AuthorUmberto

Gioved?¨ 24 Aprile 2008 – Zeida – Marocco

 
Zeida è un paese autogrill, qui si fermano per mangiare i bus e i camion provenienti da tutte le direzioni, ci sono decine di ristoranti tutti uguali che propongono tajine e carne di montone arrosto, anche i ristoratori sono tutti uguali, tanto che sembrano clonati. Ogni tanto ci sono delle scene divertenti come quando da un furgoncino parcheggiato scappa un gregge di pecore che si disperde per il paese. Anche qui è tutto imbandierato perché lunedì passerà il re che è in zona per inagurare una grande diga, è un paese di mercanti, tutti ti chiamano per vendere. Passo la giornata a scrivere qui c’è l’energia elettrica e posso scrivere sul pc, quando fa buio vado a prendere Tambone che avevo legato in un campo, dopo aver chiesto il permesso, e incontro un tipo che mi accusa di avergli messo il mulo nel campo di grano, ma alla fine di una grande discussione che coinvolge una ventina di persone il problema si dissolve e mi dicono che domani posso rimettere il mulo nel campo.
   

Mercoled?¨ 23 Aprile 2008 – Aouli – Zeida – Marocco

apparsi dal nulla

umberto e Tambone

gente del deserto

deserto

tenda

villaggio

cespuglio

necropoli?

si fa sera

Oggi sarà una giornata impegnativa c’è da attraversare il plateau arid, sessanta chilometri di deserto di pietra sotto il sole.
Lasciata la zona mineraria vicino il villaggio, la pista si perde in mille viottolini, seguendo il consiglio di Said taglio salendo il crinale più alto, sembra di essere dentro un mondo di carta stagnola tutto riflette, ma non è un vero deserto, ci sono piccoli cespugli e tanti piccoli papaveri arancioni. E’ una zona ricchissima di minerale, di tanto in tanto ci si trova sopra a filoni in superficie, incontriamo un branco di asini che sembrano selvatici ci sono tanti piccoli e femmine gravide, dopo un paio di ore il primo incontro un pastore, ci vuole mandare indietro, i sentierini tagliano sinuosi per colline e depressioni in un panorama uniforme e senza sbocchi apparenti, per fortuna che ieri dalla montagna ho visto tutta la zona. Vediamo la prima tenda di nomadi e poco dopo una trincea di scavo con cristalli gialli, dopo poco si incrocia la pista principale dove c’è un camion che stà andando al souk di Midelt, l’autista è di Zeida e mi da una serie di informazioni sul percorso. Ancora un’ oretta e poi incrocio, dove ci lasciamo a destra, le strutture di un’altra miniera circondata da case fantasma. Camminiamo lungo una pista rettilinea dove c’e un po’ di verde e Tambone ne mangia i ciuffi continuamente, si avanza in un deserto di roccia con ciuffi di fienelli e ogni tanto qualche traccia di scavo. Su un cumulo dove sembra non ci sia niente appaiaono due donne e un bimbo, sono stupite e divertite nel vederci e ci invitano a rimanere lì, Zeida è Yagug (lontana), bzef!! (troppo), tafut (sole), non capisco dove abitano, non c’è niente apparte un monte di detriti, le donne hanno il mento tatuato con una linea verticale che parte dal labbro inferiore e termina al centro del mento e due linee puntinate di fianco, prima di salutarci ci chiedono di fotografarle, è un cosa che piace tantissimo, queste foto non le vedranno mai perché qui non c’è indirizzo ma piace l’idea di poter viaggiare anche se solo come immagine. Fa caldo, ma siamo organizzati bene con acqua e the, si prosegue lungo un infinito rettilineo dove nel punto più verde incontriamo una mandria di mucche, finalmente alle nostre spalle sparice la montagna di Aouli, in realtà un altopiano, arriva la deviazione per “barage” , un pastore ci conferma che siamo sulla via giusta, poi troviamo una zona di giunchi dove ci sono due accampamenti di pastori, l’Ayachi è sempre nel solito punto, ma lo sfondo a nord scorre e le nuove montagne si avvicinano. Un pastore con figlio ci dice che mancano 20 km al godron (la strada asfaltata) per essere sicuro che abbiamo capito, telefona al fratello che parla francese che ci conferma la distanza. Con il calare della sera è uscita anche un po’ di brezza, incontriamo un cimitero nel deserto fra grandi rocce granitiche , sembra una necropoli antica, ma in realtà è difficile capire perché anche le sepolture recenti sono fatte alla stessa maniera. La pista è diventata larga, a sinistra in lontananza si vede la polvere dei camion che vanno alla grande diga, poco dopo incontriamo il primo villaggio e un pastore che ci vuole ospitare, cala il sole quando incontriamo i primi piloni dell’elettricità, in una pozza vediamo un gruppo di tartarughe. E’ notte quando raggiungiamo l’asfalto, questa è un arteria importante per i trasporti marocchini. A nord vediamo le luci di Itzer e a sud di Zeida, la nostra meta che ormai dista solo cinque chilometri, che però sono i più antipatici e pericolosi per il buio ed il traffico. Entriamo nel centro di Zeida che sembra Las Vegas è un altra dimensione, luci, musica e tanta gente, lungo la via centrale ci sono decine di ristorantini che grigliano carne di montone, sono le dieci abbiamo percorso i sessanta chilometri previsti, ci fermiamo nel primo alloggio che troviamo, sistemiamo Tambone che nel frattempo si è spolverato il basilico dell’aiola poi si mangia e si va al cyber.
   

