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La Città dei Garamanti
Durante la notte ha fatto tanto freddo, la più fredda da quando siamo nel deserto e stamattina la sabbia è gelida, intorno alla tenda ci sono tante impronte, quelle conosciute dei topi e del fenek e altre più grandi che Haroun mi conferma essere dello sciacallo. È una giornata bellissima e in lontananza le dune più alte iniziano a colorarsi con i primi raggi del sole, saliamo verso l’alto per dare l’ultimo saluto al Murzuq. Nella notte il vento ha disegnato nuove trame di sabbia le nostre impronte di ieri sera sono ancora perfette sottovento mentre sul lato esposto sono scomparse e al loro posto ci sono tante piccole ondulazioni, con il primo sole il Murzuq si colora di rosso mostrandosi in tutta la sua imponenza, purtroppo il trecento è definitivamente ko l’obbiettivo non funziona più probabilmente a causa della polvere. Appena tornati al campo si smonta la tenda e si parte, perdiamo quota avanzando verso nord attraversando gole di sabbia dalla forma indefinita, incontriamo una grande duna rossa e poi un mare giallo e liscio, poi ancora dune, se ne risale una piccola catena per poi scendere verso quella che viene chiamata la duna bianca che in realtà è un grande accumulo di gesso ricordo di un antico lago da tempo scomparso. È una distesa di gesso secco e fratturato, somiglia a una gigantesca pulitura di paiola dove è stato impastato il cemento bianco, anche la sabbia qui intorno è ricca di gesso, è un po’ bianca e un po’ grigia ed è molto pesante. Ci spostiamo sul margine esterno delle dune e usciamo dal Murzuq tornando nel mare di pietra nera ogni tanto interrotto da zone terrose dove, oltre ai “cocomerini”, si sviluppa una piccola savana di acacie. Avanziamo su questa terra piatta e polverosa con la sagoma infinita del Murzuq sempre sullo sfondo e poi ritroviamo l’oceano di pietra la cui monotonia è interrotta solo ogni tanto dai segnali messi dai ricercatori di petrolio, in realtà questa grande pianura è la montagna nera del Msak Settafet. Improvvisa davanti a noi si presenta un’apertura nella montagna e dall’alto si domina la striscia verde dell’oasi di Germa e il suo abitato con sullo sfondo il maestoso deserto di Ubari. Siamo tornati nel Wadi Al-Hayat che avevamo già attraversato arrivando da Sebha e da qui l’infinita distesa di roccia ritorna ad essere una montagna nera. Passiamo un controllo di polizia ed entriamo a Germa, è forte la sensazione di essere in un villaggio di confine, non tanto come nazione ma proprio come territorio abitato dall’uomo. Ci fermiamo a fare un po’ di spesa, come sempre in Libia i prodotti d’importazione abbondano, ci sono le banane dell’Ecuador, le mele della Val Venosta e la Nutella. Tutto è molto tranquillo e silenzioso, la maggior parte degli uomini veste alla maniera tradizionale Tuareg con il turbante che copre tutto il volto, donne in giro non ce ne sono ed è ci sono i bimbi che guidano le auto. L’oasi che da lontano sembrava grande, in relatà è piuttosto strimizzita e al suo interno c’è tanto secco. Attraversata l’oasi ci fermiamo ai margini del deserto di Ubari, una pianura arida con qualche acacia e tanti cumuli di terra che con l’effetto miraggio assomilgliano a tante piccole isole e poi ci spostiamo verso le rovine di Germa Antica. Dell’antico insediamento non rimane quasi nulla, solo qualche perimetro di mura, i resti di una grande villa di un ricco mercante romano, le tracce di un tempio dedicato a una divinità egizia e un po’ di rovine di architetture risalenti al periodo romano. Ma la parte più affascinante è quella della successiva fortezza berbera edificata con mura di fango, che il tempo ha sgretolato e reso spettrale, ci sono i resti di diversi torrioni di avvistamento e di diverse abitazioni più recenti alcune delle quali sono state restaurate e altre tracce relativamente recenti perché comunque l’insediamento è stato abitato fino a pochi decenni fa.
