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La Principessina scalza, il grande Faraone e il geniale Architetto Si scende al bivio per le piramidi “Ahramat” di Saqqara parola sempre accompagnata dal triangolo disegnato giungendo le mani, un lungo vialone attraversa il grande palmeto, orti, capanne e campi verdi irrigati da una fitta rete di canali e canalini regimati da chiuse. Passano continuamente carretti e ciuchini guidati da bimbi e bimbe, ne passa una bellissima con gli occhi grandi grandi e curiosi è fasciata da una serie di veli svolazzanti e siede in alto su una grande catasta di erba medica che avvolge e nasconde quasi tutto l’asino, è scalza e vestita di cenci ma è avvolta da un alone di grazia e magia, quella innata delle principesse che non si eredita e tantomeno si compra. Nei campi ci sono tanti bufali enormi e sgraziati, abulici e insulsi nel loro sguardo triste da eterni perdenti, i contadini nei campi zappano con movenze ampie e vigorose la terra morbida e scura, ogni tanto si fermano a bere il the all’ombra di capanne fatte di legno e fronde di palma, con gli asini e le mucche a contorno che fanno tanto presepe. Ci sono tanti piccoli focolari che punteggiano il palmeto qui la gente vive in case che in realtà sono capanne o al massimo baracche, il tempo sembra essere fermo da millenni e i pullman e i fuoristrada che sfilano veloci sul vialone diretti al sito archeologico appartengono a una realtà parallela distante e aliena. Ci sono tante palme grandi e rigogliose che disegnano nei campi lunghe ombre allineate e geometriche, geograficamente e storicamente questo è un punto importante, qui il largo imbuto verde del Delta si chiude nel corso del Nilo, un tempo questo era il confine fra l’Alto e il Basso Regno e qui sorgeva Menfi l’antica capitale del regno dei Faraoni. Si arriva all’ingresso del sito, un poliziotto ciccione che sembra un incrocio fra il sergente Garcia e Claudione di Lacona, ci squadra e ci controlla i documenti insospettito dal nostro arrivare a piedi e poi ci indirizza verso la biglietteria. È un centro moderno voluto e dedicato a Jean-Philippe Lauer un archeologo francese arrivato qui nel 1926 e al geniale architetto Imhotep che quarantasette secoli fa ideò e fece costruire la prima piramide della storia dell’umanità. Laurer rimase incantato dal sito di Saqqara tanto da rimanerci per settantacinque anni, fino alla sua morte avvenuta qui nel 2001. Il museo è piccolo ma bello, moderno e razionale si visita bene non è un accumulo di repertri come il museo del Cairo (penso anche che per esporre bene il materiale contenuto nel museo della capitale sarebbe necessario uno spazio enorme) è incentrato prevalentemente sulla figura del faraone Zoser primo sovrano della terza dinastia che regnò dal 2667 al 2648 avanti cristo e al suo geniale architetto Imhotep che per suo conto fece innalzare la magnifica e mastodontica piramide a gradoni. Gli agenti della polizia turistica si sono imboscati all’ombra, ne approfittiamo per entrare nel sito dal deserto lasciando il percorso prestabilito, il deserto è un impressionante accumulo di cocci, molti dei quali dipinti e a volte ricchi di pregevoli fregi policromi, ovunque ci sono tracce di sepolture e numerosi teschi e altre ossa umane spuntano dalla sabbia, del resto siamo nel cuore dell’antica città dei morti, questa è la necropoli di Menfi che è stata ininterrotto luogo sepoltura per 3500 anni. Salendo sui cumuli più elevati dei detriti di scavo, il panorama del deserto ad ovest del Nilo è emozionante con decine di piramidi che, più o meno integre, si elevano dalle sabbie, misteriose memorie di un passato così alieno al presente da sembrare futuro. L’orizzonte spazia dalle grandi Piramidi di Giza a nord a quelle di Dahshur a meridione, ma è dominato dalla grande piramide a gradoni di Zoser che magnifica e unica si erge davanti a noi, è la prima, la mamma di tutte le piramidi. I sei gradoni salgono fino ad un altezza di sessanta metri mentre la tomba si trova nel sottosuolo a ventotto metri di profondità in un caveau costruito con enormi blocchi di granito. Vicino alla possente struttura a poche centinaia di metri, si trova il grande parcheggio dei bus turistici, ce ne sono diversi ma l’area è talmente grande che si disperdono. Vista da sotto la piramide è maestosa, quelle che sembravano piccole pietre si rivelano enormi blocchi e i sei gradoni salgono armonici, lo spazio fra i piani è colmo di detridi e la base è ancora in gran parte ricoperta dalla