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Lasciata la valle del Todra il paesaggio torna desertico, sullo sfondo le montagne del medio Atlante che fra qualche giorno attraverserò. il deserto è roccioso ma ogni tanto il vento accumula un pò di sabbia sulla strada, sono zone estreme dove è già difficile sopravvivere. In passato i villaggi delle oasi traevano sostentamento dal sostare delle carovane che attraversavano il deserto trasportando sale, schiavi e altre merci. Oggi queste sono scomparse e i palmeti, anche per la siccità e per la malattia del Bayoud, stanno morendo.
Nei pressi di Erfoud , a fianco della strada, ci sono una lunga serie di cumuli di terra bianca, come tanti piccoli vulcani, ci fermiamo, si tratta di pozzi di ispezione dei vecchi acquedotti ormai abbandonati.
Ci sono delle lunghe file, almeno cinque di questi vulcanetti di fango secco, uno ogni 20/25 metri, alcuni hanno ancora, sopra l’imboccatura, degli argani di legno. Davanti ai “crateri” due ragazzi con una tenda aspettano eventuali visitatori, il più grande dei due fratelli è un diciottenne, ha l’istinto della guida, si vede che gli piace spiegare , non parla come un registratore e si sforza perché vuole farti capire. Mi spiega, anche attraverso disegni, che i canali servivano per portare l’acqua alla vicina oasi e i pozzi servivano per ispezionare e pulire i canali dell’acqua che si insabbiavano continuamente. Dall’oasi traevano la sussistenza le tribu Berbere, Beduine, Tuareg e Nomadi, e siccome fra loro non correva buon sangue, ognuna aveva il proprio acquedotto.
I canali sono lunghi circa 25 chilometri ed i pozzi più a monte sono profondi oltre 35 metri, poi degradano fino a 0 all’interno dell ‘oasi . Ora sono tutti secchi, sono stati abbandonati una trentina di anni fa quando hanno fatto i pozzi con le pompe all’interno dell’oasi per l’agricoltura e per portare l’acqua nelle case. Questo nuovo sistema ha portato però all’abbassamento della falda che ha fatto seccare tutti i pozzi antichi.
Chiedo se si possono visitare gli antichi acquedotti, gli si illuminano gli occhi e ci spostiamo verso un cratere, lui si cala velocemente nel pozzo, io scendo qualche metro, poi visto il continuo franare e l’inconsistenza del terreno decido di rinunciare e risalgo non senza difficoltà.
Dopo qualche minuto risale da un altro pozzo, gli chiedo se esiste un pozzo più semplice ma la risposta è negativa, allora gli chiedo se possiamo entrare dall’oasi, questo è possibile, però Houssain mi smonta subito, per ispezionare il sottosuolo ci vogliono permessi speciali, specialmente se sei straniero perché se succede qualcosa sono guai seri anche per lui. Ci mettiamo d’accordo per andare domani dalla polizia a chiedere l’autorizzazione.
Rimaniamo d’accordo per vederci domani, oltre all’acquedotto mi ha parlato di scale che scendono verso un lago sotterraneo, sono curioso anche perché di questo non so assolutamente niente .
Proseguiamo in direzione Meurzouga , fermandoci a Rissani per vedere un po’ di fossili di cui sono ricche le montagne scure che ci disegnano l’orizzonte.
La zona è veramente interessante, solo che i berberi con la loro mania di commercio e abilità artigianale taroccano tutto, e quindi diventa difficile capire cosa è vero e cosa è falso: ci sono tantissimi ammoniti, trilobiti, alghe e calamari fossili, ma anche alcune vere e proprie sculture di dimensioni assurde, ma il massimo del tarocco sono i bellissimi scheletri di dinosauro in cemento.
Finalmente arriviamo a Merzouga famosa anche per una delle più spettacolari prove speciali della Parigi Dakar, la pista sabbiosa che porta alle dune invita a “strinà" ma m'aguanto.
Le dune appaiono all’improvviso, alte e imponenti, come un miraggio giallo ocra, è il vero deserto di sabbia l’immagine iconografica del Sahara.
Arriviamo che la luce inizia ad essere proprio quella giusta per bivaccare nel deserto, entrando da qui bisogna appoggiarsi alle guide, mi sento un pò in ostaggio ma la situazione è questa. Pago il cammello e la guida poi, lasciata la base, scendo di sella e inizio a vagare fra le dune sono nel posto giusto al momento giusto, tramonta il sole e la luna grande sale nel cielo, tutto assume tonalità calde e cangianti con le ombre sempre più ampie che disegnano scenari surreali.
