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El Alamein, memorie di coraggio, ardimento e follia Fuori dalla stazione dei treni di Mahattat Misr in un delirio di asini, carretti e pulmini cerchiamo un mezzo per andare a El Alamein, per visitare il Sacrario a memoria dei soldati italiani caduti nelle due famose battaglie della seconda guerra mondiale. Saliamo su uno dei tanti micropulmini che portano fino alla stazione esterna alla città e poi da lì prendiamo il pullman per Marsa Matrouh. Scendiamo davanti al Sacrario italiano che si trova a circa otto chilometri a ovest dell’abitato di El Alamein. È un luogo di lutto e silenzio con tante lapidi enfatiche ma anche commoventi, che ricordano il coraggio e l’ardimento eroico dei tanti soldati italiani che qui hanno combattuto con tenacia sovraumana e in migliaia si sono immolati per rispettare le consegne. Le tante iscrizioni parlano di gloria e onore, patria e ideali, nessun accenno alla follia della guerra, allo spreco di tante giovani vite, a quanto coraggio e ardimento sono stati distrutti, a quanta energia e capacità rese vane per questa immane follia, a quanta vita è stata sprecata per assecondare i criminali disegni di morte di un branco di folli. Eroi, sicuramente è stato eroico il comportamento dei Para’ della Folgore ad El Alamein così come quello dei carristi della divisione ariete e prima di loro i Bersaglieri, gesta piene di ardimento e capacità, ma anche di follia, leggere “Consacrato al riposo di 4800 soldati marinai ed avieri d’Italia, il deserto ed il mare non restituiscono i 38000 che mancano” provoca dolore ma anche rabbia. Assieme alle tante lapidi commemorative e toccanti come quella del Ten. Col. dei Para’ Alberto Bechi Luserna “Fra sabbie non più deserte sono qui di presidio per l’eternità i ragazzi della Folgore fior fiore di un popolo e di un esercito in armi caduti per un’idea, senza rimpianti, onorati dal ricordo dello stesso nemico essi additano agli italiani nella buona e nell’avversa fortuna il cammino dell’onore e della gloria. Viandante arrestati e riverisci. Dio degli eserciti accogli gli spiriti di questi ragazzi in quell’angolo di cielo che riserbi ai martiri e agli eroi” Avrei voluto leggere anche qualcosa come “Grande e commosso rispetto per l’eroismo e il coraggio di questi ragazzi coerenti fino alla morte. Infinita vergogna per chi ha permesso che questo si verificasse impedendo a questi ragazzi di diventare i grandi uomini che sarebbero sicuramente stati” Un largo vialone conduce al monumento principale, una torre ottagonale sulla cui sommità sventola un tricolore italiano consumato dal vento. L’interno è austero e solenne, migliaia di loculi di cui centinaia con l’iscrizione Ignoto ne ricoprono le pareti, al centro un altare e poi delle grandi finestre che si aprono sul deserto e il mare. Poco distante un altro monumento che segnala il punto denominato Q33 il luogo del primo cimitero. Nel frattempo si è avvicinato al confine con l’area recintata un branco di dromedari portati al pascolo da due ragazzi beduini, ci sono diversi cuccioli che approfittano di ogni pausa per farsi una poppata. Ci spostiamo verso il mare attraversando un paio di chilometri di deserto bianco che nell’ultimo tratto diventa un pianoro salmastro, quelle che da lontano sembravano dune di sabbia in realtà sono friabili rocce bianche che il mare ha frantumato lungo la linea di costa. Camminiamo lungo costa avvolti nella luce di un sole potente che si riflette nelle rocce bianche e nel turchese intenso del mare, finalmente dopo il caos delle città solo suoni della natura, il soffio del vento e il mare che frange. Incontriamo solo tre ragazzi beduini venuti a pescare che stanno preparando un focherello per il pranzo, sono gentili e hanno facce rilassate. Ritorniamo verso la strada arrivando al cimitero tedesco, una severa costruzione molto simile a quella già vista a Tobruk, qui però è tutto chiuso, proseguiamo verso la strada. La prima macchina che passa ci da subito un passaggio e ci accompagna fino al museo militare di El Alamein, uno dei due passeggeri parla bene italiano perché ha lavorato vent’anni in nord Italia, sono molto gentili ci accompagnano fino al museo e addirittura ci vogliono aspettare perché anche loro vanno a Alessandria. Il museo è ben fatto e interessante, ricco di documenti, foto e cimeli e c’è anche un grande e spettacolare plastico che riassume tutte le battaglie svolte nella seconda guerra mondiale fra l’Egitto e la frontiera algerina. Purtroppo è l’ora di chiusura e i tanti inservienti di questo museo sono inflessibili e vogliono chiudere, quindi torniamo sulla strada per cercare un passaggio. Se le vie di Alessandria e del Cairo danno l’impressione che gli egiziani siano gentili solo per interesse, chiedendo passaggi sono di una generosità e una gentilezza disinteressata sconosciuta dalle nostre parti. L’autista di un furgone mi vede, rallenta, si ferma e fa retro marcia e poi ci carica, anche loro stanno rientrando verso Alessandria dopo una giornata di lavoro in questa zona che è, come già detto, un interminabile cantiere. I centoundici chilometri di deserto che separavano i bersaglieri del settimo reggimento da Alessandria nel millenovecento quarantadue, oggi sono una lunga città costiera dove sono state costruite e si stanno costruendo migliaia e migliaia di villaggi residenziali turistici. Dopo un’ora di viaggio lungo la strada ininterrottamente fiancheggiata da cemento, siamo nuovamente ad Alessandria con la sua periferia che sta strappando la terra alle lagune per costruire abitazioni e impianti industriali, lagune e canneti sono assaltati da ruspe, trivelle e idrovore e tutt’intorno i palazzi si perdono a vista d’occhio. Ci accompagnano in un centro commerciale, uno dei più grandi di Alessandria, è un centro enorme, uguale a tutti i centri commerciali del mondo, dove però non si trova lo zaino che si stava cercando. Mentre cammino nel fiume umano di questo grande hangar colorato e illuminato dalle solite scritte penso alla follia epica dei “Leoni della Folgore” ad El Alamein, così lontana da questo mondo che si sta consegnando a multinazionali e centri commerciali senza l’onore delle armi. |
© 2024 Elba e Umberto
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