sabbia, mi viene da pensare ai pionieri dall’egittologia come Auguste Mariette che intorno alla metà del milleottocento iniziò a scavare a Saqqara, quando dalle sabbie si ergeva solo la grande piramide di Zoser, il francese salì alla ribalta nel 1851 quando scoprì il Serapeo grazie alle dettagliate coordinate lasciate da Strabone il grande viaggiatore e geografo greco che visitò questa zona nel 24 avanti cristo. Mi trovo nel grande cortile sud, proprio ai piedi della colossale opera di Imhotep e sono sorpreso del fatto che non ci sia praticamente nessuno, questa era la grande area sacra dove ogni trent’anni si svolgeva “Heb- Sed” la cerimonia di ringiovanimento del faraone che consisteva in un percorso rituale che il faraone doveva coprire di corsa al cospetto dei suoi funzionari, per dimostrare di possedere il vigore necessario per governare la terra d’Egitto, finita la cerimonia podistica e recitate le formule magiche il faraone nuovamente giovane e vigoroso era pronto per continuare a comandare il suo regno. Così dicono i testi antichi, in realtà facendo du conti, se le date del libro che mi porto dietro sono giuste, ‘sta festa l’hanno fatta poche volte e Zoser alla corsa ringiovanente non c’è mai arrivato, infatti ha regnato per diciotto anni, forse il primo faraone che ha fatto la corsa è stato Unas circa trecentoventi anni dopo la morte di Zoser, che c’è arrivato buco buco, ma se è così non deve ave’ funzionato perché ha regnato preciso trentenni. Pochi altri faraoni hanno durato abbastanza da fare la corsa e solo Ramsete II è riuscito a farme due, mentre Pepi II ne dovrebbe aver fatte addirittura tre, l’ultima intorno ai cent’anni di età. Chissà perché ma mi viene in mente berlusconi con corona da faraone e maglietta del milan tutto impegnato nella corsa sacra in un tripudio di vallette e sotto lo sguardo serio e preoccupato e ammirato di scriba a forma di bondi e capezzone. Appena alle spalle della zona in cui si concentrano le visite lo scavo sembra abbandonato, ci sono parcheggiati gli asini della gente che prova a vendere merci ai turisti e c’è soprattutto tanta sporcizia, fa rabbia vedere tanto degrado, a nessuno sembra interessare dei tanti reperti e i monumenti sono sfruttati come merci da vendere senza il minimo interesse per quello che rappresentano, anche in questo eccelgono le guardie della polizia turistica che usano le tombe chiuse come cessi, è tutto ad uso e consumo dell’industria del turismo organizzato, osservare questo flusso che per certi versi ricorda una cerimonia ripetitiva è inquietante, sembra una catena di montaggio, i turisti entrano dalla sala ipostila, guardano la piramide da lontano, quindi visitano le due tombe aperte e via di nuovo al parcheggio. Appena dietro la postazione dei militari c’è la piramide di Unas che è ridotta piuttosto male, quando era integra raggiungeva i 43 metri di altezza, fu costruita trecento anni dopo la piramide di Zoser ed è famosa perché nel suo ricco interno sono stati trovati i famosi Testi delle Piramidi le formule magiche per rinascere nell’aldilà, poco più a sud c’è poi una grande e profonda voragine dove si trovano le “tombe dei persiani” risalenti al quinto-sesto secolo avanti cristo, l’ultimo periodo dell’Egitto dei faraoni prima della conquista da parte di Alessandro Magno. Cerco un varco ma le guardie ci richiamano, la zona è chiusa alle visite, questa parte dello scavo sembra proprio abbandonata e destinata solo alla sabbia e a grandi cumuli di spazzatura. Il posto più frequentato del sito è il cesso, dove i poliziotti e la gente che arrabatta intorno allo scavo si ripara all’ombra del container adibito a latrina per villeggianti. Girando intorno alla piramide è tutto più tranquillo e tutto riacquista una dimensione di magia, si respira l’eccezionalità di questo luogo che emana potente il fascino della storia. Il turismo archeologico da queste parti è millenario, gli scritti del passato ci parlano di viaggiatori del tempo di Ramsete II che venivano qui da tutto l’Egitto per ammirare i grandi monumenti dei loro antenati, erano già trascorsi mille e cinquecento anni dalla costruzione della grande piramide a gradoni e la gente veniva a rendere omaggio alla Piramide di Zoser e al suo costruttore Imhotep che nel frattempo era stato divinizzato e veniva adorato come Dio degli Architetti. Ci sono delle impalcature di legno ai piedi della parete ovest per effettuare dei lavori di restauro, è alta una ventina di metri ma è niente al cospetto di tanta grandezza e mi