Peggio del Bergamasco Un giro per librerie alla vana ricerca di un vocabolario italo arabo per italiani, come in tutto il nord Africa la maggior parte sono fornite solo di libri religiosi e di contabilità, ma qui al Cairo ce ne sono alcune ricche di tanti libri di vario genere. Ce n’è una strapiena di libri vecchi e polverosi, fra i tanti uno scaffale di libri in italiano che parlano di geologia e di egittologia, cerco di immaginare come sono arrivati qui, ne sfoglio qualcuno hanno le pagine ingiallite e crostose e sanno di muffa e di polvere chissà se qualcuno mai li libererà da questa stiva. A poche decine di metri un’altra libreria interessante, totalmente diversa ampia, spaziosa e asettica con i libri disposti in grigie mensole metalliche, sono quasi tutti libri di medicina rigorosamente divisi in maniera anatomica, ogni settore è un pezzo, la testa, il cuore… ci lavorano due persone, il primo che sta alla cassa è un tipico pallido nevrotico occidentale che parla un inglese “cingommoso” e mentre telefona e legge mi scrive su un foglietto l’indirizzo di un paio di altre librerie, l’altro è un ragazzone, tonacone e barbetta da Haj, seduto davanti al banco di lettura recita preghiere sottovoce .con i palmi delle mani rivolti al cielo e lo sguardo abulico e sognante fisso nel boh. Il fascino del Cairo è nei contrasti che ci trovi, se guardi dentro questo groviglio infernale, in questa innaturale gabbia di rumore ci trovi tutto e il contrario di tutto. Arriva sera, si va al teatro per parlare dell’idea di “Base Elba” e poi si gurada lo spettacolo allestito dai giovani artisti di cui apprezzo la mimica e l’entusiasmo, intuisco qualcosa ma non capisco niente, del resto l’arabo è quasi più incomprensibile del bergamasco. |
|
AuthorUmberto
|
Sotto lo sguardo della Balilla Pioviscola e fa freddo oggi al Cairo, osservando l’acqua nera e unta che scende dalle grondaie ci si rende ancora più conto della merda che si respira vivendo qui, l’asfalto delle strade è viscido e schiuma veleno e le pozzanghere sono unte di petrolio. Seguendo le indicazioni della mappa che Hammed ci ha disegnato nel quaderno, ci ritroviamo in un vicolo di botteghe e officine e poi troviamo il teatro che si stava cercando dove ci hanno invitato per parlare del “progetto” prima dello spettacolo che ci sarà domani. E’ un piccolo quartierino dell’arte, con una galleria, un teatro e una scuola dove gli studenti dipingono, recitano e fanno musica, è un mondo di colore e fantasia che si sviluppa dentro gli stanzoni di un paio di capannoni abbandonati in questa via di macellerie e officine meccaniche. Il quartire è dominato da un misterioso grande palazzo abbandonato, ricco di ornamenti imponenti che raccontano di un passato sicuramente importante, ma a quanto pare sconosciuto a tutti. C’è un cancello che si apre su un grande giardino abbandonato che è invaso dalla vegetazione, da dove si vedono le architetture imponenti e severe di questo edificio che la giornata plumbea rende ancora più tetro, sembra deserto ma poi sbuca un guardiano che vive all’interno del giardino in una baracca di legno, prima mi dice che è interdetto e poi come sempre aggiunge che se pago posso entrare. Poco più avanti mi imbatto in una via di meccanici di strada le cui officine si sviluppano sui marciapiedi davanti ai minuscoli sgabuzzini dove conservano ricambi stagionati per rimettere in marcia il vetusto parco macchine che è formato principalmente da fiat. Fino a qualche anno fa la fabbrica torinese aveva praticamente il monopolio del mercato automobilistico egiziano, ma oggi le cose sono cambiate perché i modelli più recenti delle case automobilistiche giapponesi e coreane hanno soppiantato le macchine italiane. Comunque sono ancora migliaia le fiat che circolano, le 127 e i 128 considerate auto