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I Relitti, storie di armatori e assicuratori
Bizerte è sonnecchiante come sempre al mattino, per andare alla Remel Plage bisogna passare sul ponte levatoio e poi proseguire fino alla fine del porto dei pecheur, dove inizia la spiaggia. E’ un grande arenile bianco di cinque o sei chilometri che termina sul promontorio di roccia che chiude a Est il golfo di Bizerte, quasi alla fine sullo sfondo si vedono i relitti lontani delle due grandi navi. La spiaggia è larga e bella, sulla riva c’è un grande bunker di cemento risalente all’ultima guerra che ora è in parte dentro il mare, strategicamente durante la guerra Bizerte era molto importante per il porto naturale e per la vicinanza alla Sicilia. E’ una bella giornata ma c’è pocchissima gente, qualche marinaio sceso a terra dai mercantili e alcuni pescatori che provano a prendere un po’ di frugaglie con il razzaglio. I fondali bianchi esaltano le trasparenze e il mare celeste ricorda quello di Cala Giovanna a Pianosa. Ci sono tante piccole barche di legno sulla spiaggia, da qui partono per calare i tramagli sulle secche vicine e intorno ai relitti che sono tanti, infatti non ci sono solo i due giganti ma tanti resti di imbarcazione vittime di questi fondali sabbiosi e delle secche rocciose, che ora con la bassa marea sfiorano il pelo dell’acqua. La linea della battigia è disegnata da migliaia di conchiglie policrome e dalle tante forme che disegnano una lunga linea sinuosa che da lontano sembra una corda rosa e arancio, è un posto bello e mi rammarico di non esserci mai venuto in tutto questo tempo passato a Bizerte. E’ interessante anche il retro, con le dune alte dove crescono i ginepri e le paglie marine e anche dietro al tombolo, dove c’è una macchia fitta che poi senza soluzione di continuità si trasforma in una grande distesa di pini d’Aleppo.
Le navi ora si distinguono bene, per un piccolo tratto la spiaggia è interrotta da una grande secca di rocce spugnose come ai Cancherelli, nella parte interna ci sono tanti formicai grandi e colorati uno diverso dall’altro che sembrano progettati da estrosi architetti. Da qui la vista del relitto più lontano è surreale, la prospettiva gli toglie l’acqua da sotto e la carcassa sembra avanzare nel terreno. Queste due navi sono naufragate una ventina di anni fa, trasportate in secca da una mareggiata e poi  distrutte dal fuoco, a Bizerte si dice che è stata tutta una messa in scena dell’armatore (le navi erano della stessa compagnia) perché stava per scadere l’assicurazione su entrambe le imbarcazioni, una storia molto somigliante a quella dell’Adel Scott la piccola nave affondata sullo scoglio dell’Ogliera a Pomonte nei primi anni settanta, anche li’ si dice che il vero motivo del naufragio fosse legato alle assicurazioni. Chissà perché mai le navi quando diventano relitti perdono la loro natura inanimata e diventano simulacri di creature viventi gigantesche ormai scomparse dal creato. La più grande è stata abbondantemente smantellata, gli manca tutta la parte centrale, la poppa ha lo scafo tagliato di netto all’altezza del ponte di comando e la grande cabina è ancora verniciata di bianco anche se  sfregiata diagonalmente da stigmate di ruggine, mentre il trocone di prua che affiora un po’ più avanti è stato deformato dal calore dell’incendio e fuoriesce in parte con un’espressione da grande squalo martorizzato ma sorridente. Accanto all’altro relitto c’è un barchino a remi che sembra cercare protezione dalla grande carcassa. Anche qui come a Capo Bon c’è chi lavora sui relitti per recuperare qualche soldo da avvolgimenti e pezzi vari, il relitto più vicino a riva è un cantiere, c’è una squadra che lavora dentro e un paio di vedette che fanno la guardia, ora è bassa marea ed è possibile entrare direttamente dentro la stiva con un carretto trainato da un asino per caricare il materiale recuperato. Sono attrezzati con carrucole e una rudimentale gru ancorata sulle placche di ruggine con cui stanno spostando una tubazione, avrei voglia di entrare ma la tensione che traspare dalle vedette mi fa capire che non è cosa gradita, anche perché il tempo sta cambiando, è entrato grecale e il mare si sta increspando velocemente, anche la marea sta salendo e fra poco dovranno abbandonare il cantiere. Tornando indietro passiamo dalle dune più alte e si vede il mare che a largo si sta gonfiando velocemente, peccato c’è mancato veramente poco, si poteva rimanere isolati per un po’ di giorni a La Galite e magari godersi lo spettacolo di una mareggiata dal faro di Galitone, ma hamdullah, ora siamo a Bizerte e prima che si scateni la buriana conviene cercare riparo. Un fronte nuvoloso compatto e basso si avvicina velocemente è un muro nero anticipato da vento freddo, che la marea è salita lo si vede bene quando si ripassa di fianco al bunker che ora è quasi tutto in mare. Il vento è rinforzato ancora e i pescherecci stanno rientrando velocemente nel ridosso della marina, mentre il mare comincia a frangere violentemente sui frangiflutti del porto. Prima di rientrare alla base faccio un giro nel cantiere alle spalle della marina, qui ci sono tante barche sequestrate e abbondanate, se potessero parlare chissà quali storie verrebbero fuori, invece parla, anzi urla, solo il guardiano che minaccia di fugarmi dietro i cani sbavanti, incatenati a ridosso del suo casotto.