AuthorUmberto

Marted?¨ 25 Marzo 2008 Tarzoute ‚Äì Tisli

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Sveglia all’alba, colazione, rifaccio il tagrart e si parte, stamani Tambone non va, la prima mezz’ora è una battaglia poi si stufa di fa’ sciopero e si comincia a camminare di buon passo. La campagna è dolce, siamo alti quest’altopiano in pieno inverno è coperto dalla neve ma è un ambiente molto più abitabile rispetto a quello dei giorni precedenti, lo si vede dalle case che sono molto più numerose e dalle mucche che qui possono vivere, la mucca è una risorsa enorme per una famiglia ,vuol dire latte tutti i giorni. Qui la terra è chiara e di conseguenza anche le case hanno lo stesso colore, nel terreno c’è tanto quarzo. Arrivati ad un villaggio vedo in alto la piccola scuola, mi fermo anche per chiedere informazioni e vengo accolto da un giovane maestro di una prima-terza elementare dove ogni bimbo al mattino porta un po’ di legna per la stufa. La scuola è mandata avanti da due ragazzi di città  che ci invitano a prendere un the, sono contenti di parlare con qualcuno non del villaggio, loro sono di città, parlano arabo e non riescono a integrarsi con la gente Berbera dei villaggi, il vero problema è che qui nessuno sa l’arabo, è come se da noi il programma scolastico venisse svolto in bulgaro. Anche qui parliamo di Base Elba ai bimbi, in Berbero, in Arabo e in Francese. Ogni volta che riparto da una scuola mi sento pieno di energia positiva, per l’energia dei bimbi e per l’entusiasmo sognatore di questi ragazzi i maestrini  senza calci in culo  mandati al “fronte” dove nessuno vuole andare, insegnanti per passione e vocazione.
La strada prosegue salendo fra boschi di piccoli lecci, spesso lascio la via principale e taglio per le vie dai legnaioli, anche Tambone sembra divertirsi di più nei tornantini ripidi disegnati fra i tronchi. Il paesaggio cambia, ora siamo circondati da montagne nere, vicino ad un torrente incontro una carovana di muli carichi di legna  mandata avanti da un gruppo di ragazze che mi invitano alla loro casa, ci sono tante donne sole in queste zone anche perché molti uomini vanno a lavorare in Europa o sulla costa atlantica marocchina, mandano avanti la “baracca” e sono molto più intraprendenti e spavalde delle donne dell’Alto Atlas.
Davanti ad un nuovo grande scenario di montagne grigie e verdi che si perdono fino ad incontrare picchi innevati  scendiamo in direzione della valle  dove a fianco del fiume  incontreremo il Godron (l’asfalto) che ci porterà fino al lago di Tislit, anche qui tagliamo da un viottolino fra i pini d’aleppo che ricoprono queste montagne sassose risparmiando qualche chilometro di pista. Arrivati al torrente Tambone si fa una gran bevuta e poi non senza difficoltà riesco a fargli guadare il fiume. La strada sale ripidamente, a tornanti, sotto di noi  una gola stretta e scura con tante cascatelle, mentre le montagne sopra sono brulle e di color grigio chiaro divise da linnee orizzontali di roccia gialla  che sulla sommità  formano delle grandi creste di roccia che fanno pensare a enormi dinosauri pietrificati. Si arriva al passo, lo sguardo si perde nelle rocce brulle che finiscono nel deserto, si sale ancora, ormai la vegetazione è praticamente scomparsa solo qualche cespuglio di “fienello”, fa freddo ed è riapparsa la neve. In alto a sinistra una postazione anti polisario, ci ricorda che siamo vicini alla zona dei saharawi , superiamo il secondo passo, ormai il paesaggio è quello desertico, scendiamo fra rocce brulle, il sole è ormai tramontato quando  lo sguardo  incontra il surreale il lago di Tisli. Vedere tanta acqua in mezzo al nulla sa di magia, scendiamo, mentre nell’assenza di vento cala la notte, sulla  lastra d’acqua gelida e immobile si specchiano pallide la luna e la neve degli alti picchi circostanti. Ci fermiamo sui bordi del lago dove c’è un'unica struttura, un “castello solare” a 2275 metri. E’ un piccolo ostello a forma di kasbak con i pannelli solari sulle quattro torri d’angolo. Siamo gli unici ospiti, il castello è gestito da una signora anziana e da un po’ di attendenti tutti straniti da questo imprevisto arrivo notturno.
   

