AuthorUmberto

Sabato 24 maggio 2008 Fes _ Moulay Idris _ Volubilis _ Meknes _ Fes

 Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

Image

 

 

 I mosaici di Volubilis
Sveglia  all’alba per raggiungere in treno Meknes, la città araba per eccelenza del Marocco. Il treno attraversa una campagna fertile avvolto dalla nebbia e da nuvole basse, arrivati nella città di Mulay Ismail cerchiamo un taxi per Mulay Idriss, la trattativa parte da 350 dirham e si chiude a 10 Dirham a testa. Arriviamo nella città santa che pioviscola e la nebbia nasconde la campagna ricca di campi di grano e olivi che abbiamo appena attraversato.
La città prende il nome dal suo fondatore che è anche il padre del Marocco come nazione.
Mulay Idris era il pronipote di Maometto, sua nonna era la figlia del profeta, giunse in Marocco intorno al 787 e si installò a Volubilis, allora il centro principale della zona, dove venne accolto come Imam (capo spirituale e politico). Nel giro di cinque anni diventò il sovrano di un regno molto esteso e edificò la sua capitale su un colle in un luogo più difendibile rispetto a Volubilis, successivamente Mulay Idris iniziò anche l’edificazione di Fes che fu poi completata dal figlio Idris II. Venne avvelenato e ucciso dai suoi rivali nel 792 che speravano di elimare con lui anche il suo regno, ma si sbagliavano, le tribù berbere in gran parte pagane, ma anche di fede cristiana e ebrea si convertirono in massa al credo maomettano portato da Idris e sposarono l’idea di un Marocco arabo. La continuità del progetto fu portata avanti da Rashid il fedele servo del sovrano che divenne il reggente finchè il figlio diventato adulto e salì al comando. Da qui in avanti nonostante continue lotte di potere la storia marocchina è proseguita su questo solco.
Piove, faccio un giro fra gli edifici bianchi e squadrati dell’agglomerato, Mulay è una San Giovanni Rotondo mussulmana è meta di pellegrinaggi religiosi, qui a differenza di Fes  nei pressi del santuario c’è ancora la sbarra che impedisce l’ingresso per animali e cristiani alla zona cultuale.   Nella piazza ci sono numerosi chioschi che vendono ceri e incensi  per omaggiare il Santo, bancarelle di dolciumi e ristoranti con bracieri per cuocere la carne tutti forniti di ventilatore per ravvivare le braci nel momento della cottura. Nella parte alta c’è il souk ma non è un gran che, invece è notevole il piccolo forno che fa dei dolcini di molto boni.
Smette di piovere un’ altra trattativa ridicola e poi gran taxi per Volubilis che qui chiamano Oualili. 
Dal cielo grigio spuntano le sagone delle colonne dei templi antichi dove le cicogne hanno fatto i loro nidi. Volubilis era la città romana piu remota dell’ Africa, qui finiva l’impero, la porta meridionale si apriva verso l‘Atlante e le terre incognite e si interrompeva il grandioso reticolo delle vie di Roma. La città fu fondata nel 45 dopo cristo sotto l’impero di Claudio che la destinò a capitale della Maureitania e così fu fino al 285 quando le guarnigioni si ritirarono, ma Volubilis esisteva già da molti secoli, qui sono stati trovati reperti cartaginesi del terzo secolo avanti cristo, ma ci sono tracce di insediamenti molto più antichi. Nonostante l’abbandono da parte dei romani  ancora nel settimo secolo qui si parlava il latino, era una città abitata da berberi, siriani greci ed ebrei e le chiese sopravissero fino al regno di Mulay Idris. La città rimase comunque un centro attivo fino al XVIII secolo quando fu depredata e in pratica distrutta da Mulay Ismail che trasferì a Meknes i suoi marmi più belli per la costruzione della sua città imperiale .
Ci sono pochi visitatori in rapporto alla bellezza del posto, qualche gita scolastica e due o tre gruppi di turisti stranieri, ma all’ora di pranzo se ne vanno tutti e Volubilis diventa ancora più affascinante, arriva anche il sole peccato che le macchine fotografiche vanno tutte due ko. L’immagine dei colonnati che si stagliano sullo sfondo dei campi di grano maturo è una poesia senza tempo.
Il sito meriterebbe maggiore cura, soprattutto per gli splendidi mosaici policromi che adornano i pavimenti delle antiche residenze, raffigurano soprattutto gesta di dei ed eroi ma ci sono anche tanti animali. La città era la principale fornitrice di animali esotici e feroci per gli spettacoli della capitale, duemila anni fa qui c’erano leoni, orsi ed elefanti ma probabilmente da quello che si vede nei mosaici anche tigri e ippopotami, quello che sappiamo è che i leoni e gli orsi di barberia furono praticamente estinti per soddisfare le insaziabili richieste di fiere che provenivano dai circhi romani.
Nonostante secoli di predazioni e lo stato di abbandono rimane un luogo imponente e monumentale, con templi, archi celebrativi, ville terme, frantoi e ingegnose opere idrauliche.