Marted?¨ 22 Aprile 2008 – Aouli – Marocco

   

colline

agata

fioritura

Vista

iguana

colori

papaveri

frutteto

Lasciamo il villaggio all’arrivo del sole e iniziamo a salire verso la montagna di Aouli, il massiccio principale e preceduto da una serie di piccole colline di roccia verde, ci sono tanti affioramenti di minerali, Malachite, Azzurrite, Agata, Quarzo e qualche cespuglio di ginestra. Il massiccio ha rocce simili alla Cattedral, si sale ripidamente e in breve tempo siamo sotto una parete verticale che precede la vetta, nelle fenditure ci sono numerosi nidi fra cui uno di falco pellegrino. Il viottolino friabile che porta sotto la parete nursery è puntellato di piccoli papaveri viola, fra le rocce c’è una fenditura che porta sulla vetta, superiamo il passaggio impegnativo e poi un tratto affacciato nel vuoto reso più stabile dalle “corde contorte” dei cespugli di rosmarino e finalmente la vetta che in realtà è un altopiano che si tronca improvvisamente verso il fiume. Dalla “spianata” la vista è favolosa, sotto di noi l’oasi e il villaggio, a est la stretta e profonda gola rossa che scompare serpeggiando verso il deserto, mentre a ovest lo sguardo si perde nelle vette innevate della catena dell’Ayachi dopo aver incrociato le miniere di Aouli, Mibladen e il lontano abitato di Midelt, più a nord il sole si specchia nell’ arido e metallico deserto di piombo che attraverseremo domani, poi piccole montagne colorate e oltre, confuse nella foschia, le vette del medio Atlas. Siamo avvolti dal silenzio c’è solo il fruscio del vento che muove i fienelli, fra le rocce scorgo un grosso rettile a metà strada fra una lucertola e un iguana che si fa fotografare tranquillamente. Attraversiamo un tratto di altopiano e poi iniziamo a scendere un viottolino seguendo le tracce delle capre che stanno pascolando più in basso custodite da un pastore che ci tiene sott’occhio. E’un pastore nomade che si sta spostando con il gregge, mi offre l’acqua e mi accompagna per un tratto indicandomi una via altrimenti invisibile che conduce a una fontana scura circondata da rosmarino, che sbuca improvvisa nella distesa di roccia, sembra di essere nella canzone del servo pastore, come se De André sia passato da qui scendendo dal Supramonte.
Nel terreno spunta tanta Agata e grandi blocchi scuri di rocce vulcaniche apparentemente identiche a quelle dell’Etna e poi grandi accumuli multicolori di quarzo. Riattraversiamo le colline roccia verde e poi si entra nell’oasi. E’ un’oasi con forme e profumi familiari, ci sono tanti albicocchi, peschi e olivi e campi di grano arrossiti dai papaveri, sotto i frutti c’è un complesso reticolo di canali di irrigazione e un’infinità di piccole chiuse per regimarne le acque. Le piante sono stracariche di frutta purtroppo ancora acerba, accanto al fiume gli ontani e le canne prendono il posto del frutteto e vengono usati per fare i travi e i cannicciati per i tetti delle abitazioni.
Il sole è già tramontato quando vado a prendere Tambone che è stato tutto il giorno a pascolare vicino al fiume del villaggio, ma lego male la sella e tombolo giù a fava sotto lo sguardo divertito di tutto il paese.

