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Le Mummie Dorate e il camion delle bombole del gas
Dopo una nottata insonne di battaglie con le zanzare arriva l’alba, ci sono già una ventina di gradi, il sole è ormai alto ma Bawiti è ancora addormentata. Si passa dal cimitero dove ci sono due marabutti, il più grande ha dentro almeno sei sepolture, ma è tutto pieno di sporcizia; nel secondo, senza volta, c’è addirittura un teschio, forse è quello del “santo” che riposa tra la spazzatura e una cacata, il culto dei morti islamico è sempre spiazzante, però aiuta a capire il disinteresse della gente verso le storie e le genti del passato.
Andiamo nella zona del museo delle mummie dorate e dopo un po’ di attesa si entra, sono esposte una decina di mummie trovate qui vicino nel 1996, si tratta di un piccolo campione delle circa duecentotrenta che sono state estratte dall’antica necropoli risalente al periodo Greco Romano, dove sembra ne siano state identificate più di diecimila. Rispetto a quelle del periodo Faraonico precedente alle dominazioni straniere, sono molto grezze, i corpi sono ricoperti di bende adornate con disegni colorati che niente hanno a che vedere con la precisione e la raffinatezza delle loro antesignane, anche le famose maschere dorate sono lontanissime dallo splendore di quelle di Tutankamon o della regina Tuya viste al museo del Cairo, la famosa doratura di queste mummie consiste in uno strato sottile di vernice dorata posta sopra le bende di lino che dopo essere state impregnate nel gesso venivano applicate sui volti dei defunti e infine vi disegnavano gli occhi, i capelli e la bocca per riprodurre più fedelmente possibile la fisionomia del defunto. In questo periodo la mummificazione era diventata un fenomeno di massa e quasi tutti si facevano mummificare per accedere alla vita eterna, però come sempre quando le cose diventano alla portata di tutti, la qualità scade e anche le formule magiche disegnate sui corpi mummificati danno l’impressione di essere solo un frettoloso ricopiare. Nel museo si stanno concentrando i turisti, sono arrivati un gruppetto di italiani e uno di tedeschi, lasciamo il deposito delle mummie e ci spostiamo  di qualche centinaio di metri e andiamo a visitare le tombe di Quarta Qasr Salim, le più famose di Bawiti, che risalgono alla XXVI dinastia. Si trovano proprio in mezzo all’abitato, all’interno di in poggiolo di terreno brullo che è recintato ma ha il cancello aperto, sembra che non ci sia nessuno ma i custodi sono tutti in un grande stanzone a pennicare, uno un po’ contrariato si alza e ci apre il grande cancello a botola, si scende nella prima tomba più grande che fu costruita per Bannentiu, che le iscrizioni geroglifiche descrivono come sacerdote. Alla fine della discesa ci sono due stanze decorate con colori vivaci, con le solite raffigurazioni di dei e offerte e quelle del padrone di casa, la moglie e il figlio, gli affreschi sono grezzi nella fattura  ma molto accesi nei colori, sono realizzati su di un velo di intonaco, ora molto delicato, appoggiato sulle pareti di arenaria, purtroppo il calore delle luci al neon sta facendo crescere una muffa nera che si sta mangiando gli affreschi. Mentre siamo dentro scende un gruppetto di tedeschi e nonostante siano persone assai rispettose del sito, si vede come la presenza di tante persone in uno spazio così angusto produca danni irreparabili, le mani che finiscono sui dipinti, lo zaino che struscia sulle pareti e si porta via un pezzo di colore, ma è soprattutto l’umidità che si sviluppa con la presenza delle persone che sta distruggendo rapidamente le pitture. Risaliamo per andare a vedere l’altra tomba visitabile di questo sito, la più famosa, quella di Zed-Amun-ef -ankf  un ricco commerciante che era anche il babbo di Bennentiu, è più piccola ma molto bella, con un'unica camera centrale adornata da quattro piccole colonne irregolarmente cilindriche che sono scalpellate nella roccia formata da sottili strati di diverso colore che si armonizzano bene con i colori dei dipinti, purtroppo anche qui i colori stanno subendo grossi danni a causa della poca cura con cui sono illuminate le tombe e da come sono gestite le visite. Ai lati nelle pareti ci sono altre aperture che conducono a piccole tombe senza decori risalenti al periodo romano, quando in questa zona furono costruite delle tombe collettive.