Purtroppo oltre all’abbandono anche qui c’è la minaccia del cemento, proprio accanto anzi dentro il sito stanno costruendo una specie di grande autogrill per turisti. il Marocco sta investendo tanto nel turismo, ma nella direzione del turismo di massa organizzato, speriamo che non trasformino Volubilis in una disneyland.
Risaliamo a piedi fino a Mulay Idris e poi nuovamente gran taxi 6 posti per tornare a Meknes, la città di Mulay Ismail.
La ville nouvelle è una brutta città europea  però c’è il palazzo del gelato dove fanno il gelato più bono del marocco, rispetto a Fes è molto più piccola, in basso la città nuova e in alto oltre il oued Boufekrane che in realtà è un fosso, si estende la medina e la grande città imperiale edificata dal famoso tiranno. Saliamo verso la parte antica che nella parte bassa è un groviglio disordinato di mura in rovina avvolte nella vegetazione. Entrando nella medina e nella Mellah il “casino rimane” è una zona abitata ma priva del fascino storico di Fes con le case costruite dentro e fuori dalle mura antiche  una appoggiata all’altra fino a chiudere le vie, con le vestigia storiche inglobate soffocate e dimenticate. Dopo un pò di giri a voto arriviamo al mausoleo di Mulay Ismail, che qui è venerato come un santo, è l’unico mausoleo che gli “infedeli” possono in parte visitare. 
Mulay Ismail è considerato il più grande fra i sultani del Marocco regnò per 55 anni dal 1672 al 1727. Ismail era un Tiranno spietato crudele e cinico, che si divertiva ad uccidere per diletto anche durante le ispezioni nei cantieri. La sua guarnigione scelta, la leggendaria Guardia Nera, era il terrore di tutti i suoi sudditi, era una guarnigione di 140.000 uomini scelti fra gli schiavi touareg catturati nelle incursioni del suo esercito nelle terre mauritane. Ma era indubbiamente un grande  sovrano ed aveva forte il senso dello stato, creò un grande esercito organizzato di cui facevano parte in pratica tutti gli uomini del regno, berberi, arabi, catalani, ebrei e cristiani con cui teneva unito il regno e costruì il Marocco più potente della storia grazie agli schiavi e ai bottini di guerra delle numerose battaglie vinte. Fu un instancabile edificatore, le Kasbah (forti militari) furono costruite su tutto il territorio anche nei posti più impervi, ma il suo morbo edificatorie si sviluppò nella maniera più spettacolare qui a Meknes dove costruì la sua città imperiale, predando materiali da tutto il Marocco compresa, come detto, la vicina Volubilis.
Fa un certo effetto visitare la sua tomba che è un edificio religioso e vedere che viene venerato come un santo, però è anche vero che assicurò un periodo di prosperità al Marocco e che da noi nello stesso periodo c’era la caccia alle streghe e si bruciava chi affermava che la terra ruotava intorno al sole e i papi che ordinarono tali efferatezze sono tutt’oggi esposti ben mummificati in vaticano venerati e glorificati.
Il mausoleo per quanto pomposo ha rifiniture tipicamente marocchine con grandi colature di imbiancatura sulle pareti finemente piastrellate che non hanno risparmiato nemmeno una bellissima meridiana di marmo incastonata nella muratura.
I souk sono anonimi sembrano mercati europei, poi si esce nella grande piazza davanti a Bab Mansour la porta simbolo della città. Si tratta di una monumentale porta che fu progettata da uno schiavo cristiano convertito all’Islam diventato poi architetto del regno. È dominata dalle grandi colonne di marmo predate a Volubilis e arricchita da un’ infinità di marmi intagliati.
Tona lampa e fa freddo col paile addosso, non avrei mai pensato di pati’ tutto sto freddo a fine maggio in Africa, sarà anche normale ma io qualche dubbio c’e l’ho.
La parte alta della città imperiale è ben conservata ma è tutta interdetta, all’interno delle mura ci sono tante caserme militari dai giardini ben tenuti, c’è anche il grande campo da golf reale con i prati perfetti, anche da qui ci mandano via, ma prima di uscire cedo al richiamo irresistile di lasciare  una cacata nel gabinetto lindo dell’esclusivo club.
E’ ormai buio quando ripassiamo il fosso, proprio davanti al luminescente Mcdonald dove  i tristissimi arabi aspiranti yankee da dentro le loro macchine fanno la fila per prendere il convio da un distributore.
Rientriamo a Fes in treno, poso dopo aver camminato per diversi vagoni perché pensavo di essere in prima classe da quanto è pulito e lussuoso. E’ un treno lunghissimo, arriviamo a Fes insieme a  tantissime persone, i marocchini si spostano tanto da una città all’altra continuamente per cercare lavoro, e avere famiglie numerose torna comodo perché si hanno parenti in tutte le città  pronti ad ospitarti. Alla stazione ci sono tanti taxi, prendiamo un petit e rientriamo nella medina ormai buia.    
   