Luned?¨ 21 Aprile 2008 Mibladen ‚Äì Aouli – Marocco

terra rossa

vecchie miniere

rane

fiume

case

quarzo

oasi

Siamo chiusi a chiave nella casa fortezza, il vento è calato e c’è il sole però i padroni di casa dormono. I fratelli hanno chiuso a chiave tutte le porte, anche quella della loro camera. Finalmente si esce, Tambone è iper agitato per il vento, è schizzato, scalcia, non ne vuole sapere del tagrart. Carchiamo alla meglio, salutiamo i due generosi ladroni e ci avviamo sulla strada per Aouli.
Per fortuna è una bella giornata e non c’è il vento di ieri, la strada è godronata, attraversa un paesaggio arido di colline rossastre dove ogni tanto si incontra qualche pastore, man mano che si scende il vento scompare, lungo la strada scorre un torrente dove cantano numerose le rane. Ogni tanto si vede qualche galleria e discarica di miniera abbandonata. La strada scende sinuosa fra le gole aride, dopo tre ore di cammino incontriamo il oued Molouya, confine geografico dei nomadi dell’Atlante. Il fiume è ricco d’acqua, lo attraversiamo su un vecchio ponte di travi di legno che risale ai tempi della miniera, poi proseguiamo lungo l’altra sponda. È una gola alta e molto suggestiva, le montagne sono formate da rocce stratificate in cui si individuano bene i filoni dei minerali, lungo le sponde del fiume sono numerosi i tamerici, ci sono anche piante di capperi. Continuiamo lungo il corso del fiume dove si vedono numerosi piccoli pesci. Dopo un’oretta di cammino iniziamo a trovare le prime case di questo villaggio abbandonato. Ci sono decine di case in pietra semi distrutte che salgono sulla montagna come in un presepe diroccato, in tutto questo abbandono spicca il cartello pubblicitario di un’aranciata dai colori brillanti. Un cane sopra un pilastro di cemento ci accoglie all’ingresso del centro di quella che un tempo veniva chiamata la piccola Parigi. Le strutture della miniera sono imponenti ed estese su un area di diversi chilometri, nel centro del paese c’è un grande ponte in ferro alto una ventina di metri che attraversa il fiume e collega le gallerie che si sviluppano sui due lati, con la torcia entro in quella a nord che nell’aspetto ricorda il livello di – 54 del Ginevro, è molto ampia e dentro ha una estesa ferrovia che si perde nel ventre della montagna. Il paese è praticamente disabitato, qui all’inizio degli anni ottanta vivevano più di diecimila persone richiamate dalle miniere di piombo, fa impressione vedere dal nulla apparire questo agglomerato di “modernità abbandonate”, negozi, il cinema, la centrale telefonica, viali alberati, giardini, tutto in degrado, ci sono decine di porte blindate e saldate, su entrambe le sponde del Mouloya tante case inghiottite da una