Movimento rotatorio occidentale Il computer mi fa bestemmiare, si inceppa di continuo e non riesco a scrivere niente, ho un sacco di cose da inviare e il sito da aggiornare, il trekking costiero mi sa che toccherà abortirlo, vorrei essere più inschallah ma invece mi girano i coglioni. |
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AuthorUmberto
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Walid, google analytic, il ranking, i soldi, la libertà, la religione e il senso della vita Partenza di buon’ora per Tunisi per cercare una soluzione per gli obbiettivi e la macchina fotografica. Il centro è grande e attrezzato, il più fornito di Tunisi, pero’ ha una sola reflex che costa molto più che in Italia. Ci si capisce bene perché qui lavora un ragazzo che parla benissimo italiano, ha vissuto a Termoli un paio d’anni e mi dice anche di andare assolutamente in Senegal perché secondo lui è il posto più bello del mondo. Alla fine dopo varie prove la macchina sembra funzionare, mentre il grandangolo è morto, compriamo un nuovo obbiettivo e una digitale piccola. Il bancomat mi mangia la carta di credito e devo improvvisare una sceneggiata araba per riaverla perché me la vogliono spedire in Italia, alla fine dello show di un paio d’ore riesco a recuperare la carta e a prendere i soldi per pagare. Faccio un po’ di foto di prova a un traghetto che è entrato nel lago di Bizerte e poi ancora internet per avere notizie dalla Libia. Faccio amicizia con Walid il ragazzo dell’internet point con cui da un paio di giorni facciamo mattina nel diabolico spippolatoio telematico, si è incuriosito della strana coppia italiana che passa le nottate a inserire foto e spedire testi. Walid è un appassionato di internet, lui le notti le passa a studiare sistemi per aumentare la visibiltà al suo sito commerciale, mi fa i complimenti per elbaeumberto e per il viaggio e mi sorprende perché ha letto un sacco di cose. E’ rimasto colpito da questa scelta di viaggio senza percorso fisso e tempi prestabiliti che considera folle e fuori dal sistema del mondo che corre sempre più veloce. Mi dice “I racconti e le foto dell’Atlas sono incredibili, quello è un mondo che ormai non esiste più, nelle città ormai non esiste più niente, sul tuo sito siamo stati tutto il pomeriggio con i miei amici a vedere le foto” Gli mostro con orgoglio le statistiche con i tanti visitatori del sito, rimane sorpreso per lui sono pochi ,” io” mi spiega “sul mio sito commerciale senza contenuti ho più visite di te, perché questo di inernet è un mondo di trucchi e io li conosco” Gli spiego che a me tutti questi visitatori mi sembrano tanti e il fatto che gente da tutti i continenti passa decine di minuti ogni giorno su elbaeumberto mi emoziona. Con occhio esperto spippola dentro google analytics e mi dice “è un sito speciale perché la gente sta tanti minuti dentro”. Poi i discorsi si fanno più interessanti, “mi piace quando parli della tua Isola e dici che le Isole sono posti speciali, anch’io penso quello, la mia famiglia è originaria di Jerba, ci dovete andare perché li’ c’è gente speciale come cerchi te, basta che esci dalla zona turistica e vedrai che li troverai” e ci mettiamo a parlare dei Mediterranei, la razza bastarda che si affacciata sul Mare Nostrum di cui noi Isolani siamo la sintesi storica e genetica. Walid è lanciato nel mondo del lavoro che lo sta gratificando pero’ soffre il sentirsi dentro l’ingranaggio “ormai non posso più tornare indietro, il negozio, i siti e tanti progetti. Ho scelto la vita della città pero’ ci penso spesso se è una buona scelta, la gente di città non ha mai niente da raccontare mentre le avventure che racconta la gente delle campagne sono incredibili, loro vivono veramente noi si cerca solo di avere più cose. Cosa è giusto, cosa bisogna seguire, Il lavoro? La religione? Tornare a vivere come nel passato? Secondo te quale è il senso della vita?” Domanda che mi sono fatto e che mi sono sentito fare tante volte, ma quasi sempre in luoghi di silenzio, avvolto nella meraviglia selvaggia della natura, questa volta siamo dentro un internet point con sottofondo di musica tecno. Io ho solo due certezze: Il tempo passa e la morte arriva e credo che il senso della vita sia cercare di fare di questo tempo il migliore uso possibile, capire cosa si vuole e farlo. Alla fine si fa mattina e quando usciamo albeggia, non ho combinato granché ma mi sento bene. |