Venerdi 23 Maggio 2008 Fes

 
ImageAppuntamento a mezzogiorno al cafè Paris con Mohammed per le traduzioni, il francese è praticamente pronto, qualche sottolineatura sulle parole “troppo” isolane, sappe, frullane  e cembalaie, ma il lavoro è fatto e ora si parte con l’arabo, sono esaltato da questa cosa e sto pensando di far tradurre Pietro Gori in arabo perché che l’Elba sia conosciuta nel mondo come “l’Isola di Napoleone” mi sta sui coglioni.
Mohammed Elkhatouri insegna alla scuola media intitolata a Ibn Batta un viaggiatore marocchino del milletrecento ed ha 350 studenti che studiano italiano, anche Mohammed Boutriq insegna italiano in una scuola equivalente ha 319 alunni, tutti ragazzi fra i 14 e i 16 anni. Entrambi si sono laureati  all’università Mohammed V di Rabat dove c’è l’unico dipartimento di italianistica del paese. Sono affascinato dal loro entusiasmo per l’italia, è emozionante parlare con ragazzi marocchini che conoscono Dante e Boccaccio, leggere i compiti in italiano degli studenti, scritti con calligrafia elegante e precisa ma con i caratteri inclinati verso sinistra all’araba, e sentire delle raccomandazioni del provveditorato a non parlare del vino mai in quanto tabù per l’islam e quindi evitare anche le opere lettearie che ne fanno cenno.
Si parla dell’Elba e delle sue meraviglie naturalistiche e della sua storia, della campagna, della zona di Taza, del ritmo della giornata dettato dal sole, del profumo della terra dopo la pioggia, dei cappelli di paglia e dei racconti dei contadini , della vicinanza fra le culture del mediterraneo.
La ricchezza della conoscenza, lo scambio tra culture diverse pensieri ed idee storie di sintonie e diversità, come una musica un accordare le menti ognuna diversa ma in armonia in un crescendo di futuri scenari positivi. Essere in un cafè di Fes a parlare di Mago Chiò e del Cellerai, di  Pietro Gori e di Vitoriugo, del Vangelista e del Bindolo con dei Marocchini lo trovo eccezionale.
Dopo un paio di mesi di tentativi riesco a fare un collegamento video con la casa del mi fratello così posso finalmente vedere le mi nipotine Sofia e Nicol che mi mostra fiera la finestrina nel sorriso, la prova che gli sono cascati due dentini e che sotto stanno già spuntando quelli da grande.
   