Luned?¨ 24 Marzo 2008 Tasreft ‚Äì Tarzoute

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Sveglia presto con l’alba, come sempre nelle case dei villaggi di montagna, facciamo colazione in compagnia delle due maestre delle scuole che abbiamo conosciuto ieri sera e poi andiamo a scuola per “Base Elba”. Spiego il progetto alla lavagna e tutti, bimbi e insegnanti, sono entusiasti dell’idea, appena raggiungerò Midelt dove penso di fermarmi qualche giorno per aggiornare testi e foto mi riprometto di far partire in maniera attiva questo progetto che lo “Scoglio” non ha ancora recepito bene. Accompagnati da Hammon e da Hammed  andiamo a vedere le miniere di sale, è questa una zona ricca di minerali, c’è ferro e ci sono tantissimi cristalli compresa la tormalina nera che sembra la nostra. La miniera dista meno di un chilometro dal paese e ha diversi ingressi che si tuffano nella terra rossa, sono miniere collettive, che vuol dire che chi vuole può entrare ed estrarre sale minerale, che poi viene venduto nei souk dei villaggi per uso alimentare  o come fertilizzante. È un posto pericolosissimo soprattutto per le misure di sicurezza inesistenti e per l‘attrezzatura  dei minatori che scendono nel pozzo scalzi o in ciabatte, con una piccola torcia in mano. I  pozzi sono praticamente verticali, con delle friabili scale che scendono giù ripide per un chilometro ,così mi è stato detto, io sono sceso solo per qualche metro poi mi hanno esortato e non proseguire. I cristalli di sale sono molto belli così come i fossili che qui si trovano numerosi. Lasciata la zona estrattiva attraversiamo una zona granitica ricca di pianelli coltivati per raggiungere una piccola cascata, dove incontriamo un gruppo di donne che stanno lavando la lana appena tosata. Ritornando verso il paese attraversiamo un grande appezzamento coltivato con  i meli, dove spicca monumentale un grande noce. Qui incontriamo un anziano signore con le gambe mutilate che carponi stà zappando un orto, ha una faccia serena e ci racconta con l’aiuto di hammon di quando tanti anni fa è caduto dentro la miniera e da solo con la sola forza delle braccia è risalito fino alla superficie e ora con la sua zappa corta corta  manda avanti il suo orto tutt’intorno al grande noce. Rientrato in paese cerco una corda per bloccare meglio la soma , il negoziante è steso al sole e senza spostarsi  mi indica la bottega, come a dire “guarda da te se trovi quello che cerchi poi vieni qui, se no inshallah”. La corda non la trovo, in paese c’è una cote spianata in mezzo alla terra che funge da piazza dove quasi tutta la popolazione  maschile adulta del villaggio sta dormicchiando sdraiata al sole, alcuni a pancia all’aria sembrano morti. Arriviamo a casa giusto in tempo per mangiarsi un galletto ex ruspante, poi nonostante l’insistenza a restare di tutta la famiglia e delle insegnanti ci prepariamo alla partenza.