Le regole del Colonello Le notizie che arrivano dalla Libia non sono quelle sperate, per entrare bisogna obbligatoriamente avere un accompagnatore autorizzato e/o un poliziotto, altrimenti niente visto, al massimo si puo’ stare trenta giorni e il programma va stabilito in anticipo giorno per giorno, non è il massimo ma sembra che non ci sia alternativa, il nostro budget sarà stravolto rispetto al solito, ma alla Libia non ci rinuncio. |
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La legge di “El Borso” e la Ponentata sulla pelata Più che altro dormo e poi vado a internet. Godo nel leggere del crollo della borsa, del fallimento del sistema dell’apparenza, dell’ostentazione della forma e del chi è di più. I piccoli allievi borseggiatori sono stati borseggiati dal loro professore, il signor Ismo Capitale detto “El Borso” che se la ride furbo nell’attesa di infinocchialli ancora con qualche arguto correttivo. Questo mondo mi sembra un calvo col riporto lungo che urla a tutti che lui i capelli ce l’ha! Pero’ è entrato Ponente e il ciuffo laterale se ne vola via lasciando impietosamente scoperta la pelata. La ponentata quella vera è arrivata, perché i trucchi durano poco, ma la morale è un'altra: è che si vive bene anche senza capelli, come si mangia anche senza forchetta, anzi si mangia meglio con le mani. Quando cominci a mettere a fuoco che si puo’ vivere anche senza le tante cose che ti raccontano importanti e quando l’hai capito ti senti più forte e padrone di te stesso, pronto a consumarti la vita giocandotela con le tue regole, quelle che ti dettano la coscienza e l’esperienza. Non ne posso più di questo mondo dove tutto è confezionato, che ti dà tutto digerito e ti racconta che pensa e agisce per te. |
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Ritorno in rete Fra una decina di giorni lasceremo la Tunisia alla volta della Libia, ci sono ancora tante cose da definire per entrare nel paese di Gheddafi e prima di partire vorrei vedere bene il tratto costiero da Bizerte a Tabarka. Visto che non c’è verso di trovare un kayak o un barchino, l’idea è di farlo a piedi lungo costa con gli zaini leggeri e la tenda, arrivare a Tabarka e poi cominciare l’avvicinamento alla Libia. Prima pero’ c’è da sistemare il tanto materiale nelle memorie, aggiornare il sito e poi controllare l’attrezzatura fotografica che sta dando preoccupanti segni di cedimento. Ritroviamo il ristorante di Ciccio e poi vado a internet e ci faccio mattina. |
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I Relitti, storie di armatori e assicuratori Bizerte è sonnecchiante come sempre al mattino, per andare alla Remel Plage bisogna passare sul ponte levatoio e poi proseguire fino alla fine del porto dei pecheur, dove inizia la spiaggia. E’ un grande arenile bianco di cinque o sei chilometri che termina sul promontorio di roccia che chiude a Est il golfo di Bizerte, quasi alla fine sullo sfondo si vedono i relitti lontani delle due grandi navi. La spiaggia è larga e bella, sulla riva c’è un grande bunker di cemento risalente all’ultima guerra che ora è in parte dentro il mare, strategicamente durante la guerra Bizerte era molto importante per il porto naturale e per la vicinanza alla Sicilia. E’ una bella giornata ma c’è pocchissima gente, qualche marinaio sceso a terra dai mercantili e alcuni pescatori che provano a prendere un po’ di frugaglie con il razzaglio. I fondali bianchi esaltano le trasparenze e il mare celeste ricorda quello di Cala Giovanna a Pianosa. Ci sono tante piccole barche di legno sulla spiaggia, da qui partono per calare