Gioved?¨ 22 maggio 2008 Fes

fes concerie

fes concerie

fes concerie

fes concerie

fes concerie

fes concerie

fes concerie

fes concerie

fes concerie

fes concerie

fes concerie

fes concerie

fes concerie

fes concerie

fes concerie

fes concerie

 

La medina alle sei del mattino è ancora addormentata, c’è un movimento rado e lento di persone silenziose che si avviano a cominciare la giornata. Ci siamo alzati presto per andare a vedere le famose concerie di Fes prima dell’arrivo dei turisti. Scendiamo lungo la Talaa Kebira, una delle due arterie principali della medina, i piccoli fondi sono quasi tutti chiusi e questo fa sembrare il vicolo molto più largo, dopo poche decine di metri un mulo carico di pelli di pecora ci fa capire che siamo arrivati alla prima conceria, quella meno famosa. Anche qui ci sono le guide zecca personaggi che ti si appiccicano addosso per rimediare qualche soldo, questo parla in automatico meno lo cachi e più insiste. Seguendo il mulo arriviamo ad una fonte dove tre uomini stanno lavando le pelli delle pecore con l’acqua incanalata dal fiume Fes, sono gentili nonostante stiano facendo un lavoraccio tutti zuppi e immersi fino ai ginocchi nell’acqua puzzolente. Come temevo arriva la zecca e si mette davanti all’obbiettivo, comincia a spiegare … “qui lavvare le pelli di animali, questa pelle di animale che fa beeh”. Il mulattiere scarica le pelli sporche e carica quelle pulite, seguendolo si entra in un vicolo chiuso che finisce in un cortile occupato da una serie di vasche bianche piene d’acqua e cacca di piccione dove immergono il pellame, da tutte le parti ci sono pelli stese ad asciugare  sembra di essere sul Golgota dell’oltretomba e di assistere alla crocefissione di migliaia di fantasmi essiccati.
Nelle stanze intorno al cortile al piano terra ci sono delle vasche dove fanno trattamenti con i colori, mentre al livello superiore, con delle lame a mezzaluna, tolgono la lana dalle pelli bloccate sopra dei travicelli murati in diagonale fra le pareti delle stanze all’altezza delle ginocchia.
Sul tetto ci sono i tintori veri e propri che con le mani stanno strofinando i cuoi morbidi con lo zafferano sciolto nell’olio di argan colorando di giallo i resti ovini destinati a diventare babbucce.
E’ un mondo di lavoratori silenziosi e metodici  in antitesi con quello dei mercanti che riempie di voci e urla le vie principali di Fes.
Scendiamo verso le concerie Chouwara, anche qui è un mulo carico di pellame che ci indica la direzione, è una zona frequentata dai turisti lo si capisce dalle tante botteghe.
Qualche scaramuccia coi bottegai, ma poi entriamo nel cuore della conceria.
Siamo nell’arena del puzzo e del colore, le vasche multicolori al centro della scena e tutto intorno le mura bianche e lucide che trasudano degli sgradevoli aromi delle tinture, venti metri più in alto le terrazze dei negozi con i turisti che si affacciano sul “palcoscenico” co’le foglie di menta sotto il naso a mo’ di maschera antigas. I conciatori si muovono sulla scena come attori consumati, fieri di essere nonostante tutto i protagonisti dello spettacolo, nell’arena policroma e cangiante dove ci si sente un po’ bestie e un po’ eroi, nel groviglio nasuseabondo degli aromi inquinati si percepisce   profumo inebriante del protagonismo, magari da attori corrosi e sgualciti destinati al ruolo di  dannati e perdenti, ma sempre meglio che spettatori destinati a fare da cornice che, per quanto linda, sarà sempre e soltanto cornice.
