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Le suorine, le dune e il grano dorato
Passiamo la mattina al cafè popolare in attesa di un passaggio per Mut, il centro principale dell’oasi di Dakhla, l’Africa mi ha insegnato che non ci vuole fretta, poi la giusta occasione arriva, ci scambiano per turisti e un paio di autisti ci propongono trasferimenti a prezzi fuori mercato, anche perché per i pochi europei che capitano qui il valore primario non è il costo del servizio, ma l’ottimizzazione del poco tempo a disposizione e su questo i trasportatori giocano, però con noi cascano male. Nell’attesa assistiamo alle performance dei macellai che prima affilano le lame dei coltelloni e poi in un battibaleno sminuzzano un quarto di dromedario, e mentre si gioca a domino e si sorseggia the si osserva lo scorrere lento della vita quotidiana. Il minibus giusto arriva nel primo pomeriggio, si caricano gli zaini sul tetto e si parte stranamente mezzi vuoti, ma già alla seconda fermata il pulmino si riempie e come al solito ci si ritrova stivati, sono salite anche due pie ragazze totalmente velate, hanno uno scatolone forato in cui portano dei piccioni, prima di lasciarle il loro accompagnatore, presumibilmente il babbo, si assicura che non siano a rischio di contatto fisico con uomini o ancora peggio con infedeli. La strada avanza sempre dritta circondata da un’aridità assoluta, di tanto in tanto si elevano dalla grande distesa piatta dei picchi erosi che troneggiano dall’alto come fortezze militari. La monotonia è interrotta dagli avvallamenti che fanno corrugare la schiena al serpente di asfalto e danno il via ad un movimento ondulatorio amplificato dagli ammortizzatori spompi del pulmino, a ogni dosso sembra di incontare le tre onde del traghetto col guzzo. Si avanza veloci nella depressione andando incontro a quella che sembra una catena montuosa finché la via con’un ampia svolta a novanta gradi, allontana dai picchi lasciandoci  abbondantemente sotto il livello del mare. Dal nulla improvvisamente spunta una chiazza di verde, è un campo di erba medica irrigato, è il primo coltivo di una serie di terreni agricoli strappati al deserto che precedono il villaggio di Abu Minqar, siamo circa a metà strada ci fermiamo per un quarto d’ora, anche per l’irrinunciabile sosta preghiera. C’è una piccola moschea all’aperto e un cafè in muratura, è una struttura malandata e sporca che ricorda il circolino della Bonalaccia, solo che qui nessuno gioca a “Padrone e sotto” e i disegni colorati che sono dipinti sulle pareti raccontano la grande voglia d’acqua fresca di questo villaggio nato qui grazie a qualche pozzo che a reso abitabile una piccola porzione di questo sottosuolo arso, sui muri sono raffigurati un fiume circondato da alberi, un grande lago e un’isola circondata da acque agitate che da rifugio a delle feluche. Il tempo di prendere un the e di sgranchirsi le gambe e si riparte, il panorama che ci scorre intorno sarebbe bello ma qui tutti tirano le tende e cosa ancora più antipatica si usa tenere i finestrini chiusi per non far sveltolare le tendine, il risultato amplificato dal pesante vestiario è che si viaggia dentro un vagone di puzzo di sudore. La “suorina” più giovane fa suonare al suo telefoninino una nenia Coranica, mentre lei assorta nella cantilena mistica prega sottovoce. Il torpore generale si dissolve bruscamente quando incrociamo un camion rovesciato, purtoppo una scena vista già troppe volte, un mezzo semidistrutto e gente stradiata nella sabbia. Il deserto sta diventando sabbioso e la rena dorata spesso invade la careggiata, le dune avanzano inesorabili, spesso coprendo quasi totalmente i piloni dell’enegia elettrica, passiamo dal bel villaggio di Qasr prorio nel momento in cui la luce è più bella e si prosegue in direzione di Mut che ormai si trova a soli trenta chilometri da qui. Finalmente siamo nella grande oasi di Dakhla e il deserto cede il posto a una campagna rigogliosa, ci sono grandi estensioni di campi di grano dorato ed è in corso la mietitura, c’è un gran via vai di ciuchi e carretti che danno un senso di festa insieme ai tanti capelli di paglia che qui sono portati da uomini, donne e bimbi. La strada prosegue fiancheggiando il lago di Mut e poi dopo pochi minuti siamo dentro il capoluogo dell’oasi, il pulmino ci lascia ai margini della città vecchia, ormai è l’imbrunire ora bisogna trovare un posto per dormire, da domani si comincerà a gironzolare. Cercando una sistemazione attraversiamo buona parte della cittadina, per fortuna qui i controlli non sono assillanti, solo un poliziotto ci ferma e ci fa un paio di domande ma con fare molto blando. Camminare con gli zaini carichi con queste temperature è impegnativo, ci fermiamo a mangiare una frittella allo zucchero e poi ci sistemiamo in un albergo che sembra avere solo noi come ospiti.