i tramagli sulle secche vicine e intorno ai relitti che sono tanti, infatti non ci sono solo i due giganti ma tanti resti di imbarcazione vittime di questi fondali sabbiosi e delle secche rocciose, che ora con la bassa marea sfiorano il pelo dell’acqua. La linea della battigia è disegnata da migliaia di conchiglie policrome e dalle tante forme che disegnano una lunga linea sinuosa che da lontano sembra una corda rosa e arancio, è un posto bello e mi rammarico di non esserci mai venuto in tutto questo tempo passato a Bizerte. E’ interessante anche il retro, con le dune alte dove crescono i ginepri e le paglie marine e anche dietro al tombolo, dove c’è una macchia fitta che poi senza soluzione di continuità si trasforma in una grande distesa di pini d’Aleppo. Le navi ora si distinguono bene, per un piccolo tratto la spiaggia è interrotta da una grande secca di rocce spugnose come ai Cancherelli, nella parte interna ci sono tanti formicai grandi e colorati uno diverso dall’altro che sembrano progettati da estrosi architetti. Da qui la vista del relitto più lontano è surreale, la prospettiva gli toglie l’acqua da sotto e la carcassa sembra avanzare nel terreno. Queste due navi sono naufragate una ventina di anni fa, trasportate in secca da una mareggiata e poi distrutte dal fuoco, a Bizerte si dice che è stata tutta una messa in scena dell’armatore (le navi erano della stessa compagnia) perché stava per scadere l’assicurazione su entrambe le imbarcazioni, una storia molto somigliante a quella dell’Adel Scott la piccola nave affondata sullo scoglio dell’Ogliera a Pomonte nei primi anni settanta, anche li’ si dice che il vero motivo del naufragio fosse legato alle assicurazioni. Chissà perché mai le navi quando diventano relitti perdono la loro natura inanimata e diventano simulacri di creature viventi gigantesche ormai scomparse dal creato. La più grande è stata abbondantemente smantellata, gli manca tutta la parte centrale, la poppa ha lo scafo tagliato di netto all’altezza del ponte di comando e la grande cabina è ancora verniciata di bianco anche se sfregiata diagonalmente da stigmate di ruggine, mentre il trocone di prua che affiora un po’ più avanti è stato deformato dal calore dell’incendio e fuoriesce in parte con un’espressione da grande squalo martorizzato ma sorridente. Accanto all’altro relitto c’è un barchino a remi che sembra cercare protezione dalla grande carcassa. Anche qui come a Capo Bon c’è chi lavora sui relitti per recuperare qualche soldo da avvolgimenti e pezzi vari, il relitto più vicino a riva è un cantiere, c’è una squadra che lavora dentro e un paio di vedette che fanno la guardia, ora è bassa marea ed è possibile entrare direttamente dentro la stiva con un carretto trainato da un asino per caricare il materiale recuperato. Sono attrezzati con carrucole e una rudimentale gru ancorata sulle placche di ruggine con cui stanno spostando una tubazione, avrei voglia di entrare ma la tensione che traspare dalle vedette mi fa capire che non è cosa gradita, anche perché il tempo sta cambiando, è entrato grecale e il mare si sta increspando velocemente, anche la marea sta salendo e fra poco dovranno abbandonare il cantiere. Tornando indietro passiamo dalle dune più alte e si vede il mare che a largo si sta gonfiando velocemente, peccato c’è mancato veramente poco, si poteva rimanere isolati per un po’ di giorni a La Galite e magari godersi lo spettacolo di una mareggiata dal faro di Galitone, ma hamdullah, ora siamo a Bizerte e prima che si scateni la buriana conviene cercare riparo. Un fronte nuvoloso compatto e basso si avvicina velocemente è un muro nero anticipato da vento freddo, che la marea è salita lo si vede bene quando si ripassa di fianco al bunker che ora è quasi tutto in mare. Il vento è rinforzato ancora e i pescherecci stanno rientrando velocemente nel ridosso della marina, mentre il mare comincia a frangere violentemente sui frangiflutti del porto. Prima di rientrare alla base faccio un giro nel cantiere alle spalle della marina, qui ci sono tante barche sequestrate e abbondanate, se potessero parlare chissà quali storie verrebbero fuori, invece parla, anzi urla, solo il guardiano che minaccia di fugarmi dietro i cani sbavanti, incatenati a ridosso del suo casotto. |
