldi.
Anche io spero nel cambiamento, da tutte le parti, all’Elba, in Italia, in Africa e nel Mondo.
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