sportive, sono i modelli più ambiti insieme alle ritmo ed alla 131 che hanno fama di macchine di livello superiore e poi ci sono ancora tante 124 e 1100 ancora circolanti. Su questi marciapiedi-officina dove la shisha non manca mai e l’unico crik viene usato da venti attività, i meccanici si producono in virtuosismi nell’ “arrabattare” riparazioni, sono dei maestri nell’arte di arrangiarsi, qui i ricambi sono tutti tarocchi, spesso riciclati, anche l’adesivo dei ricambi originali fiat è palesemente falso. È uscito il sole e tutto diventa più vitale, illuminato dalla luce tagliente del tardo pomeriggio spicca un 128 rosso corsa dalle cromature lucenti che regala il suo rombo ai passanti. Aleggia un vento leggero di poesia in questo vicolo officina che è un po souk e un po’ circo, dove fra alchimie, ricicli e tarocchi la vita delle macchine si rigenera per decenni. Mi perplimo a pensare che tutto il mondo “occidentale” in crisi di consumo si sta dando da fare con incentivi e sovvenzioni all’industria automobilistica, per costruire e vendere ancora più macchine, vorrei sapere dove finiranno le migliaia di macchine invendute ed usate e capire bene i meccanismi della rottamazione. Mentre mi aggroviglio il cervello pensando alla spirale vorticosa e suicida del sistema capitalistico, una vecchia fiat balilla, elegante, ben conservata e perfettamente marciante, mi osserva con aristocratico distacco dall’altro lato della via. |
Elbocentrico e tifoso Dal kunst cafè, che è diventata le nostra base, spedisco alcuni servizi in Italia che parlano del Marocco. Abbas si è entusiasmato per il viaggio e per “Base Elba” e ne parla con tutti, veniamo continuamente incipriati di complimenti. Ancora interviste e appuntamenti per parlare del progetto, tutti mi parlano di grandi idee da estendere in Egitto e tutto il medio oriente. Sono contento di tutto questo interesse, ma questa glorificazione mi mette a disagio e poi forse io ho una visione “Elbocentrica” del mondo e questo progetto è imperniato sull’Elba. “fantastic” “super” “excellent” “perfect” troppo entusiasmo, quando è così la cosa rimane su un piano ideale, effimero, per me l’idea va trasformata in fatto concreto per essere vera, sono troppo contadino per entusiasmarmi e accontentarmi del vapore di un’idea. Vorrei dire un milione di cose ma mi mancano gli strumenti e ripenso all’Atlas dove avevo le netta percezione che i nomadi Amazigh capivano tutto quello che volevo dire senza il bisogno delle parole e poi non mi piace questo ruolo di mistico che mi sento cucire addosso. Io ora vorrei sape’ che fa la Fiore che gioca con l’Aiax ad Amsterdam. |
|
|
Il diabolico organismo Dopo una giornata passata a scrivere andiamo a prendere un the in un “ahwa” dove ci hanno detto che ci sono degli “osservatori” che cercano le comparse per le telenovele egiziane. È un posto buffo con le pareti ricche di pitture che sembrano fondi per gli spettacoli delle marionette, per il momento fare comparsate non mi interessa, ma in caso di necessità potrebbe essere un sistema per rimediare qualche soldo e farsi un po’ di risate. gli ahwa, i cafè popolari del Cairo, sono sempre pieni a tutte le ore del giorno, naturalmente sono frequentati solo da uomini che passano le giornate a fumare la shisha, bere the e giocare a domino. L’unto e lo sporco non mancano mai, così come la segatura sul pavimento e i gatti che sgusciano da tutte le parti, sono posti dove è divertente osservare le persone, fanno il the buono e sono molto economici e per quanto confusionari in questa città sono isole di quiete. Il Cairo credo sia uno dei peggiori posti del mondo per vivere, il rumore del traffico ti spacca il cervello, tutto è scuro e unto di smog, anche le persone sembrano coperte da una patina oleosa e noi con loro, le vie sono dei fiumi di lamiere dai clacson urlanti e gli uomini dentro, degli automi inespressivi trasportati dalla corrente. È come un gigantesco e diabolico organismo senza cervello che trita tutto e tutti. |