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Scortati dalle Berte Si smonta la tenda che è ancora buio e si scende al porto, l’equipaggio si sveglia, sull’isola tutto è quieto ma in mare c’è grande agitazione, è in corso una battaglia: nuvole di piccoli pesci si spostano veloci increspando l’acqua come folate di vento, mentre i loro predatori li rincorrono all’impazzata saltando continuamente fuori dall’acqua, poi improvviso arriva un tonno che elegante e potente gli salta in mezzo rubando la scena e catalizzando l’attenzione di tutti, è la legge del mare, pesce gosso mangia pesce piccolo, ci regala le sue evoluzioni e poi come era arrivato il tonno sparisce. Si parte, il mare è calmo e la prua del Bichi taglia il mare color petrolio, il paese si allontana velocemente, le abitazioni sono già macchioline indefinite quando si doppia punta Bizerte, poi la sagoma si allunga e mentre il sole le da colore la vista sul piccolo Arcipelago si completa con il Galitone e “Galitino” che compaiono ad est e i Cani a ovest, mentre sulla costa si spenge la lanterna del faro di Cap Serrat. La Galite è ormai diventa una piccola sagoma che appare e scompare dietro il gommone che zigzagando saltella sulla scia della barca. Da quando abbiamo preso il largo si naviga in compagnia delle berte, ce ne sono tante, il loro volo elegante mi ipnotizza, volano basse sfiorando l’acqua con la punta delle ali, hanno grandi ali ma sono creature del mare e del mare ne hanno il colore e il movimento perpetuo, se le osservi bene vedi che non volano ma navigano nell’aria e la loro direzione è prevedibile come le rotte delle navi che ci incrociano a dritta e a prora. Un volo che è in antitesi con quello dei falchi di Eleonora, gli istrionici protagonisti del cielo de La Galite, che disegnano migliaia di traiettorie imprevedibili, facendoti impazzire quando cerchi di fotografarli. In realtà anche le berte sono difficili da fotografare ma dipende dal movimento della barca e dalla mia attrezzatura che fa sempre più i capricci. A poppa Fathi e Kamel calano le canne da pesca, il risultato delle loro battute è stato deludente, non hanno pescato granche’ “La Galite non è più il regno del sarago” mi dice Kamel “tutti ci vengono a pescare ormai” Kaled ha individuato la penuria di pesci nei bracconieri che arrivano dall’Italia “ la rovina” mi dice “sono i gommoni che arrivano dalla Sardegna, sono attrezzati meglio dei militari, arrivano la notte pescano con bombole torce e fucili e poi caricano a bordo e tornano in Sardegna dove vendono il pesce a prezzi molto elevati, devono guadagnare bene perché sono sempre di più”. Sono sempre le solite storie, è la morale del quattrino, quella dei ristoratori che comprano il pesce dai bracconieri, militari e guardiamarine che si prendono l’obolo, e quella dei pescatori per diletto che diventano professionisti e poi assassinano il mare per la solita bramosia di quattrini, quelli che non bastano mai, specialmente se poi ti attrezzi da X° Mas. Kaled mi parla di gommoni con motori fuoribordo da centinaia di cavalli, gruppi elettrogeni a bordo e attrezzature ultramoderne, del corallo pero’ non vuole parlare, si vede che li’ c’ha le mani in pasta. Fa rabbia vedere e sentire questi racconti, ma non è niente di nuovo, la storia delle riserve naturali di Montecristo e Pianosa sono piene di queste episodi. Il sole è alto e fa caldo, ormai la costa Africana ci accompagna sul lato di tramontana, il dolce dormiveglia del navigare viene scosso dall’urlo di Kamel che ha visto vibrare la canna, Fathi si mette la cintura e comincia a lavorare il pesce, un Marlin, almeno cosi’ dice Kamel. Attaccato allo sfotunato pesce spada c’è anche una piccola remora che pero’ viene riconsegnata