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Deve ancora albeggiare quando viene data le sveglia. Vengono caricati i bagagli sui dromedari e uno alla volta con il proprio ospite, gli animali si mettono in piedi e poi, in fila indiana, iniziano il percorso di ritorno. Le luci dell’alba sono ancora più belle di quelle del tramonto, seguo la carovana da lontano cercando inquadrature suggestive. Il sole sale velocemente così come la temperatura, sono stato solo una quindicina di ore nel deserto ma è stato ricco di emozione e suggestione. Ritrovo Houssain, saluto il gruppo del deserto e mi scambio gli indirizzi con Kounta che mi raccomanda di stare all’occhio quando sarò in Algeria.
Voglio andare a vedere gli acquedotti abbandonati dell’Oasi di Erfoud. Arrivati alla caserma, dopo un pò di anticamera ci danno appuntamento al bar principale del paese. Arrivano il capo e il vice che sembra tutto il mitico maresciallo “paletta”, ci saranno quaranta gradi ma il capo è tutto abbottonato dentro un pesante cappotto color cammello, porta un paio di baffoni alla "quando eravamo comunisti", calzettoni a quadri e ciabatte alla Ciaccionazzo. Mi fa un terzo grado dallo scontato finale: nel sottosuolo ci sono le ricchezze della patria ed è meglio tenerle lontane dagli sguardi degli infedeli , specialmente se un pagano dazio. Prendo atto e ringrazio pensando di ritornacci più alla zitta.
 Partiamo alla volta di Zagora si attraversa un deserto di pietra scuro circondato da severe montagne nere, il panorama e scarnamente adornato da rade acacie che sembrano uscire dalla roccia compatta, la strada è un rettilineo infinito affiancato da una linea elettrica . Ogni tanto si incontrano uomini vestiti pesantemente su biciclette che sembrano andare verso il nulla, anche le tende dei nomadi appaiono e scompaiono come miraggi. Avvicinandosi alla Valle del Draa iniziano costruzioni di pisè, in questa gola inizia la la più grande palmera del Marocco che poi continua ancora più estesa in Algeria. La strada e costellata da venditori di datteri, in pratica l’unica prodotto della zona, qui si ha ben presente il concetto di desertificazione e cosa può essere la guerra per l’acqua.
Arriviamo a Zagora, la porta del Sahara, da dove, quando le frontiere erano aperte in 52 ore di cammello si raggiungeva la mitica Timbuctu, per un altra notte nel deserto. Stessa situazione del giorno prima, nel deserto da solo non si può è pericoloso: guida cammello e si parte. Il paesaggio è molto meno eccitante rispetto al Erg Chebbi , il deserto non si vede, solo una strada polverosa in mezzo ai campi , potrebbe esse un viottolo dalla Galea alle Paglicce quando è tanto che un piove.
Cammino chiacchierando con la guida che si chiama Haissa, a 28 anni, è un ragazzo simpatico e onesto, mi spiega che a Zagora sono tutti contenti che l’Algeria abbia la frontiera chiusa sennò i turisti andrebbero tutti li dove c’è il Grande Erg il vero deserto di sabbia.
Si vestono da Tuareg perché ai turisti piace così ma qui sono tutti berberi e lui come tutti prima di fare la guida lavorava nella coltivazione dei datteri, “ i Tuareg “ dice “sono neri , non amano lavorare nelle oasi ne tantomeno con i turisti, e poi in Marocco non ci sono, vivono in Mauritania e in Mali ma io” prosegue “ non li ho mai visti”.
Dopo un oretta di cammino arriviamo al campo dove ci sono delle piccole dune, la luna piena rende tutto molto suggestivo, con i disegni geometrici che le luci e le ombre disegnano fra le pieghe sabbiose delle dune ma è un ”Truman Show”, si vedono vicine le luci del paese e di fianco al campo passa una strada. Haissa e i suoi colleghi fanno un pietoso spettacolo di musica berbera per due Estoni slavate e un Brasiliano, io me sto fra le piccole dune a pensare ai danni che fa il turismo poi, quando si fa silenzio mi metto a dormire.