|
L’intervista Abbas si è incuriosito al viaggio e soprattutto al progetto di “Base Elba” e stamani ha fissato un intervista per un giornale egiziano. La giornalista si chiama Haether è una ragazza “aristofrick” fresca di università, anche lei è interessata soprattutto a “Base Elba”, purtroppo quando voglio approfondire le cose viene fuori il grande limite di non sapere le lingue, cercare di spiegare idee e progetti è difficile, anche perché questo è un mondo con una velocità europea di comunicazione che è fatta di parole e scritture; gli sguardi, il gesticolare, i disegni, i suoni onomatopeici, perdono di importanza e di efficacia. Siamo tornati nel sistema dove tutti hanno la cosiddetta agenda e ogni situazione si sviluppa in un tempo prefissato perché gli impegni sono tanti e poi tutti parlano inglese. Per fortuna le traduzioni di alcune parti del sito di elbaeumberto in arabo mi sono di grande aiuto, comunque qualcosa viene fuori e all’improviso tutti vogliono parlare con noi incuriositi dal viaggio e dal progetto per unire i bimbi del mondo. Questo è un altro Egitto rispetto a quello conosciuto finora, entusiasta e propositivo, è un’élite culturale che ti cattura con il fascino della libertà e la propensione alla curiosità e alla contaminazione culturale, sono contento e anche un po’ frastornato di tutto questo interesse, ma ho anche l’impressione che questo sia un mondo che si autoalimenta specchiandosi su se stesso, dimendicandosi di quello che c’è intorno. È comunque un ambiente molto stimolante e tendenzialmente ateo, che cerca di darsi da fare portando avanti progetti legati all’arte, all’istruzione e alla libertà di informazione, sempre però senza turbare troppo il potere. Di sicuro c’è che l’apertura mentale è di solito proporzionata alla distanza dalla religione. |
|
Da Babilonia a Vergaio Per provare a far aggiustare la macchina fotografica l’unica cosa da fare è ritornare a Heliopolis al centro canon. Con il tram si scende a Midan Roxy e poi si va alla palazzina delle apparecchiature fotografiche, sembra che la macchina si possa riparare ma per avere la risposta bisogna aspettare una settimana, non c’è alternativa. Si ritorna alla fermata per attendere il tramvai in compagnia di tante studentesse dai veli sventolanti. Il tram è strapieno, anche qui, come sulla metro, ci sono i vagoni per sole donne e il bigliettaio e la solita ciofeca nera mi spediscono nel vagone misto. Arriviamo a Ramses Station quando i muezzin chiamano la preghiera, sui marciapiedi si stendono stuoie e cartoni e la gente tutta in fila comincia a pregare. Non riesco a trovarci niente di mistico ne di religioso in questo allineato ed alienato prostrarsi verso un muro immersi nella cappa di smog e nel rumore. In serata facciamo amicizia con Abbas un ragazzo che lavora al Kunst cafè, il posto con la wi-fi gratuita che è diventato la base operativa di elbaeumberto. Abbas è un attore iraqeno di Bagdad, che si è trasferito al Cairo per crescere nella sua professione, ha una grande ammirazione per Roberto Benigni e il suo film preferito è la Tigre e la Neve, il suo sogno fare un film con il geniale comico di Vergaio. |