al mare, chissà se se si accaserà nuovamente su qualche pescione. Contenti come i cinghialai mi chiedono di fotografarli con la preda per immortalarli in pose marziali. Ormai ci siamo, doppiamo le grandi dune, poi Cap Blanc e poi di nuovo Bizerte. Oltre lo sport nautique c’è il grande pontile del porto industriale dove è attraccata una grande gassiera, mentre altre navi mercantili stazionano, dall’altra parte della baia oltre il canale c’è la Remel Plage alla fine della quale giaciono le carcasse di due grandi relitti che domani vorrei andare a vedere. Dopo sei giorni rientriamo a Bizerte, a terra c’è la classica aria da porto turistico, un misto naviganti e diportisti, le novità in porto sono due catamarani provenienti da Gibilterra dall’aspetto molto tecnologico e una vecchia barca in ferro malridotta grezza e tozza che assomiglia alla nave pirata dei playmobil impietosamente vicina ai filanti multi carena. Saluti, zaini in spalla e via, c’è una luce più bella oggi pomeriggio a Bizerte, per il resto tutto uguale comprese le ritrovate litanie dei muezzin, non avrei mai pensato di passare cosi’ tanto tempo qui, ma visto la tanta bellezza trovata a La Galite ne è valsa sicuramente la pena. |
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Le necessità dettate dalle regole e le regole dettate dalla necessità Nella notte mi sveglia il vento forte, mi affaccio e a largo dell’Isola vedo un temporale massiccio che è in arrivo, fra noi e l’Africa grandi saette che escono da nuvole che pulsano di luce viola. Il temporale si avvicina velocemente e i toni cominciano a farsi sentire sempre più forti, le saette ora sono vicine e illuminano la baia, ne arrivano un paio giganti dritte e larghe che si schiantano a poche centinaia di metri, la luce è accecante e il tuono che arriva subito dopo fa vibrare il terreno, sembra l’inizio di una tragenda, ma per fortuna rimane il momento più intenso, i toni e fulmini continuano per tutta la notte ma non succede niente di grave. All’alba esco e faccio un giro fino al poggio panoramico vicino al cimitero, vedo che siamo circondati da nuvole nere cariche di elettricità, sembra di essere nell’occhio del ciclone ma praticamente non succede niente e a parte qualche goccia non piove nemmeno. Come capita spesso quando l’aria è piena di elettricità gli animali si radunano e vicino alla tenda ritrovo i due cavalli isolani, tre corvi e una tartaruga. Verso le otto arriva una motovedetta che si ormeggia alla boa a centro golfo e poi sbarca i militari con il gommone, sono le nuove reclute il cui compito principale è ripulire l’isola dalla plastica che raccolgono in grandi sacchi e poi accumulano dentro i casotti sul porto in attesa di portarli fuori dall’isola. Le notizie stamattina sono più grigie, un po’ come la giornata, su Galitone non si puo’ andare perchè c’è troppo mare e anche il cambio del turno è rinviato, proviamo domani mi dice il responsabile del trasbordo, che non riesce a mettersi in contatto con il faro perché il temporale deve aver fulminato qualcosa. Scendo al porto per avere la conferma che possiamo rimanere un’altra settimana qui, Kaled vuole partire nonostante il tempo brutto ma non ci vuole lasciare qui, discutiamo un po’, con Kaled non ci si piace ma ci si sopporta, io senza di lui non potevo venire qui e lui senza la mia richiesta non poteva portare il suo amico a pescare, vuole una dichiarazione scritta dal comando di Bizerte che noi possiamo rimanere qui, si mette male. Torno alla guardia nazionale e mi dicano che si puo’ rimanere, nel frattempo sull’orrizzonte passano delle trombe marine, si resta in attesa di una risposta, forse si resta fino al 25 forse no, una serie di chiamate poi verso le due arriva la risposta negativa: Bizerte non risponde, almeno cosi’ mi dicono e quindi si deve partire con il Bichi, nel frattempo passa una grossa tromba marina, decisione finale si parte domattina all’alba. Non rimane che sfruttare il più possibile il poco tempo restante, scendiamo verso