immagino che i restauratori siano pervasi da un grande senso di impotenza. Il lato settentrionale della piramide è quello della discenderia che porta alla camera sepolcrale, la tomba reale che si trova nel sottosuolo a ventotto metri di profondità, l’accesso è interdetto ma le guardie sono lontane e non vedono perché è molto basso, la ripida discenderia è troppo invitante per non affacciarsi, ma dopo pochi metri risulta impraticabile perché piena di spazzatura, poco più avanti in superficie c’è il Serbab con la copia della statua di Zoser che abbiamo visto al museo Egizio e qui le guardie mi vedono e si avvicinano, attendevano al varco, “closed no possibol” e poi la solita recita per comprare il silenzio sotto la minaccia di chissà quale multa, “foto secret” indicando la statua e poi silenzio mimando la chiusura ermetica della bocca unendo pollice e medio a mimare una cerniera, sposta le dita sì giunte da sinistra verso destra. Dai cumuli di scavo del lato nord si ammira un grande panorama sulle piramidi di Abu Sir e più in lontananza su quelle giganti e appuntite di Giza, il punto più interessante per osservarle è la piramide di Userkaf, ma a causa della mia poca propenzione al baschish è “NO !”. La maggior parte delle sepolture del sito sono chiuse compreso il Serapeo, spostandosi verso ovest camminando fra cocci e scheletri si raggiunge una delle Mastaba più famose, quella di Akhethotep e Ptahhotep due importanti funzionari dei faraoni della quinta dinastia, i disegni a rilievo che ricoprono le pareti sono molto belli e hanno colori realistici e freschi, riproducono svariati animali e tante scene di vita quotidiana, questi personaggi dovevano essere molto importanti e ricchi e Ptahhotep rappresentato vestito con una pelle di leopardo ha l’autorità di un Faraone. Si ritorna verso sud, il tempo come sempre vola il sole è ancora alto e fa caldo ma anche qui alle quattro chiude tutto, prima di essere sbattuti fuori diamo un’occhiata alla sala Ipostila e alle sedi delle due grandi navi di Unas. Ormai il sito è chiuso e il grande parcheggio è ora deserto, i ciuchini sono tutti lungo la via di casa e anche le guardie a dromedario stanno rientrando. Camminando fra le tombe a sud dello scavo siamo riusciti a rimanere dentro, ci sono diverse tombe restaurate ma sono chiuse e i resti quasi indecifrabili del monastero Copto di San Geremia, un edifico del quinto secolo costruito in mattoni crudi che fu distrutto dagli arabi intorno al novecentocinquanta. Lo scavo è un enorme cantiere, in un deposito all’esterno di una grande tomba ci sono dei grandi sarcofaghi di granito con alle spalle un grosso verricello arrugginito che fa tanto archeologia pionieristica. Da lontano una guardia mi vede quindi prendiamo la via del ritorno, facciamo un tratto insieme a tre bimbi che si sganasciano dalle risate guardando le foto che gli ho fatto, la strada che era interdetta all’andata, è accessibile al ritorno: è la via che percorre la gente che lavora intorno alla zona turistica, che finita la giornata è tornata verso le abitazioni sparpagliate all’interno del grande palmeto. Ormai nella campagna sta calando la sera, gli uomini continuano a lavorare alcuni zappano e altri deviano il corso dei canali per l’irrigazione, ci sono tanti ibis che si appollaiano sulle sponde dei fossi, il silenzio è interrotto solo da un gruppo di ragazzi che gioca a pallone fra le palme. Man mano che scende la sera aumenta il traffico, sulla strada sono soprattutto carretti di erba medica trainati dai ciuchi e bufali che vengono riportati nelle stalle, l’attenzione va su una carovana di cammelli che sta portando fronde di palma, è un’immagine buffa sembrano dei dinosauri corrazzati e anche delle gigantesche ananas con le zampe, verrebbe una foto divertente ma nel momento migliore la macchina fotografica muore. Questa non ci voleva, si cammina controcorrente al flusso di asini e bufali e strada facendo tiro anche du’ calci al pallone che come sempre si rivela un eccezionale sistema per stabilire un contatto, e poi qui si gioca sempre col pallone sgonfio che mi da anche l’illusione di essere capace a palleggiare. Raggiunta la strada ci prende un minibus e ci si rituffa nel traffico che come al solito diventa delirante a Giza, dove si riprende la metro, la solita calca e solita incomprensibile battaglia per la conquista della porta scorrevole della metro. Ora la priorità è sistemare la macchina fotografica. |
© 2024 Elba e Umberto
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