Attentato in Egitto Giornata insulsa con il sottofondo assordante del traffico del Cairo. In serata dai siti italiani scopro che a pochi isolati dalla nostra sistemazione c’è stato un attentato, il fatto è avvenuto nella zona di Kan al-Khalili a piazza Midan Hussein nel cuore islamico del Cairo dove ci sono le due moschee più importanti per i fedeli cairoti, quella di Al Hussein dove si dice sia custodita la testa di Al Hussein il nipote di Maometto e la famosa Madrassa Al-Azhar la scuola islamica per eccellenza che contende alla Madrassa Kairaouine di Fes il titolo di più antica università del mondo e dove risiede la massima autorità islamica dell’Egitto. Nessun media egiziano ne da notizia mentre scorrendo le agenzie internazionali è la notizia a cui viene dato più risalto. È “strana” l’informazione, siamo a pochi passi dal luogo dell’attentato e qui tutto e tutti ignorano il fatto, mentre in Italia questo è il problema principale, è “strano” che si voglia far preoccupare gli italiani per una bomba in una piazza del Cairo e qui dove è avvenuto il fatto l’informazione locale ignori completamente l’evento. |
|
|
La Principessina scalza, il grande Faraone e il geniale Architetto Si scende al bivio per le piramidi “Ahramat” di Saqqara parola sempre accompagnata dal triangolo disegnato giungendo le mani, un lungo vialone attraversa il grande palmeto, orti, capanne e campi verdi irrigati da una fitta rete di canali e canalini regimati da chiuse. Passano continuamente carretti e ciuchini guidati da bimbi e bimbe, ne passa una bellissima con gli occhi grandi grandi e curiosi è fasciata da una serie di veli svolazzanti e siede in alto su una grande catasta di erba medica che avvolge e nasconde quasi tutto l’asino, è scalza e vestita di cenci ma è avvolta da un alone di grazia e magia, quella innata delle principesse che non si eredita e tantomeno si compra. Nei campi ci sono tanti bufali enormi e sgraziati, abulici e insulsi nel loro sguardo triste da eterni perdenti, i contadini nei campi zappano con movenze ampie e vigorose la terra morbida e scura, ogni tanto si fermano a bere il the all’ombra di capanne fatte di legno e fronde di palma, con gli asini e le mucche a contorno che fanno tanto presepe. Ci sono tanti piccoli focolari che punteggiano il palmeto qui la gente vive in case che in realtà sono capanne o al massimo baracche, il tempo sembra essere fermo da millenni e i pullman e i fuoristrada che sfilano veloci sul vialone diretti al sito archeologico appartengono a una realtà parallela distante e aliena. Ci sono tante palme grandi e rigogliose che disegnano nei campi lunghe ombre allineate e geometriche, geograficamente e storicamente questo è un punto importante, qui il largo imbuto verde del Delta si chiude nel corso del Nilo, un tempo questo era il confine fra l’Alto e il Basso Regno e qui sorgeva Menfi l’antica capitale del regno dei Faraoni. Si arriva all’ingresso del sito, un poliziotto ciccione che sembra un incrocio fra il sergente Garcia e Claudione di Lacona, ci squadra e ci controlla i documenti insospettito dal nostro arrivare a piedi e poi ci indirizza verso la biglietteria. È un centro moderno voluto e dedicato a Jean-Philippe Lauer un archeologo francese arrivato qui nel 1926 e al geniale architetto Imhotep che quarantasette secoli fa ideò e fece costruire la prima piramide della storia dell’umanità. Laurer rimase incantato dal sito di Saqqara tanto da rimanerci per settantacinque anni, fino alla sua morte avvenuta qui nel 2001. Il museo è piccolo ma bello, moderno e razionale si visita bene non è un accumulo di repertri come il museo del Cairo (penso anche che per esporre bene il materiale contenuto nel museo della capitale sarebbe necessario uno spazio enorme) è incentrato prevalentemente sulla figura del faraone Zoser primo sovrano della terza dinastia che regnò dal 2667 al 2648 avanti cristo e al suo geniale architetto Imhotep che per suo conto fece innalzare la magnifica e mastodontica piramide a gradoni. Gli agenti della polizia turistica si sono imboscati all’ombra, ne approfittiamo per entrare nel sito dal deserto lasciando il percorso prestabilito, il deserto è un impressionante accumulo di cocci, molti dei quali dipinti e a volte ricchi di pregevoli