Partiamo con i due Tagrart cuciti fra loro per avere il carico più stabile, salutiamo e si parte attraversando il paese dove ormai tutti ci conoscono, alla fine del villaggio veniamo raggiunti da Hamida  che ci porta due pani appena sfornati. Dobbiamo prendere la via del fiume perché sul passo c’è troppa neve, facciamo la prima parte del tragitto in compagnia di una famiglia che è in marcia verso un souk , c’è un mulo con in sella un anziano, il capo famiglia è a piedi davanti a tutti  con in mano un grande bollitore, poi ci sono un ragazzo che controlla il mulo, la nonna con una bimba piccola fasciata sulla schiena, la mamma e un bimbetto. Lungo il viottolo che segue  all’incirca il percorso del torrente si incontrano tante rocce sferiche di granito e di minerale di ferro, alcune sono veramente grandi e  tanti cristalli di quarzo, è come se il Capanne e Punta Calamita si fossero impastati insieme, c’è un punto vicino al torrente che sembra il Vallone co’ le Coti della Tavola. Tambone è una scheggia, passare dall’asino al mulo è stata un’ottima scelta. Camminiamo vicino al fiume e ci sono tanti pioppi, dopo una quindicina di chilometri  incontriamo il primo villaggio, arroccato sopra il fiume, deviamo a destra lasciando il corso d’acqua principale  e dopo aver salito una collina riscendiamo verso il torrente  dove dobbiamo guadare  proprio vicino a una cascatella. Il torrente è gonfio e la gola in alcuni tratti è molto stretta , sul secondo guado incontriamo, due donne giovani sul mulo che ci danno conferma che siamo sulla giusta via, poco dopo arriva un gruppone di fuoristrada, sono americani e ci fanno le foto dai loro “gipponi”. Il tempo si fa sempre più grigio e il percorso sempre più impegnativo, bisogna passare un terzo guado, qui c’è tanta acqua e per portare Tambone di là bisogna bagnarsi fino alle ginocchia, per fortuna che come succede sempre, arriva l’uomo della provvidenza, questa volta nei panni di un ragazzo su di un mulo bianco che fasciato nel suo jallabar sembra un cavaliere.  “Provvidenza” prende Tambone per le redini e lo porta sull‘altra sponda  poi porta Serena e infine da un passaggio anche a me. Tuona, Provvidenza ci dice di lasciare la via del fiume e di prendere  la via alta, salendo si vedono sotto di noi gole strette e piccoli laghi, in alto la neve, si vede il villaggio mentre il tramonto dipinge tutto di rosso.  Provvidenza come da copione ci invita a casa e noi naturalmente accettiamo,  mentre stiamo per raggiungere la casa  arriva un fuoristrada è Hammon di Anergui, di rientro da Imilcil, ci salutiamo e poi porto Tambone nella stalla per il meritato riposo. La casa è molto grande, ci sono due stanze con la stufa e una cucina con il focolare, ci ospitano in una stanza con una stufa al centro e il tetto fatto di legno di ginepro. Senza mulo e cappottone Provvidenza si rivela un ragazzino, qui comanda la sorella maggiore, mamma di quattro bei bimbi. Arriva il cugino che ogni cosa che vede la indica e dice  “comme s’appelle ça?”  Per sapere come si dice in italiano, arrivano i  vicini per farsi le foto e poi ci mangiamo il secondo pollo di giornata sgozzato, spennato e cotto nel giro di mezzora. Anche qui  non c’è energia elettrica quindi si va a letto presto  preparando la cuccia accanto alla stufa.
   