Le fumate della calce viva scaricata nelle vasche nascondono le smorfie di fatica e i tanti sacchetti di coloranti chimici preparano atroci conseguenze sulla cute e sui polmoni di questi ragazzi.
All’inizio sembra tutto casuale e disordinato, ma dopo un po’ ti rendi conto che la tintoria tutta si muove armonica come un organismo, fra le vasche ci sono impercettibili sentierini che non vedi ma che puoi seguire con l’olfatto, ognuno legato a un trattamento, dentro le nuvole di calce si coglie il movimento vigoroso dei conciatori, mani sui bordi delle vasche e poi spingere con le gambe immersi nel veleno fino ai coglioni, il lavoro più ingrato tocca a chi è dentro alle vasche di merda per trattare e tirare fuori le pelli poi destinate alle grandi lavatrici di legno, delle botti piene d’acqua  che girano per mezzo di una cinchia dentata azionata da un motore elettrico che fa tanto Giulio Verne, mentre il cavo della treeottanta che alimenta il tutto con le giunte volanti in mezzo a questo umido putrido fa tanta paura.
Dopo il lavaggio le vasche dei tintori, dove l’omini sembrano polpi perché prendono il colore della buca, poi le pelli trattate vengono messe in una balla e portate al vicino fiume, che in realtà è un fossetto, per il risciacquo ed infine con delle le lame taglienti ripuliscono dalle ultime scorie le pelli tinte e le consegnano ai cucitori.
La tintoria è una congregazione chiusa dove si tramandano il lavoro di padre in figlio da oltre cinque secoli, una setta di maghi alchimisti schiavi del successo della loro merce per il quale immolano ogni possibile diverso scenario futuro. Mentre saluto “i gladiatori colorati” mi torna in mente un minatore boliviano che mi accompagnò qualche anno fa a Potosì in una disgraziata miniera di piompo quasi esaurita e abbandonata della grande compagnia yankie. Continuava a scavare insieme a tanti altri perché lì prima di lui lavorava il su babbo, il su nonno e il su bisnonno e li lavoreranno i suoi figli perché la sua è una famiglia di minatori e quando una compagnia prima o poi tornerà loro saranno lì pronti.
Risaliamo la Medina, le vie sono ritornate strette e dense di gente e di merci ma non riesco a sentirne l’odore perché sono ancora impregnato di conceria.
Rachida ci viene a prendere, è la prima volta da quando siamo partiti che entriamo in una casa “normale” divani, lo stereo, i libri e i giochi dei bimbi, mi sembra tutto gigante e pieno di cose.
Si sveglia Ghali Ahmed, è un bel bimbo che ha appena finito un anno, è moro e ridaccione e mi ricorda tanto Giacomo il mi nipotino biondo e come a Giacomo gli piace giocare e farsi lanciare in alto. Anche Ghali come tutti i bimbi incontrati durante il viaggio è affascinato dalla macchina fotografica e soprattutto dalla sua immagine.
Sono contento di questo incontro e dell’intervista che mi darà la possibilità di raccontare e ringraziare la grande forza spirituale e morale della gente dall’Atlas, profeti della semplicità e maestri di tolleranza e di ospitalità.