fregi policromi, ovunque ci sono tracce di sepolture e numerosi teschi e altre ossa umane spuntano dalla sabbia, del resto siamo nel cuore dell’antica città dei morti, questa è la necropoli di Menfi che è stata ininterrotto luogo sepoltura per 3500 anni. Salendo sui cumuli più elevati dei detriti di scavo, il panorama del deserto ad ovest del Nilo è emozionante con decine di piramidi che, più o meno integre, si elevano dalle sabbie, misteriose memorie di un passato così alieno al presente da sembrare futuro. L’orizzonte spazia dalle grandi Piramidi di Giza a nord a quelle di Dahshur a meridione, ma è dominato dalla grande piramide a gradoni di Zoser che magnifica e unica si erge davanti a noi, è la prima, la mamma di tutte le piramidi. I sei gradoni salgono fino ad un altezza di sessanta metri mentre la tomba si trova nel sottosuolo a ventotto metri di profondità in un caveau costruito con enormi blocchi di granito. Vicino alla possente struttura a poche centinaia di metri, si trova il grande parcheggio dei bus turistici, ce ne sono diversi ma l’area è talmente grande che si disperdono. Vista da sotto la piramide è maestosa, quelle che sembravano piccole pietre si rivelano enormi blocchi e i sei gradoni salgono armonici, lo spazio fra i piani è colmo di detridi e la base è ancora in gran parte ricoperta dalla sabbia, mi viene da pensare ai pionieri dall’egittologia come Auguste Mariette che intorno alla metà del milleottocento iniziò a scavare a Saqqara, quando dalle sabbie si ergeva solo la grande piramide di Zoser, il francese salì alla ribalta nel 1851 quando scoprì il Serapeo grazie alle dettagliate coordinate lasciate da Strabone il grande viaggiatore e geografo greco che visitò questa zona nel 24 avanti cristo. Mi trovo nel grande cortile sud, proprio ai piedi della colossale opera di Imhotep e sono sorpreso del fatto che non ci sia praticamente nessuno, questa era la grande area sacra dove ogni trent’anni si svolgeva “Heb- Sed” la cerimonia di ringiovanimento del faraone che consisteva in un percorso rituale che il faraone doveva coprire di corsa al cospetto dei suoi funzionari, per dimostrare di possedere il vigore necessario per governare la terra d’Egitto, finita la cerimonia podistica e recitate le formule magiche il faraone nuovamente giovane e vigoroso era pronto per continuare a comandare il suo regno. Così dicono i testi antichi, in realtà facendo du conti, se le date del libro che mi porto dietro sono giuste, ‘sta festa l’hanno fatta poche volte e Zoser alla corsa ringiovanente non c’è mai arrivato, infatti ha regnato per diciotto anni, forse il primo faraone che ha fatto la corsa è stato Unas circa trecentoventi anni dopo la morte di Zoser, che c’è arrivato buco buco, ma se è così non deve ave’ funzionato perché ha regnato preciso trentenni. Pochi altri faraoni hanno durato abbastanza da fare la corsa e solo Ramsete II è riuscito a farme due, mentre Pepi II ne dovrebbe aver fatte addirittura tre, l’ultima intorno ai cent’anni di età. Chissà perché ma mi viene in mente berlusconi con corona da faraone e maglietta del milan tutto impegnato nella corsa sacra in un tripudio di vallette e sotto lo sguardo serio e preoccupato e ammirato di scriba a forma di bondi e capezzone. Appena alle spalle della zona in cui si concentrano le visite lo scavo sembra abbandonato, ci sono parcheggiati gli asini della gente che prova a vendere merci ai turisti e c’è soprattutto tanta sporcizia, fa rabbia vedere tanto degrado, a nessuno sembra interessare dei tanti reperti e i monumenti sono sfruttati come merci da vendere senza il minimo interesse per quello che rappresentano, anche in questo eccelgono le guardie della polizia turistica che usano le tombe chiuse come cessi, è tutto ad uso e consumo dell’industria del turismo organizzato, osservare