Ormai è notte ma ci si vede benissimo, dalla duna più alta si vedono le luci delle postazioni militari marocchine e algerine alla frontiera divise da una zona cuscinetto. La chiusura della frontiera ha costretto le tribù nomadi a cambiare stile di vita. Questa gente viveva spostandosi continuamente con le greggi, fra le zone con un minimo di vegetazione, in maniera da preservare il delicatissimo patrimonio di stentati cespugli che il deserto offre. Ora non potendosi più spostare liberamente si sono dovuti adattare a vivere negli agglomerati urbani , spesso ai margini, accampati nelle tende tradizionali.
Arrivo al campo dopo tre ore scendendo di corsa da una duna alta almeno 150 metri che è notte piena, so così contento che rido da solo e mi metto a giocare a pallone con il ragazzo Berbero mascherato da Tuareg che mi doveva fare da guida e i bimbi che vivono nell’accampamento, una partita di calcio in notturna con l’illuminazione della luna.
L’arrivo di un grande gruppo fa finire la partita. E’ una carovana con 10 cammelli che trasportano tre coreani, due studentesse brasiliane,un olandese, un'americana con una guida personale, e una coppia di ragazzi veneti. Vengono assegnate le tende mentre nel forno a legna stà cuocendo il classico tajine. Si socializza, tutti sono combattuti da cosa vedere nei pochi giorni che rimangono in Marocco. Mi compiaccio in silenzio di non avere scadenze.
Mi fa strano vedere che qui portano le forchette per mangiare il tajine, esasperate dalle continue attenzioni moleste subite a Marrakech le due brasiliane fulminano con uno sguardo assassino il mio amico mascherato che voleva solo porgergli il pane. E’ una notte bellissima, senza vento, con la luna grande e tante stelle, ho voglia di fare un giro, lo propongo agli altri, l’olandese e gli italiani vengono, senza rendermene conto mi ritrovo a fare la guida nel deserto. Dopo un'ora di dune e stelle si torna al campo scendendo dalla grande duna, i berberi hanno acceso il fuoco e suonano piccoli tamburi. Poco alla volta vanno tutti ha letto e mi ritrovo a parlare con Kounta e l’Olandese. Kounta Mobarek è il capo carismatico, comanda tutti con lo sguardo, subito non gradiva tanto il fatto che fossi arrivato al campo da solo, ora però è affabile e ha voglia di parlare. E’ Berbero di Mourzoga ha 30 anni e lavora da 10 con i turisti, prima lavorava alla montagna nera a cercare fossili insieme al su babbo e ai suoi fratelli in origine erano una famiglia di pastori. Questo lavoro gli piace, gli permette di stare nel deserto e si guadagna bene. “E’ un lavoro in crescita” mi dice “vengono sempre più turisti” loro sono 6 guide e lui è quello con più anzianità di servizio, però ci sono anche altri gruppi, i cammelli sono del gestore della pensione da dove siamo partiti e sono un gran capitale – un cammello vale circa 10000 euro – oltre al Berbero e all’ Arabo , parla bene il Francese e l’Inglese ma se la cava anche con lo Spagnolo e l’Italiano. Mi spiega che la frontiera è chiusa da 6 anni e che nel deserto di Erg Chebbi ormai vivono stabilmente solo150 persone, che i bimbi che vivono qui non vanno a scuola perché è troppo lontana. Questa è l’unica famiglia che ha contatto con i turisti, le altre che sono accampate all’interno vivono solo con quello che ricavano dalle bestie. Mi dice che lui dorme fuori vicino al fuoco, con il legno vicino così controlla tutto e se arrivano i nomadi dall’Algeria a rubare i cammelli da l’allarme, ma si capisce bene che non c’è nessun pericolo, gli racconto un pò di me, del viaggio che voglio fare e del lavoro che facevo, gli racconto che anch’io quando facevo i giri isola dormivo sempre fuori, si per controllare tutto, ma in realtà perché è più pratico, la mattina basta alzarsi e sei già pronto, ma soprattutto è più bello, è un peccato essere in posti belli sotto le stelle e poi nascondersi dentro una tenda. I turisti in realtà sono quelli che ci permettono di vivere questi privilegi portando anche dei soldi alla famiglia, si dice condividendo il concetto, grazie ai turisti possiamo vedere le stelle come i nostri antenati. Lascio Kounta al suo giaciglio accanto alla brace e me ne torno verso la grande duna . Mi sdraio, il deserto è un mare che ti ci puoi sdraiare, è un posto perfetto per pensare specialmente di notte: mi ritornano in mente i racconti dei vecchi pescatori Ponzesi che per raggiungere la Sardegna dall’Isola natia con le loro barche a remi, aspettavano la notte per ricevere la rotta dalle stelle. Penso a quante volte mi sono addormentato guardando il cielo, e alle grandi religioni che probabilmente sono nate nel deserto in nottate come questa. |
© 2024 Elba e Umberto
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