Mercoled?¨ 21 maggio 2008 Fes

 
Ritiriamo le analisi mediche, va tutto bene e questo mi fa sentire più leggero, ho sempre fifa quando attendo “una sentenza medica” le malattie mi fanno paura, sono cresciuto sentendomi dire che l’importante è la salute, quando c’è la salute c’è tutto e alla salute bisogna pensacci quando c’è e poi come dice sempre zia Alvia “noi siamo una razza di centenari ma pe arivacci bisogna vive a modo”. 
Andiamo a cercare un’agenzia di stampa atttraversando le vie di Fes semideserte, oggi c’è sciopero una serrata quasi totale delle attivià contro il caro vita. L’agenzia di stampa sembra una caserma, l’accesso è per soli uomini, la cosa buffa è che mi accompagnano in un ufficio dove ci sono solo donne, gli spiego cosa cerco e mi danno le dritte per le sedi locali de L’Opinion e Le Matin, con l’aiuto di Mohammed incontrato per strada riusciamo a raggiungere la redazione de Le Matin e ad  avere il numero di telefono di una giornalista. La ricerca è durata mezza giornata, ma poi con una telefonata di 30 secondi fissiamo un appuntamento per il tardo  pomeriggio.
Durante il giro abbiamo individuato un cafè con la wi-fi,  ci piazziamo per spedire, in queste pause urbane non si riesce mai a rispettare i tempi anche perché i “fronti aperti” sono tanti. In un attimo arriva l’ora dell’appuntamento, fissato davanti alla banca del magreb. Rachida è una giornalista di Casablanca sulla trentina sorriso aperto, occhi vivaci e parlata veloce, è molto incuriosita dal viaggio, ci sediamo in un cafè e parliamo un paio d’ore, è una conversazione molto interessante e aperta su più argomenti, il tempo passa in un attimo, domani siamo invitati a casa sua per approfondire meglio le cose e per conoscere la sua famiglia.
   

Marted?¨ 20 Maggio 2008 – Fes – Marocco

Image

Image

Image

Image

Oggi dopo tanti giorni piovigginosi una bella giornata e nel cielo terso si stagliano eleganti le sagome dei grandi rondoni dal petto bianco che volano frenetici sopra al grande piazza Bab Boujeloud, circondata dalle antiche mura che ne ospitano i nidi.
Ci chiamano dal liceo linguistico per le traduzioni, ci aspettano due giovani maestri marocchini che si chiamano tutti e due Mohamed. Insegnano entrambi lingue in due scuole medie della medina e sono originari di un piccolo villaggio di campagna. Uno di loro è particolarmente interessato al viaggio e in particolare al progetto di Base Elba. È un ragazzo brillante che sta facendo una ricerca sulle storie e le leggende del Mediterraneo e tra pochi mesi verrà in Italia, a Siena a studiare per due mesi, grazie ad una borsa di studio. Gli parlo un po’ dell’Elba e delle altre isole dell’Arcipelago, della sua storia e delle sue leggende, soprattutto quelle legate alla pirateria moresca e lo invito a visitare la nostra Massima Isola. Sono contento, fra un paio di giorni, inshallah, avrò il sito leggibile anche in arabo e francese.
Senza capire bene come, mi ritrovo a gironzolare tra i vicoli della Mellah, l’antico quartiere ebreo, dove non è rimasto rimasto niente dell’antico splendore raccontato sulle guide, anche la sinagoga, la cui visita è chiaramente a pagamento, è piuttosto malandata.
Sto cercando una nuova macchina fotografica, quando un’insegna “pasta e pizza” mi calamita dentro un ristorante “italiano”, non avrei mai pensato di essere soddisfatto di un piatto di scotte con tracce di totano congelato, gamberetti, panna e formaggio olandese grattugiato.
   