questo flusso che per certi versi ricorda una cerimonia ripetitiva è inquietante, sembra una catena di montaggio, i turisti entrano dalla sala ipostila, guardano la piramide da lontano, quindi visitano le due tombe aperte e via di nuovo al parcheggio. Appena dietro la postazione dei militari c’è la piramide di Unas che è ridotta piuttosto male, quando era integra raggiungeva i 43 metri di altezza, fu costruita trecento anni dopo la piramide di Zoser ed è famosa perché nel suo ricco interno sono stati trovati i famosi Testi delle Piramidi le formule magiche per rinascere nell’aldilà, poco più a sud c’è poi una grande e profonda voragine dove si trovano le “tombe dei persiani” risalenti al quinto-sesto secolo avanti cristo, l’ultimo periodo dell’Egitto dei faraoni prima della conquista da parte di Alessandro Magno. Cerco un varco ma le guardie ci richiamano, la zona è chiusa alle visite, questa parte dello scavo sembra proprio abbandonata e destinata solo alla sabbia e a grandi cumuli di spazzatura. Il posto più frequentato del sito è il cesso, dove i poliziotti e la gente che arrabatta intorno allo scavo si ripara all’ombra del container adibito a latrina per villeggianti. Girando intorno alla piramide è tutto più tranquillo e tutto riacquista una dimensione di magia, si respira l’eccezionalità di questo luogo che emana potente il fascino della storia. Il turismo archeologico da queste parti è millenario, gli scritti del passato ci parlano di viaggiatori del tempo di Ramsete II che venivano qui da tutto l’Egitto per ammirare i grandi monumenti dei loro antenati, erano già trascorsi mille e cinquecento anni dalla costruzione della grande piramide a gradoni e la gente veniva a rendere omaggio alla Piramide di Zoser e al suo costruttore Imhotep che nel frattempo era stato divinizzato e veniva adorato come Dio degli Architetti. Ci sono delle impalcature di legno ai piedi della parete ovest per effettuare dei lavori di restauro, è alta una ventina di metri ma è niente al cospetto di tanta grandezza e mi immagino che i restauratori siano pervasi da un grande senso di impotenza. Il lato settentrionale della piramide è quello della discenderia che porta alla camera sepolcrale, la tomba reale che si trova nel sottosuolo a ventotto metri di profondità, l’accesso è interdetto ma le guardie sono lontane e non vedono perché è molto basso, la ripida discenderia è troppo invitante per non affacciarsi, ma dopo pochi metri risulta impraticabile perché piena di spazzatura, poco più avanti in superficie c’è il Serbab con la copia della statua di Zoser che abbiamo visto al museo Egizio e qui le guardie mi vedono e si avvicinano, attendevano al varco, “closed no possibol” e poi la solita recita per comprare il silenzio sotto la minaccia di chissà quale multa, “foto secret” indicando la statua e poi silenzio mimando la chiusura ermetica della bocca unendo pollice e medio a mimare una cerniera, sposta le dita sì giunte da sinistra verso destra. Dai cumuli di scavo del lato nord si ammira un grande panorama sulle piramidi di Abu Sir e più in lontananza su quelle giganti e appuntite di Giza, il punto più interessante per osservarle è la piramide di Userkaf, ma a causa della mia poca propenzione al baschish è “NO !”