Germa era la capitale del regno dei Garamanti i mitici condottieri delle quadrighe del deserto che abbiamo visto raffigurate nell’Acacus, popolazione che il tempo ha disperso ma di cui i Tuareg si riconoscono eredi. I Garamanti sono una delle civiltà antiche più misteriose ed affascinanti, su di loro non sono mai stati fatti studi approfonditi e gli scritti lasciatici dagli storici dell’antichità sono pochi, si sa che erano di pelle chiara probabilmente di origine mediorientale e si presume che vivessero già in insediamenti stabili da prima del mille avanti cristo. Il primo a parlarne è Erodoto nel 500 a.c. che ci racconta che coltivavano con l’aratro cospargendo di terra fertile il terreno salato, che allevavano bovini con le corna così grandi che erano costretti a pascolare a ritroso e che a bordo di carri trainati da quattro cavalli cacciavano i veloci “Etiopi trogloditi” del deserto per renderli schiavi. I Garamanti erano rinomati nell’antichità come eccellenti allevatori di cavalli e abili carovanieri specializzati nel commerciare su lunghe distanze , come predoni e venditori di schiavi, ma la loro prosperità era legata soprattutto alla grande abilità nel raccogliere e convogliare le acque fossili del sottosuolo che permise loro di sviluppare una fiorente agricoltura, con grande maestria costruirono centinaia di canali sotterranei chiamati in arabo “Foggara” per portare  l'acqua nei campi, alcuni dei quali vengono usati ancora oggi. Questa grande capacità di ingegneria idrica decretò il loro dominio sul territorio ma fu anche causa del loro declino perché le riserve di acque fossili piano piano andarono esaurendosi e la falda si abbassò progressivamente fino a prosciugarsi. Agricoltori e predoni i Garamanti però non conoscevano l’uso della metallurgia, mancanza a cui supplivano commerciando con gli empori della costa mediterranea, chissà se nell’antica Garama è mai arrivata una spada forgiata con l’Oligisto Elbano e se all’Elba sia mai arivato un gioiello adornato con l’amazzonite, una preziosa pietra dura conosciuta anche come smeraldo garamantico, che i Garamanti estraevano nei monti Tibesti. I Garamanti grazie al loro isolamento geografico non subirono mai aggressioni da punici e greci, mantenendo integre le loro usanze che pare fossero assai originali, le donne che erano le padrone delle abitazioni erano un bene della comunità e il loro prestigio aumentava con il numero degli amanti; i bimbi erano proprietà della madre fino all’adolescenza, quando l'assemblea di saggi ne stabiliva la paternità in base alla somiglianza fisica, la donna godeva di elevato prestigio e vigeva il matriarcato, come oggi fra i  Tuareg. Una ferrea regola impediva che gli anziani gravassero sulla collettività e arrivati a sessanta anni i Garamanti si dovevano uccidere strangolandosi con un budello di bue.
Il loro dominio su Garama e i suoi territori finì intorno al settanta dopo cristo per mano dei Romani che stufi delle loro azioni di razzia sulla costa e a seguito di alleanze militari con gruppi berberi nemici, attaccarono e sottomisero Germa. La città e la sua gente si romanizzarono ma rimasero comunque sempre legate alle loro tradizioni culturali e religiose e mantennero il proprio re. I Garamanti avevano culti religiosi simili a quelli egizi e i loro re venivano sepolti in piccole piramidi (ne abbiamo viste alcune restaurate, che in realtà non hanno un gran fascino, più che restaurate sono ricostruite, poco prima di entrare a Germa).
Garama diventa una città Romana anche architettonicamente ma il regno dei Garamanti continua per un paio di secoli a governare un territorio assai ampio, poi come abbiamo detto la civiltà urbana fu sconfitta della mancanza di acqua e la maggior parte dei Garamanti tornaronono alla vita nomade abbandonando l’agricoltura e specializzandosi nella pastorizia e nel saccheggio.
Il regno e Garama comunque rimasero e nel 569 il re dei Garamanti firmò un trattato di pace con i Bizantini accettando anche il culto cristiano. Storicamente il regno dei Garamanti si chiude con l’avvento dell’islam nel 668, documenti arabi ci dicono che il re dei Garamanti venne portato via in catene dai maomettani e tutta la regione abbracciò l’Islam. L’attività carovaniera rimase comunque prerogativa della gente del deserto che presero il nome di Tuareg, che ancora oggi sono quello che ci rimane di questi indomiti guerrieri e abili idraulici del passato.
Dopo un paio d’ore ci ritroviamo con Yaya e ripartiamo alla volta del deserto di Ubari, anche questo è un mare infinito di sabbia che si estende per centinaia di chilometri verso nord ovest ricollegandosi al Grande Erg algerino. Nel primo tratto ci sono tante tracce di fuoristrada anche perché questo è un deserto molto più battuto rispetto al Murzuq e qui vicino ci sono i famosi laghi Ubari che andremo a visitare domani, ma poi spostandosi lateralmente si ritrova una zona più incontaminata dove montiamo il campo e andiamo a fare una camminata. Qui le dune non sono enormi come quelle del Murzuq, ma hanno forme più morbide e rotondeggianti e i colori sono meno rosati, fra due campi di dune si incontra una grande radura con qualche cespuglio dove il vento ha modellato tante minuscole dune disegnando un’icredibile trama di disegni geometrici che acquistano profondità e magia nel gioco di luce e ombre del tardo pomeriggio. Dopo il tramonto rientriamo al campo portando un po’ di legna per il fuoco, qui il freddo si sente ancora di più per via dell’umidità dovuta  alla presenza dei laghi.