Luned?¨ 19 Maggio 2008 – Fes – Marocco

 
Anche stamattina dopo la pausa domenicale scendiamo alla ville nouvelle per gli ultimi esami attraversando El Djedid. Lasciato l’ambulatorio andiamo a trovare Tambone che come da copione sta mangiando, gli hanno rasato la criniera e il pelo sulla schiena, sembra un bambolo alla visita militare. Ci riconosce e ci viene incontro in cerca di coccole, secondo me è stufo di stare qui dentro, è un posto di lusso, ma è comunque una prigione, ormai anche lui è un nomade, ma tra qualche giorno inshallah ripartiremo alla scoperta di nuove bellezze.
E’ una giornata dedicata alla preparazione di vari aspetti, e viene passata in gran parte dentro uffici, cyber e negozi, è questo “il lato oscuro della cosa” meno divertente ma indispensabile per mandare avanti il progetto, ci sono da sistemare le traduzioni per il sito di elbaeumberto che ora è ben visibile anche da www.elbacomunico.com e da www.ilviottolo.com , vedere il referente del consolato per i passaporti, cercare una tenda più piccola e uno zainetto e rispondere alle tante mail.
Rientriamo alla Medina che ormai è quasi tutto chiuso, nel centro della via una squadra di muratori che nella notte amplierà un ristorantino, sta impastando a mano un “vulcano” di calcina, mentre sullo sfondo cani e gatti si dividono gli ultimi avanzi lasciati dai ristoranti.
   

Domenica 18 Maggio 2008 – Fes – Marocco

 
La medina più la giri e più ti incuriosisce è un labirinto intricatissimo, una ragnatela di vicoli sinuosi che si intrecciano continuamente, a volte finisci in una piazza, altre in un vicolo cieco.
I turisti si concentrano nelle vie centrali le più ampie e ricche di “artigianato souvenir”, ma sono i vicoli secondari che raccontano le storie più belle, dove lavorano in microscopiche botteghe gli artigiani che producono per i turisti, ma soprattutto per il vivere quotidiano perché la medina si autoalimenta e produce tutto al suo interno. Qui è l’olfatto il senso predominante, il profumo di miele e cannella ti indica che stai imboccando la via dei dolciai, l’odore di cera e incenso che siamo vicino a una moschea o a un Mausoleo e il puzzo nauseante della lavorazione della pelle non lascia dubbi sull’approssimarsi delle concerie, un mondo a se, denso dove respiri aria umida e dipinda, dove lavorano sciagurati uomini spettro con i volti e gli occhi intrisi di colore.
Il vicolo che porta alla tomba di Moulay Idriss II è sbarrato da un trave ad altezza uomo: è l’inizio dell’horm, il sagrato del santuario, un tempo zona interdetta a ebrei, cristiani e muli, ma ora la presenza degli “infedeli” è tollerata, anzi ci sono le indicazione per il mausoleo. Questo “santo è il patrono di Fes e viene oncora oggi venerato soprattutto dalle donne che vengono a pregare ed a portare doni sulla sua tomba in cambio di richieste di mariti e fecondità. Questa è una zona interdetta, ma sbirciando dalle ampie fessure si vedono numerosi gruppi di donne che pregano e accendono ceri e la miscela di sacro e proibito crea innegabili suggestioni.
Raggiunto il fiume ormai secco si finisce nel Quartiere Andaluso per poi uscire attraversando la zona più malfamata di El Bali, da Bab Ftouh. Uscito dalla Medina un gruppo di marocchini davanti alla televisioni mi porta con la mente alla Fiorentina che si gioca la champions a Torino, la parte tifosa prende il sopravvento e “soffro” il secondo tempo in diretta su fiorentina.it. Osvaldo su rovesciata ci conferma l’agognato quarto posto.
   