. La maggior parte delle sepolture del sito sono chiuse compreso il Serapeo, spostandosi verso ovest camminando fra cocci e scheletri si raggiunge una delle Mastaba più famose, quella di Akhethotep e Ptahhotep due importanti funzionari dei faraoni della quinta dinastia, i disegni a rilievo che ricoprono le pareti sono molto belli e hanno colori realistici e freschi, riproducono svariati animali e tante scene di vita quotidiana, questi personaggi dovevano essere molto importanti e ricchi e Ptahhotep rappresentato vestito con una pelle di leopardo ha l’autorità di un Faraone. Si ritorna verso sud, il tempo come sempre vola il sole è ancora alto e fa caldo ma anche qui alle quattro chiude tutto, prima di essere sbattuti fuori diamo un’occhiata alla sala Ipostila e alle sedi delle due grandi navi di Unas. Ormai il sito è chiuso e il grande parcheggio è ora deserto, i ciuchini sono tutti lungo la via di casa e anche le guardie a dromedario stanno rientrando. Camminando fra le tombe a sud dello scavo siamo riusciti a rimanere dentro, ci sono diverse tombe restaurate ma sono chiuse e i resti quasi indecifrabili del monastero Copto di San Geremia, un edifico del quinto secolo costruito in mattoni crudi che fu distrutto dagli arabi intorno al novecentocinquanta. Lo scavo è un enorme cantiere, in un deposito all’esterno di una grande tomba ci sono dei grandi sarcofaghi di granito con alle spalle un grosso verricello arrugginito che fa tanto archeologia pionieristica. Da lontano una guardia mi vede quindi prendiamo la via del ritorno, facciamo un tratto insieme a tre bimbi che si sganasciano dalle risate guardando le foto che gli ho fatto, la strada che era interdetta all’andata, è accessibile al ritorno: è la via che percorre la gente che lavora intorno alla zona turistica, che finita la giornata è tornata verso le abitazioni sparpagliate all’interno del grande palmeto. Ormai nella campagna sta calando la sera, gli uomini continuano a lavorare alcuni zappano e altri deviano il corso dei canali per l’irrigazione, ci sono tanti ibis che si appollaiano sulle sponde dei fossi, il silenzio è interrotto solo da un gruppo di ragazzi che gioca a pallone fra le palme. Man mano che scende la sera aumenta il traffico, sulla strada sono soprattutto carretti di erba medica trainati dai ciuchi e bufali che vengono riportati nelle stalle, l’attenzione va su una carovana di cammelli che sta portando fronde di palma, è un’immagine buffa sembrano dei dinosauri corrazzati e anche delle gigantesche ananas con le zampe, verrebbe una foto divertente ma nel momento migliore la macchina fotografica muore. Questa non ci voleva, si cammina controcorrente al flusso di asini e bufali e strada facendo tiro anche du’ calci al pallone che come sempre si rivela un eccezionale sistema per stabilire un contatto, e poi qui si gioca sempre col pallone sgonfio che mi da anche l’illusione di essere capace a palleggiare. Raggiunta la strada ci prende un minibus e ci si rituffa nel traffico che come al solito diventa delirante a Giza, dove si riprende la metro, la solita calca e solita incomprensibile battaglia per la conquista della porta scorrevole della metro. Ora la priorità è sistemare la macchina fotografica. |
|
L’involuzione Solito avvicinamento a Dahshur in un avanti e indietro di pulmini, poi entriamo nel sito. Dopo il primo richiamo di un poliziotto che ci riporta sulla strada principale riusciamo a entrare nel deserto passando da uno scavo in corso effettuato da un’equipe tedesca. Andiamo verso la Piramide Nera che rispetto alle imponenti sgome geometriche delle due piramidi fatte costuire da Sefru sembra poco più di un cumulo di terra. La piramide è molto vicina al villaggio che si sviluppa a margine del grande palmeto che fiancheggia il corso del Nilo, da vicino finalmente si capisce bene che è opera dell’uomo e anche che è in uno stato di degrado avanzato dovuto all’incuria. Veniamo circondati da un gruppo di ragazzini che usano il monumento come un parco giochi, salendo su ci si rende conto dell’imponenza e allo stesso tempo della precarietà di questo originale monumento fatto costruire dal Faraone Amenemhat III nel IX secolo a.c. durante il periodo denominato medio regno. Si intuisce la forma unica di questa piramide che si sviluppa con una torre nella parte più alta costruita interamente in