Domenica 23 Marzo 2008 Anargui – Tasreft

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E’Pasqua, riaccatizzo la brace che è sopravvissuta al gelo dello notte, è una bella giornata, facciamo una soma fatta bene, e si parte. Tambone va, la valle è bellissima, con le gole scure e le vette tutt’intorno innevate, quasi in vetta un contadino ara con due muli dove ieri nevicava, ci offre the e pranzo, ma proseguiamo. Si vedono dall’alto le gole in direzione della Cattedral.
Siamo in vetta è bello ma fa freddo, il grande plateau si sta liberando dalla neve e i prati vengono fuori. I pastori nomadi sono in gran fermento, stanno preparando i recinti per le greggi, ci sono chilometri di prati acquitrinosi per la neve appena sciolta dove si muovono  lenti  cavalli e cicogne, ci sono tanti greggi di pecore e capre, controllati  pigramente da canoni bonari, qui c’è  tanta erba quindi sono  numerose le pecore  e ci sono tanti agnellini a cui in questo periodo va molto meglio che da noi. Il plateau si estende per diversi chilometri e sarà abitato per tutta la bella stagione dai pastori nomadi, sono figure affascinanti, silenziosi e guardinghi controllano dai picchi rocciosi avvolti in abiti da profeti biblici, sembrano custodi di un mondo senza tempo dove la conoscenza degli elementi naturali, il fatalismo e la fede si alleano per sopravvivere a una natura che può essere assassina. Circondati da picchi che sfiorano i 4000 metri  arriviamo al bivio per Imilchil, il sole cala e arriva il gelo, le case più alte non sono abitate, poco più in basso ci sono tanti meli, un ragazzo ci viene incontro e ci offre ospitalità, si chiama Hammon. Scendiamo verso il paese, man mano che si avanza siamo sempre di più. Hammon mi dice che passano tutti i giorni i turisti, oggi ne sono passati tre con un fuoristrada. Il paese è circondato da coltivazioni di meli, in mezzo ai campi ogni tanto spuntano delle grosse coti tonde di granito. C’è profumo di legna che arde, la casa che ci ospiterà è all’inizio del paese proprio vicino alla scuola. Tutto il paese viene a vedere gli “stranieri col mulo”. La casa è una casa di donne, tante, tutte giovani, con numerosi bimbi piccoli. Come sempre  siamo accolti nella stanza più bella, con la stufa, il pavimento di terra e sul tetto c’è un lucernario con il filo spinato per non fare entrare gli animali. Oltre  Hammon e un paio di ragazzini ci sono solo donne, è così lontano il mondo di Imlil dove le donne non si vedono. Sono belle, alcune con la pelle chiara, alcune scura, ci offrono una sostanziosa merenda, saremo almeno cinquanta nella stanza, poi piano piano rimaniamo noi, Hammon con moglie e figli e le sue tre sorelle che vivono qui da sole. Ceniamo con il riso, ci raggiungono anche le maestre della scuola che sono state adottate da questa famiglia solare e generosa. Hamida, la sorella più grande, sogna di venire a lavorare in italia  ma vorrebbe anche trasformare la casa in un piccolo ostello turistico insieme al fratello, è una ragazza sveglia e capace  aiuta le maestre insegnando loro il tamazight l’idioma locale, l’unica lingua che parla la maggior parte degli abitanti di Tasfref, indispensabile per comunicare coi bimbi. Alla fine della bella serata  si dorme con la famiglia nella stanza della stufa.
   

Sabato 22 Marzo 2008 Anargui – Tasreft

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Il tempo è bello le montagne tutt’intorno sono bianche ed il fiume è sempre più grande, Hammon mi consiglia di attendere ancora un giorno, ma io voglio partire, carichiamo Tambone e poi ci salutiamo, Anargui, la sua Gente e la famiglia Chrifi rimaranno ben impresse nei ricordi positivi di questo viaggio.  
Il tempo è variabile si alternano nuvoloni e squarci di sereno, il mulo si ribella al carico, abbiamo troppo volume due balle di paglia sono troppe sbilanciano il carico, sono passati pochi minuti dalla partenza e sono già fermo, sono circondato da persone tutti sanno del viaggio e lo giudicano un impresa enorme, regalo una balla di fieno e ripartiamo, il passo è lento, il mulo è giovane e si deve abituare e poi il carico è fatto male e risistemarlo lungo la strada è sempre complicato.
Salendo il panorama è molto ampio si dominano i duuar della valle e la gola che si estende verso nord, sul  pendio ci sono solo dei ragazzi pastori con le capre, ci sono delle belle rocce compatte e panoramiche che assomigliamo un po’ alla “Stretta”, decido di montare la tenda qui. Facciamo il  fuoco con la profumata  legna di ginepro e poi ci godiamo lo spettacolo della luna piena che ogni tanto fa capolino da dietro le nuvole arruffate e minacciose, disegnando figure cangianti a volte divertenti e a volte inquietanti. La notte è fredda sicuramente ci sono diversi gradi sotto zero ma il vento gelido tiene lontana la minaccia della neve.
   