vegetazione anomala di piante importate come i pergolati di vite che testimoniano la presenza francese. Si lascia il fiume, la strada sale fra grandi colline di scarti minerari e regala grandi paesaggi. Troviamo una montagna bianca, in alto il villaggio di baracche dove viveva gran parte della manovalanza marocchina. Sotto come in un miraggio, intorno ad un ansa del Mouloya una grande macchia di verde intenso nel deserto di pietra, e a fianco il piccolo villaggio di Aouli dominato da una grande kasbak degradata. Il villaggio esisteva prima della miniera e gli è sopravissuto con una popolazione dimensionata ai prodotti che riesce a fornire l’oasi. Sembra un posto fuori dal tempo, armonico e vivo con le donne che lavano al fiume e gli asini che vanno e vengono fra l’oasi e il villaggio, tutto dominato alle spalle da una montagna magica, di rocce verdi e rosse, domani ci fermiamo qui è un posto che merita di essere conosciuto bene. Ci viene incontro Said offrendoci ospitalità, facciamo un giro nel villaggio avvolto nelle ombre lunghe della montagna che ora è diventata rossa nell’ultima luce del giorno e poi andiamo nella casa dove ci stanno aspettando. E’ una casa grande con una corte interna che ha un piccolo giardino, le mura sono di fango e paglia e il tetto di argilla poggia sui travi ricavati dagli alberi dell’oasi. Alì, il figlio maggiore, è un ragazzo di 23 anni che in casa viene venerato come un semidio perché conosce il francese, il tedesco e l’inglese, ha un cervello vivace, raccoglie l’agata sulle montagne qui intorno per conto di un tedesco che lavora le pietre a Monaco di Baviera, ne raccoglie 20 quintali, poi fa venire qui un camion e porta il bottino a Marrakech. Mi parla con orgoglio dell’identità Berbera, dell’antichissima scrittura Tamasir: “Questo è un anno estremamente importante per la gente perché per la prima volta nella storia del Marocco nella scuola si insegnerà la lingua Tamasir e la vera storia del Marocco, non quella degli arabi scritta dagli arabi, la storia del popolo nomade che da sempre abita il Marocco” dice “il problema è che i berberi non andavano a scuola perché avevano da lavorare e gli arabi sono diventati i padroni del paese con un’ amministrazione scritta e gestita in arabo e insegnando una storia di parte, ma grazie ai berberi che hanno studiato e sono arrivati vicino al potere oggi si riscrive la storia e gli arabi sono obbligati a conoscere la nostra storia, e allora tutto cambierà“ afferma fiero.
Mi viene in mente la cena fatta un mese fa ad Anarghi con una coppia di Marocchini Arabi di Casablanca, contrariati per questa novità scolastica che secondo loro avrebbe creato solo confusione e rallentamenti nella scolarizzazione del paese.
   