mattoncini di pisé (paglia e fango) è un monumento gigantesco anche se non ha l’imponenza e la perfezione delle due grandi piramidi di Snefru costruite in pietra ben ottocento anni prima. Durante questo viaggio ogni volta che visitiamo un sito archeologico si ha l’impressione che la civiltà nel corso dei secoli si sia involuta e questa sensazione è forte più che mai qui in Egitto, dove i monumenti più spettacolari sono sicuramente quelli più antichi. Il panorama da questa altura artificiale è magnifico, si apre a ovest verso il deserto dove catalizzano l’attenzione le grandi piramidi di Snefru per poi perdersi nell’aridità del deserto occidentale, mentre ad est si estende la larga e rigogliosa striscia verde che fiancheggia il corso del Nilo oltre la quale si vedono centinaia di ciminiere di fornaci il cui fumo, oggi acciaccato dal vento, fa sembrare ancora più infernali. Il luogo è magnifico ma la compagnia sempre più numerosa, in un delirio di esibizionismo, sta degenerando in atteggiamenti distruttivi nei confronti del monumento e della pazienza. Quindi a malincuore decidiamo di riprendere il cammino nella sabbia alla volta della grande Piramide Romboidale, che vista da vicino, dopo una mezz’ora di cammino, si rivela più enorme e imponente che mai nella sua poderosa forma originale causata da un cambiamento di progetto in corso d’opera, quanto i suoi realizzatori si resero conto che la costruzione non era in grado di sostenere l’inclinazione di cinquantaquattro gradi delle pareti e per evitare un collasso strutturale addolcirono l’angolo portandolo a quarantatre gradi, riuscendo a chiudere la gigantesca opera a centocinque metri di altezza. Di tutte le Piramidi questa, pur essendo la più antica, è quella esteriormente meglio conservata e mantiene gran parte delle grandi lastre di rivestimento. Teoricamente la zona dovrebbe essere interdetta alle visite perché dentro il territorio di una base militare ma per fortuna non è così, dopo poco arriva anche un pulmino di turisti per una breve visita. Il tempo scorre veloce e l’orario di chiusura si avvicina, attraversando una distesa di sabbia e cocci arredata di templi e vie lastricate che si intuiscono fra le piccole dune, arriviamo alla meravigliosa Piramide Rossa, il punto di arrivo dei superbi architetti di Snefru. La perfezione esterna si amplifica discendendo all’interno del colosso di pietra, ancora più spettacolare e perfetta di quella del figlio Cheope, si scende per diverse decine di metri attraverso una ripida discenderia che porta alle stanze funerarie sotterranee al centro della piramide. Le enormi lastre di granito salgono dalle pareti fino a chiudersi in una stretta volta triangolare, si ha effettivamente la sensazione di essere all’interno di un’opera sovrannaturale eppure queste enormi lastre di una perfezione geometrica assoluta sostengono un peso di milioni di tonnellate da più di 46 secoli. Visitiamo le tre camere nel cuore della piramide e poi ritorniamo in superficie risalendo la faticosa rampa, il custode ci sta chiamando ormai non c’è più nessuno e l’orario di chiusura è già scaduto. Anche stavolta facciamo rientro con il camion dei militari che ci riconoscono e ci riaccompagnano fino al paese da dove con il solito scambio di pulmini rientriamo fino a Giza e da lì con la metro al centro del Cairo. |
|
Fra stranguglioni e lamette Nottata di stranguglioni schianta budelle, che insieme alla tempesta di sabbia che si è scatenata sul Cairo consiglia una pausa per riprendesi senza allontanarsi troppo dal cesso. Nel pomeriggio tutto si quieta. Dopo due mesi mi faccio barba e capelli, ma a mezza via finisco le lamette, il risultato è un cadaverico effetto tigna a mezza via fra la mummia di Ramsete e Gollom il mostriciattolo del Signore degli Anelli. |
© 2024 Elba e Umberto