Sabato 17 Maggio 2008 – Fes – Marocco

Image

Image

Il mio organismo, contrariamente al palato, non ha gradito la Pastilla (la lasagna fessa) il piatto tipico di Fes e gli squisiti dolcini al miele, e stamattina so ‘n coma, porto la cacca e vado a dormire. Mi sveglio, vomito, poi vado a internet e mi incazzo col Veltroni finalmente risucitato (Roberto Elbacomunico, non walter ombra di protezione). Ho voglia di silenzio e grandi spazi, di profumo di ginestra e rosmarino e croste di sale marino sulla pelle sudata e invece mi trovo avvolto in una bolla di smog e ipocrisia. I motori della nuova Fes sono la droga e il cemento. È veramente teatrale questa impietosa “rappresentazione reale” del tramonto occidentale abbracciato a una soffocata alba Africana, il peggio di di due mondi, bimbi spacciatori per gente gonfia felice di aver trovato da fumare a basso prezzo. Impietoso e scontato il paragone col mondo semplice e puro, ma più di tutto retto e dignitoso, dei nobili pastori della montagna. Questa sciatta umanità urbana, mediocre e vile che si annulla nei fumi stordenti in questa globalizzata bassezza. Esercito di vili e falsamente ignari servi del sistema che ipocritamente contestano con trecce e simboli, consapevoli della merda che sono. E’ il mondo dei drogati quelli che finanziano e fanno proliferale nel mondo la disuguaglianza e il privilegio. Penso che non ci sia niente di più facile che controllare un mondo di drogati, larve che si devono drogare per dormire, drogare per trombare, per leggere e lavorare, gente senza stima ne amor proprio vero disastro sociale nel pianeta.

Voglio girare tutto il mondo e gridare contro droga e cemento.

   

Venerd?¨ 16 Maggio 2008 – Fes – Marocco

  Esami del sangue e cacca nel bussolotto, visita alla stazione ferroviaria (unico angolo della ville nouvelle senza traffico) per vedere gli orari dei treni diretti a Meknes, andiamo a vedere una bella mostra fotografica di un iraniano e poi si torna alla Medina. La cosa più assurda delle città marocchine è che le attività concorrenziali sono tutte in fila, è rimasto il concetto dei souk, ci sono i ristoranti tutti con lo stesso menù attaccati l’uno all’altro, poi i negozi di scarpe, le cremerie e via dicendo. “Ittalliano ancora quì?” “ la mulo dove sta? ” “Compra da me 00 prima qualità” me lo sento ripetere a sfinimento lungo la via da El Djedid a El Bali. Però la Medina è affascinante ti passano davanti migliaia di facce diverse e persone abbigliate nella maniera più disparata, la signora con il burka nero da cui non traspaiono nemmeno gli occhi, il punk a bestia ormai perso per sempre, le guide turistiche col cartellino dal falso sorriso stampato sotto sguardo acido, la ragazza appena uscita dall hamman che cammina con la testa fra le nuvole candida e sorridente avvolta in un profumato kaftano turchese con in mano il sacchetto nero dei panni sporchi, e poi ancora gente all’infinito in questo fiume caotico di magma umano; chissà quanti pensieri nascono e si avvinghiano in questo marasma, quanta diversità, quanta potenza, quanta bellezza e quanta bruttezza …quanta umanità.
   

Gioved?¨ 15 Maggio 2008 – Fes – Marocco

  Si lavora e poi si va dall’architetto Meliani il responsabile del consolato italiano per Fes e Meknes, che ho contattato per risolvere alcuni problemi relativi al rinnovo del passaporto e ai visti per entrare in Algeria. Il diplomatico ci accoglie con grande gentilezza, è un Fasso con origini italiane il nonno era di Genova, è ammirato per il nostro viaggio anche se lo ritiene un po’ folle e dice che mi darà una mano per pubblicare la storia della traversata dell’ Atlas. Sfruttiamo la pausa metropolitana per fare le analisi mediche. Tutto efficiente e caro, qui un povero le analisi del sangue e delle feci non se le può permettere. Il dottore è piuttosto contrariato quasi schifato quando gli racconto che in questi mesi ho bevuto e mangiato quasi tutti i giorni insieme alla gente dei villaggi, ne parla come se fossero quasi dei subumani, questo mondo a compartimenti stagni è nauseante. Battiato cantava povera patria, io penso povero mondo… ma cambierà, sì Cambierà.