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Mister Pharaon e Abu Nuss il villaggio Beduino/Nubiano
Oggi è Pasqua, in italia è una festa importante ma qui è un giorno anonimo, uno dei tanti, quando ero all’Elba in questo periodo ero sempre impegnato ad organizzare le escursioni, tutti volevano venire a fare trekking sull’Isola ed era sempre un problema trovare gli alloggi e le guide a tutti, chissà come sarà la situazione quest’anno. Questa è la seconda Pasqua Africana, la prima la passammo nella neve dell’Atlas, questa nel cuore del Sahara, chissà dove saremo la prossima. Primo incontro della giornata con un poliziotto che ci chiede al solito la nazionalità, dove abbiamo dormito e dove siamo diretti, colazione al cafè “casa del popolo” dove ormai siamo di casa, qui tutti hanno facce interessanti, ma il più fotogenico è il macellaio che dalla sua sedia pulpito posizionata sul marciapiede osserva con attenzione ogni movimento e poi dispensa saggezza a chi la vuole ascoltare. Il caldo avvolge tutto e tutti si rintanano all’ombra, mi faccio barba e capelli e poi andiamo a fare un giro nell’oasi, l’unico luogo che la logica termica consiglia di visitare. Nonostante che la temperatura sia notevolmente più bassa, fa caldo anche qui e i canali dove scorre l’acqua tiepida sembrano dei grandi termosifoni, le proprietà sono segnalate da cancelli, spesso senza alcuna recinzione intorno, il lavoro dei contadini nelle oasi è soprattutto quello di controllare e deviare il flusso delle acque dai canali principali a quelli secondari per mezzo di tante piccole chiuse che permettono di allagare a rotazione i terreni dove coltivano le palme da dattero, gli olivi e gli albicocchi, il terreno non viene zappato anche perché in pratica è sabbia, ogni tanto si incontrano le vasche dove la gente la sera viene a lavarsi. Ritornati nella città vecchia con il sole ormai a picco, ci andiamo a riparare all’ombra per qualche ora, verso le quattro si esce per andare a fare un giro al villaggio di Abu Nuss. Nel frattempo le ricerche di passaggi per Djara Cave portano tutte all’albergo più famoso, quello gestito da un temuto e rispettato beduino locale detto el Pharaon, il gran faraone di Farafra è considerato da tutti un gran ladrone per i prezzi che mediamente sono il doppio rispetto agli altri, ci riceve camicione bianco e rasatura degna di antico sacerdote di Amon, gli chiedo se è possibile andare a Djara Cave e quanto costa, mi dice il prezzo: 150 Euro al giorno, rimango spiazzato, non sono più abituato a fare i conti in euro, ma realizzo subito che è una cifra per noi improponibile, ci vuole un giorno per andare e uno per tornare, sono 2250 Pound quello che normalmente spendiamo in un mese, per il momento le stalattiti di Djara Cave non ci vedranno, penso che una soluzione la troveremo, penso che da Asyut polizia permettendo sia possibile raggiungerle a piedi o magari in cammello, percorrendo l’ultimo tratto dell’antica via carovaniera dei datteri, quella che collegava Siwa al Nilo. Mi diverte pensare a come si fa presto a cambiare i propri parametri, se fossi arrivato qui fresco dall’Europa un’escusione in fuoristrada con autista, guida e cuciniere compreso di vitto e tenda per due persone al costo di 150 euro, mi sarebbe sembrata assai economica, sono molto contento e fiero del fatto che si riesca a viaggiare e nello stesso tempo a mandare avanti anche il sito di elbaeumberto con un budget inesistente per i parametri europei. Salutiamo Mister Pharaon comunque persona gentile e cordiale e ci incamminiamo verso Abu Nuss, pochi minuti e si rimedia un passaggio in pik up fino al posto di blocco dove si scende, solito controllo e solite domande e solita seduta sulla murella delle guardie, che non capiscono perché voglio andare ad Abu Nuss dove non c’è niente da vedere, ci vogliono cercare un passaggio per rimediare un bashish ma insisto un po’e ci lasciano andare a piedi dicendo che siamo pazzie e che cuoceremo sotto il sole…il primo mezzo che passa ci carica, l’autista è un abitante originario di Farafra e ci tiene a dirmi che ad Abu Nuss ci vivono solo Beduini e Nubiani e che lì prima del