Domenica 20 aprile 2008 Asfalo – Mibladen

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Alle 5 e mezzo entra la luce e ci si alza, fuori c’è una gran ventolata, dopo due settimane di vacanza Tambone, suo malgrado, ricomincia a marciare portando il tagrart. Partiamo in carovana, noi con Tambone, Moha e la moglie, che stanno andando a Rich dove c’è la tenda della famiglia di lei e Hssein che va al souk di Midelt a fare compere. C’è un vento che porta via e i muli sono agitati, lungo la pista ci sono tante persone in cammino verso il souk. Entrando a Midelt dai viottoli col ciuco sembra di arrivare in un posto nuovo, si passa dalle vie secondarie, compriamo il grano per Tambone, poi salutiamo Hssein e ci facciamo accompagnare da Moha sulla pista per Mibladen. Bisogna passare dalle vie secondarie perché i vigili non vogliono che gli asini passino dalle vie della città. Ci fermiamo al souk per mangiare qualcosa e qui incontriamo Mohammed con cui ero andato a recuperare Tambone due settimane fa. Mangiamo insieme nel souk sconvolto da un vento violento e poi ci salutiamo. Camminiamo sulla pista asfaltata in direzione delle famose miniere di Mibladen, dalla strada passano sempre le stesse tre macchine che fanno da traghetto tra il villaggio e il souk. Dopo un paio d’ore di strada rettilinea su un altopiano arido e rosso costellato da cantieri di escavazione entriamo a Mibladen. Arrivando è un villaggio fantasma, grande, con tante case e villette in stile francese quasi tutte abbandonate, è il classico paese nato per la miniera e morto con la miniera. Superata la zona un tempo abitata dagli europei si incontra un recinto che delimita una sorta di medina dove abitavano i minatori marocchini. Veniamo avvicinati da un omino baffuto che ci vuole vendere minerali, ci tampina e vuole portare il ciuco a casa sua che dice essere sulla montagna. Attraversiamo il villaggio, è quasi tutto abbandonato ma un po’ di abitanti ci sono, riappare il tipo di prima che ci vuole ospitare, mi vuole assolutamente far vedere dei minerali. Ci porta in una delle villette più belle, lego il ciuco e vado a vedere l’esposizione di questo mercante che è veramente molto bella. Raccoglie pezzi di tutto il Marocco, minerali e fossili, compresi alcuni tarocchi. Serena mi chiama, Tambone è steso in terra con tutto il carico e la corda che fissa la sella sotto il collo lo sta facendo soffocare. Taglio la corda mentre arriva un donnone enorme e incredibilmente rapido che in un attimo libera il mulo dal carico e poi lo tira su. Porto Tambone dentro il recinto della villa e il donnone mi fa vedere come si fanno i nodi che si sciolgono velocemente. Nel bel salottino della villa ci prendiamo il the, il mercante ha capito che con noi affari ne fa pochi e cambia subito la versione sulle distanze: prima ci consigliava di dormire qui perché Aouli è troppo lontano, ora dice che conviene raggiungerla perché lì c’è meno vento. Andiamo a vedere le miniere di galena che si trovano proprio all’ingresso del paese, sono scavate nella roccia rossa con tante grandi gallerie tutte in fila, grandi tanto da poter fare entrare dei camion e si perdono nella montagna. All’interno di queste grandi caverne artificiali ci sono ancora ben evidenti i filoni del minerale. Poco più avanti ci sono grandi accumuli di azurite e malachite e poi ancora altre gallerie. In realtà è un’estensione di molti chilometri disseminata di tanti cantieri per lo più a cielo aperto. Cantieri, discariche e villaggi di baracche si susseguono a perdita d’occhio. Come succede sempre nelle miniere abbandonate ci sono tanti ex minatoriche continuano a scavare alla ricerca di pezzi pregiati per i collezionisti, in questa zona cercano soprattutto la vanadinite rara e spettacolare con i suoi cristalli rossi. Rientriamo alla casa museo, c’è un gran vento, chiedo se c’è la possibilità di dormire qui a Mibladen, alla fine dopo una serie di ordini e contrordini rimaniamo a dormire qui. È una casa stranissima, tutta blindata, tutte le stanze sono piene di minerali e fossili c’è anche un garage dove ho messo la sella strapieno di geodi in costruzione. Madani e suo fratello (chissà se sono fratelli per davvero) sono lo stereotipo del mercante arabo, raccontano un sacco di balle e si contraddicono a vicenda, però alla fine sono simpatici e gentili e poi con questa ventolata dormirre qui c’ha fatto davvero comodo.
   