Fa caldo oggi a Bawiti, ci spostiamo camminando in direzione di Farafra per vedere un’altro complesso funerario che dista qualche chilometro, percorrendo le solite vie polverose vediamo passare i pulmini dei turisti incontrati prima, probabilmente vanno a vedere il Deserto Bianco. In uno slargo lungo la via c’è grande movimento e assembramento, è arrivato il camion delle bombole del gas, si scaricano le piene e si caricano i vuoti, ancora qualche decina di metri, l’abitato finisce ed è già deserto, qualche minuto di cammino e troviamo un controllo di polizia, il militare è perplesso di vederci lì a piedi e senza guida, risolve tutto una guida beduina in fuoristrada che sta entrando a Bahariyya con una famiglia di belgi, anche il poliziotto come i bimbi del villaggio mi chiede una penna “uangonben!?” Ma avrebbe anche ragione visto che registra i passaggi con il tubino dell’inchiostro di quella che fu una penna a sfera. Qui vicino ci doverebbe essere la tomba più antica ritrovata in questa zona, un blocco di arenaria e un casotto di frasche di palma ci fa capire che siamo sulla giusta via, nel capanno ci sono tre guardiani stesi all’ombra, “ticket” mi urla uno, mostro il biglietto che vale per tutti i siti dell’oasi e si avanza verso il sito, la tomba di Amenhotep Huy risale alla XVIII dinastia, non è che ci sia un granché, è rimasto poco si intuisce con un po’ di fantasia qualche traccia di figura umana e delle spighe di grano, resti di altre tombe e resti di grossi pezzi di ceramica spessi diversi centimetri. Andando via per qualche metro ci segue il canino festante dei guardiani sempre sdraiati in capanna. Si riprende la via e si ritorna verso il deposito del gas dove ormai i vuoti sono quasi tutti sul cassone del grande camion e la gente sta tornando a casa con le bombole portandole nelle maniere più disparate, i bimbi a piedi le fanno rotolare sulla strada inventandosi una specie di gara che trasforma in gioco il lavoro, chi le carica sull’asino, chi sul carretto o la bicicletta, tanti con le moto spesso caricando due bombole sui fianchi del centauro a mo’ di soma di ciuco, poi i più ricchi con i motocarri, i pik up e i trattori. Il sole è vicino allo zenit ormai è troppo caldo per camminare, ci ripariamo all’ombra per qualche ora e poi verso le tre si riparte per andare a vedere il tempio di Ain al-Muftella, anche questo, come le tombe dentro il paese, risalente alla ventiseiesima dinastia, anche qui lungo la strada che costeggia l’oasi le solite strade sabbiose e le solite situazioni, l’edificio più interessante la tomba di uno sciecco con la classica cupola conica e il solito corredo di spazzatura all’interno, poi la strada diventa asfaltata e cammina nel deserto anonima finché non si incontra una cancellata con all’interno una tettoia. I due guardiani ci dicono è chiuso, come al solito questi siti poco visitati sono sempre chiusi, gli orari di visita vengono gestiti a bashish, nonostante il biglietto il tempio rimane chiuso, faccio un giro fra mattoni crudi e i resti del santuario, dalle fessure delle porte si intravedono i classici rilievi che si vedono nei templi Egizi. Si prosegue camminando verso sud e si rivede la strada da cui siamo arrivati da Siwa, sul cavo dell’eletricità che fiancheggia la strada c’è una lunga fila di gruccioni, che forse si preparano a partire per l’Europa, mentre ai bordi della via ci sono diversi cadaveri di animali senza testa, soprattutto gatti e galli che mi fanno pensare a riti di magia nera ancora diffusi fra la popolazione nonostante siano combattuti dall’islam. Si cammina fra campi di grano e ogni tanto spunta qualche piccolo girasole, poi isolata incontriamo una grande villa dall’architettura vistosa, con tanto di pratino all’inglese e mercedes nero davanti al portone, forse la casa di un moderno Zed-Amun-ef-Ankf, nel frattempo la temperatura si è abbassata e il cielo si è coperto di nuvoloni gialli, incredibilmente piove, sono solo poche rade gocciolone me qui è comunque un evento e la cosa preoccupa i muratori che stanno costruendo il minareto di una moschea di campagna. Seguendo la mappa che mi porto dietro, il famoso tempio di Alessandro Magno non dovrebbe essere lontano, infatti tagliando per i campi grazie anche alle indicazione di alcuni contadini lo vediamo in lontananza e attraversando una distesa arida lo raggiungiamo. Anche se alcuni studiosi ritengono che Alessandro non sia mai passato da qui, sembra che il condottiero Macedone, dopo aver ottenuto conferma dai Sacerdoti dell’Oracolo di Amon a Siwa sulle sue origini divine, sulla via del ritorno sia passato da qui e in onore di Ammon e di se stesso abbia fatto erigere questo monumento. Sta di fatto che questo è l’unico tempio dove sono state trovate raffigurazioni e cartigli di Alessandro Magno. Purtroppo però ormai non si vede quasi niente perché l’erosione ha consumato quasi tutto e poi la visita risulta angosciante perché i due guardiani particolarmente ottusi, ci vogliono mandare via in tutti i modi asserendo che il sito è chiuso e che i turisti arrivano dalla strada e non dai campi e solo la mattina. Sulla via del ritorno passiamo da un piccolo villaggio dove la gente dopo una giornata nei campi si rilassa e si lava nelle pozze di acqua tiepida alimentate dalle sorgenti calde che sbucano un po’ ovunque. È ormai buio quando si rientra  camminando nel flusso dei ciuchi di rientro dalla campagna e poi il paese ci accoglie con i bimbi che recitano a pappagallo “uan ben……”  
 
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