il mare per vedere la parte bassa del paese, quella più estesa, vicino alla caserma della marina c’è una motopala abbandonata (una scingscaul’ come si diceva e forse si dice sempre a Ponza). La parte bassa dell’insediamento Ponzo Galitese ricorda veramente la principale isola Pontina in particolare la zona delle Forna, scendendo verso il mare si incontra la casa detta delle aragoste al cui interno ci sono ancora le vasche dove venivano tenute le aragoste vive nell’attesa di essere portate in continente, proseguendo ci sono una ventina di abitazioni ormai tutte malridotte, i muri si stanno sgretolando sotto l’azione della salsedine e della vegetazione, come sempre sono le piante di fico le più devastanti. La scala che scende verso il mare ricorda tantissimo quella che da Le Forna scende verso le piscine naturali a Cala Feola, intorno ci sono agavi, lentischi e cisti, questa è veramente la piccola Ponza: le scale imbiancate con la calce, grotte casa e altre grotte che fungevano da stalle scavate nella roccia più friabile, la più bella sembra la casa dei Flinstones. Il viottolo si ferma sul mare, poco più in alto c’è la casa più grande de La Galite, quella che ospitava Bourghiba, è diversa da tutte le altre ha il tetto a capanna ricoperto con i marsigliesi ed è una tipica casa francese, a pianterreno oggi qui ci vive una famiglia, una delle tre famiglie dell’Isola e fuori casa ci sono due donne e tre bimbi, peccato che si va via domattina perché sarebbe stato bello poterci parlare, chissà che storie interessanti venivano fuori e poi specialmente ora che si cominciava ad entrare in confidenza anche con gli uomini della marina, comunque rimane il grande privilegio di essere qui e questo pensiero mi fa sentire molto fortunato. Saliamo verso il monte senza nome che abbiamo battezzato Calanche per la somiglianza con la vetta Elbana, si cammina in mezzo a una prateria d’erba alta e robusta, sembra la Pampa, anche questo scorcio di isola è molto bello, una piramide di rocce scure piena di fratture da cui fuoriesce acqua dolce, ci sono delle fratture che diventano vere e proprie grotte e vengono prese a dimora dalle capre selvatiche. Fra grotte e rocce scure e nuvole cupe il tramonto acquista una connotazione drammatica. La notte arriva in un attimo, fra poche ore lasceremo La Galite, passiamo l’ultima sera chiacchierando con i ragazzi della guardia nazionale che sono stati molto gentili con noi, sono giovani tra i venti e i venticinque anni e sono arrivati qui spinti da motivazioni economiche. Habib è il responsabile del comando, è qui da cinque anni e ci resterà ancora un anno, poi spera di essere trasferito a Tabarka sua città natale dove con i soldi guadagnati qui si è già costruito una casa, cosa che “per un venticinquenne non è poco” mi dice orgoglioso. Anche Mohamed, che è più giovane, ha chiesto di venire a La Galite ma solo per un anno, perché quando torna si vuole sposare, La Galite gli piace ma soffre l’isolamento, le loro donne qui non verrebbero e nemmeno loro le vorrebbero qui. E’ strano questo mondo delle regole che porta uomini a vivere senza donne in un posto non desiderato per avere più soldi, regole che impediscono la normalità e portano a stare dove non si vuole essere. La Galite come tutte le micro comunità in luoghi isolati, estremizza le situazioni rendendole più evidenti ma alla fine la dinamiche sono le stesse in tutti i luoghi: ci si sposta e si vive seguendo le necessità dettate dalle regole e non seguendo le regole dettate dalle necessità, come avevano fatto i coloni ponzesi qualche decina di anni fa su questo magico scoglio. Quelle stesse regole cha hanno mandato via le persone che avevano scelto di vivere qui, sostituendole con altre che qui mai sarebbero venute. |
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Natura dolce e selvaggia
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{youtube}A2pV0QjthE0{/youtube} Lo sguardo enigmatico del Corvo |
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