Sabato 19 aprile 2008 Midelt – Asfalo

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Chiudiamo gli zaini e lasciamo l’albergo con grande soddisfazione del nonno. Dopo un po’ di contrattazioni troviamo un pick-up che ci porta fino a Tizouite, da qui un viottolo in due chilometri ci porterà a Asfalo. Veniamo “braccati” da una ragazza che ci porta a casa e ci offre lenticchie e the. Ha la valigia pronta e vuole andare in Italia o comunque in Europa, è gentile e premurosa, ma anche molto agitata, vuole proprio andare via, sa che siamo gli italiani col mulo e sperava che potessimo darle una mano a partire. Ci salutiamo scambiandoci comunque gli indirizzi. Dopo una mezz’oretta di cammino con gli zainoni arriviamo alla casa, lasciamo gli zaini e accompagnati da Hssein andiamo a salutare Eto e il resto della famiglia alla tenda. La tenda è sempre un posto magico e rilassante, con il focolare acceso e la luce che filtra da tutte le parti. Facciamo merenda, poi Eto va a dare il cambio a Moha che è alla montagna con il gregge. Rientriamo verso casa con i due fratelli, poi Moha mi porta alla collina della terra rossa dove ci sono tanti geodi. Quando fa buio rientriamo, lui va alla tenda e noi si rimane alla casa con Hssein, la moglie e tre delle tante figlie di Eto. Ceniamo con una pietanza mai mangiata in precedenza, una specie di zuppa di latte cagliato con le patate e poi si dorme tutti insieme nella stessa stanza, qui ci si sente proprio parte di una famiglia.
Non sono neanche le nove e siamo già tutti a letto, qui non c’è l’energia elettrica e tutto è regolato dalla luce del sole.
   

Venerd?¨ 18 aprile 2008 Midelt

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Dobbiamo andare a prendere Fatima ad Asfalo, sembra impossibile ma nessun tassista conosce Asfalo. Alla fine di una trattativa svenante si parte, arrivati a Tattouine il tassista ci vuole scendere dicendo che la strada finisce lì, altra trattativa e si riparte “n’est pas logique” ci ripete e si ripete a nenia. Si ferma tre volte dice che lui non è mai venuto qui e nemmeno nessun taxi, che la strada è pericolosa (è una strada sterrata). Pensavo al solito teatrino, ma questo è veramente spaventato, dice che siamo matti e che vuole tornare indietro. Arrivati alla fine della pista andiamo alla casa e il tipo ci segue bisbigliando continuamente: “n’est pas logique”, attacca anche qui la nenia, ma viene chetato da Moha da qualcosa di simile: “oh pigliati il the e un me rompe’ i coglioni”. Colazione e si parte, Fatima è tutta contenta di risparmiarsi tre ore di mulo col pancione. Arrivati a Tattouine il tassista si rianima, diventa brillante, carichiamo un tipo che viene a Midelt a cui racconta tutto esaltato l’avventura incredibile, paragonabile a un Portoferraio – Nisportino. Arriviamo all’ospedale ma non c’è il dottore, il re è venuto all’ospedale ha visto che le cose non andavano bene e ha fatto pulizia. Venerdì prossimo Inschallah ci dovrebbe essere il dottore.
In serata parte Parlamento il forum di Elbaeumberto e domattina si parte anche noi.
   

Giovedi 17 aprile 2008 Midelt

  Sono quasi due settimane che siamo qui, per fortuna il tempo è brutto e rende meno pesanti queste giornate statiche. In realtà scrivere mi piace e il tempo scorre veloce, è inviare il materiale che diventa svenante, per fortuna che Serena mi sbologna un sacco di cose.
   