progetto agricolo della Nuova Valle c’era solo il deserto, ci lascia dopo qualche chilometro all’inizio della campagna bella che mi aveva colpito giovedì, mucche ibis e tanto grano, invece che nel cuore del Sahara sembra di essere nel delta del Nilo. Farafra è l’avamposto più isolato della Nuova Valle, il governatorato più grande e meno popolato dell’Egitto, la nuova valle fu voluta da Nasser per sostenere l’innarestabile incremento democrafico egiziano, sfruttando le acque profonde delle enormi falde acquifere delle oasi per creare nuova terra fertile dal deserto. Fino alla metà degli anni sessanta questa piccola oasi rimase fuori dal progetto e l’agricoltura e conseguentemente la popolazione era dimensionata al potenziale idrico naturale, poi iniziarono a fare pozzi, oggi ce ne sono oltre cento, e questo ha permesso una grande espansione di terre agricole e l’insediamento di villaggi come Abu Nuss, dove si sono stanziati gruppi di Nubiani sfrattati dalla loro terra che è rimasta sommersa sotto le acque del lago Nasser con la  costruzione della grande diga di Assuan e da Beduini stufi della vita nomade. Camminiamo lungo i canali dove ogni tanto aggalla qualche pesce, passa una donna beduina alla guida di un carro, come da tradizione è completamente velata di nero, nei campi c’è tanto grano che qui si coltiva a ciclo continuo, ci sono campi di frumento verde, dorato e già mietuto, ci sono anche tanti vitellini e mucche grasse e in buona saluta, questo sfruttamento eccessivo anche qui come a Siwa sta provocando dei problemi, ma l’impatto visivo dei campi di erba medica, di grano e palme è molto bello. La vita brulica anche in aria, ci sono tante rondini e anche i gruccioni che non riesco mai a fotografare per bene, è strano  sembra di essere sul delta del Nilo e invece basta allungare lo sguardo ed è solo sabbia e terra arsa. Arriviamo al villaggio poco prima del tramonto, ci sono dei pescatori improvvisati che provano a catturare qualche pesciotto nel canale con delle canne da pesca fatte con la lisca delle fronde di palma, nel villaggio c’è aria di festa, questa è l’ora del rientro dai campi, i bimbi nella “piazza” giocano alle macchinine spingendo delle stagne di plastica sfondate e girando le ruote scassate, c’è un bel clima la gente è gentile e contenta di vederci e vuole le foto per il gusto di vedersi anche un attimo nel visorino della camera. Sempre quando ti allontani dai flussi anche minimi di turismo il viaggio si arricchisce di umanità e si riesce ad avere un rapporto fra persone, che quando lo vivi ti sembra normale, perfino banale, come dicevano i saggi Amazigh dell’Atlas, “la terra è un unico pianeta e gli uomini un'unica razza” ma purtroppo non è sempre così. Per me l’Egitto ha un fascino storico irresistibile e delle tracce di questo affascinante e magico passato ne voglio vedere e sapere il più possibile, quindi spesso saremo in zone turistiche dove vige il credo che tutto e tutti sono solo merce, ma lasciata la terra dei Faraoni, voglio stare il più lontano possibile dalla vie di comunicazioni principali e dalle zone abituate a ricevere turisti. È bello essere in un luogo dove nessuno ha da venderti niente, dove si è felici per un semplice scambio di saluti, osservare i ragazzi che vanno a vedere il tramonto dalla piccola collina dietro il villaggio, la moschea con il minareto a traliccio, il cafè del paese dove la presenza di Serena, la femmina senza velo, fa gente, un’immersione di umanità dentro un villaggio di profughi circondato dal nulla. È ormai sera quando si riparte a piedi, dopo un paio di chilometri passa il pik up passeggeri, davanti sono in tre e con noi una decina di persone sul cassone, man mano che ci si avvicina a Farafra si diventa sempre di più, l’autista raccoglie tutti, alla fine siamo 23. Arrivati al posto di blocco ci controllano, la polizia ci riconosce ma stavolta ci lascia rientrare senza le solite domande. Cena al solito posto con minestra, riso e kebab e poi si va a comprare acqua e viveri sufficienti per passare, polizia permettendo, i prossimi due giorni nel Deserto Bianco. 
 
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