Mercoled?¨ 16 aprile 2008 Midelt

 
E’ dal primo giorno a Midelt che cerco di entrare nella biblioteca, cerco delle carte con indicate le piste di montagna per ricostruire più esattamente possibile la traversata dell’Atlante. È un centro bello il responsabile che mi mandava sempre indietro con mille scuse stamani è tutto gentile e servizievole, prima non si poteva perché c’era il re. In realtà è un centro polifunzionale molto bello con una scuola per disabili, una sala conferenze, un museo e una grande biblioteca, peccato che i libri sono tutti sotto chiave esposti come cimeli e le carte non si possono vedere, però ci danno dei dolcini boni, probabilmente avanzati dai festeggiamenti reali.
Il responsabile del centro tesse grandi lodi al giovane re che sta rimodernando il paese e che aiuta i Berberi. Dopo mezz’ora da guida turistica col disco, comincia a venir fuori l’orgoglio Berbero, ma l’arrivo di due pancioni baffuti rovina tutto facendolo tornare cerimoniere senza opinione.
Mi sposto verso un cyber nella speranza di riuscire a spedire, appoggiati a un muro bianco is mimetizzano due ragazzi europei occhi spenti e bracci tatuati, sembrano meduse sciolte al sole.
Mi rattrista vedere che gli europei che si incontrano o sono inquadrati nei gruppi organizzati oppure sono alla ricerca di droghe. Il fondamentalismo islamico per come lo vedo io da qui è un movimento “intellettuale” lo si respira a volte nei cyber, sicuramente non fra i contadini o i pastori e trae forza da questi esempi sciatti di occidente, e sona più o meno così: “guardateli, pecoroni o larve”. Sicuramente se fossi un ragazzo di una città araba ne sarei affascinato.
   

Marted?¨ 15 aprile 2008 Midelt – Tattouine – Asfalo

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Alle 7 e mezzo la moto è tutta linda davanti all’officina che ci aspetta, giro di prova e si parte, a parte i freni funziona tutto.
Prendiamo la via per Tattouine e ci fermiamo al convento dei frati  francescani appena fuori dal centro. E’ un bel posto con una piccola chiesa, architettura da kasbak, chiacchieriamo un po’ con un frate francese, che ci parla della tolleranza della gente barbera e di come siano inseriti nella comunità locale, molto diversa è la situazione nelle zone arabe, i frati conservano gli arredi e i documenti dell’ ex convento algerino di Tibhirine, mi colpisce la lettera testamento di Christian de Chergé, uno dei sette frati uccisi dagli integralisti algerini nel 96, che ho voluto ricopiare integralmente dentro Posa di Sole. Lasciamo il convento e ci dirigiamo verso Tattouine, la moto è scarsa di potenza e quando si trova salita e fango Serena deve scendere, la cosa più divertente sono i guadi. Andiamo in direzione di Asfalo, lasciamo la moto dove finisce la strada e prendiamo il viottolo, la tenda non c’è più è stata spostata, andiamo alla casa dove ritroviamo Moha che sta arando con i muli e Hssein che cava patate. Si chiacchera un po’ e ci si da appuntamento a venerdì per accompagnare Fatima, che è incinta di otto mesi, all’ospedale per la visita ginecologica con un taxi, altrimenti sarebbe andata con il mulo insieme al marito.
L’idea è di andare a vedere le miniere di Mibladen, ma troviamo il motore con la ruota bucata e quindi bisogna spingere per una ventina di chilometri. Lungo la via incontriamo Eto e la nuora con gli asini che stanno andando a fare la legna, la tenda è stata spostata vicino a una sorgente  più in alto verso la montagna per essere più vicina ai pascoli. Dopo un paio di ore arrivo a Tattouine, dove ho la fortuna di incontrare Lassen, che vista la situazione mi viene incontro e mi dice di seguirlo, è un uomo gentile dalle mani enormi, ha una bella casa circondata da meli, con calma e abilità ripara la camera d’aria ormai maciullata, dà fuoco al mastice con l’ accendino e poi ci mette le toppe, mi spiega che lui è il meccanico di tutti a Tattouine, fa un lavoro egregio che gli porta via tanto tempo. Lassen è un Marocchino anomalo, mi sembra un contadino nostrano preciso e orgoglioso della sua campagna che è tenuta benissimo. Dopo una sempre gradita merenda rifiuto l’invito a rimanere nella bella casa fra i meli, si riparte ma dopo qualche chilometro ribuco. Rientro a Midelt che il sole ha già posato.