Venerd?¨ 21 Marzo 2008 Anargui ‚Äì Beni Mellal – Anargui

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Durante la notte ha nevicato, andiamo a Beni Mellal con il vecchio Toyota Land Cruiser immatricolato italiano di Hammon, così cambio un po’ di soldi visto che per acquistare Tambone sono rimasto a secco. Equipaggio: 3 biker arrivati ieri, una signora accompagnata da “Eta Beta” (un tipo con una torcia collegata con un cavo a una batteria che sembra uscito dalle strisce dell’Eternauta), il fratello del “capo”, Hammon e noi due. Partiamo che sono quasi le otto, lungo la salita inizia a nevicare, raggiunto il plateau completamente innevato i biker, due spagnoli e un’ inglese, decidono di proseguire in macchina fino all’inizio dell’asfalto, fra le rocce  vediamo i nomadi imperterriti sotto la neve, arriviamo al bivio dove si incrocia la pista per Imilchil che inschallah percorrerò domani. Dopo un paio di ore e mezzo la pista sterrata circondata da ginepri innevati incontra l’asfalto e i biker scendono. È uscito il sole e la temperatura si alza velocemente, ci fermiamo a Ouaouizarth dove scende la signora, poi risaliamo una  grande salita e dopo la pianura coltivata che poco a poco comincia a diventare la periferia di Beni Mellal . Si procede a andamento lento, Hammon va sempre alla stessa velocità, pista di montagna o stradone asfaltato non fa differenza. Si arriva in città verso mezzogiorno, ci sono circa due ore prima di ripartire, banca per cambiare i soldi, un bar dove caricare le batterie, compro una borsa, capatina ad internet, compro un vassoio di paste e poi appuntamento davanti alla grande moschea e si riparte. Al ritorno guido io, rifacciamo sosta a  Ouaouizarth, dove si cambia un po’ equipaggio. Riparto e poco dopo incrociamo un pick-up finito in una profonda scarpata. Il mezzo è mal concio, ma il conducente è vivo, si è radunata tanta gente nell’attesa dell’ambulanza. Ripartiamo, lungo la strada ci fermano più volte chiedendoci  informazioni dell’incidente, sono i parenti. Inizia la pista, c’è  tanto fango e poi neve, fa freddo e nevica anche dentro la macchina, sul plateau gli incredibili nomadi che ci chiedono notizie sul meteo, sono stati i primi a salire con le greggi e più giorni di freddo potrebbero creare problemi ai tanti agnellini. E’ormai notte fonda quando arriviamo a casa.
Ceniamo insieme a una famiglia marocchina di città venuta a passare le vacanze sull’Atlas e rimasta bloccata per il maltempo ad Anergui.
   

Gioved?¨ 20 Marzo 2008 Anargui

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Piove, siamo alloggiati su un piccola collina proprio sopra il souk dove la gente ha acceso tanti piccoli falò per scaldarsi. Sembra quasi deserto, ma comunque ci sono parcheggiati un centinaio di animali fra asini e muli. C’è una zona con tante persone, è quella dove si contratta la vendita di pecore e capre. Facciamo colazione e poi insieme a Hammon che oggi ha indosso uno Jalabbar in perfetto stile souk scendiamo al mercato. Nonostante piova le persone stanno tranquillamente sotto l’acqua senza impermeabile, nella zona del mercato delle capre ci sono i pastori con i loro piccolissimi greggi fra le braccia che attendono i compratori, sembra tutto fermo ma in realtà è una continua trattativa e ogni tanto si vede andar via qualcuno con la capra. Appena più in basso sotto una grande tettoia, unica struttura sopravvissuta ai detriti di un’alluvione, c’è il macello dove con cura certosina vengono macellati capre e montoni, è un souk lento e sereno nessuno si agita per il disagio della pioggia e del vento che ogni tanto fa volare gli approssimativi teloni di plastica e di stoffa che proteggono i banchini e le merci. Entriamo nel forno anche per scaldarci un po’, c’è una grande pila di pani crudi divisi con cenci che vengono passati da una donna su una pala al fornaio che li buca con una forchetta e poi li mette nel forno, ne cuoce una quindicina contemporaneamente. Il forno è aperto solo il giorno del souk o in caso di ricorrenze, perché qui il pane se lo fanno tutti in casa. La cosa che mi colpisce di più è il gran numero di persone con la pelle scura, sembra di essere nel cuore dell’Africa. Le donne sono molto più numerose rispetto agli altri souk visti, sono vestite con colori sgargianti e sono molto più intraprendenti, si vedono anche coppie di uomini e donne. Nell’attesa che ci portino a visionare i muli, facciamo la spesa per i prossimi giorni, poi aspettiamo con Hammon sorseggiando un the in uno dei piccoli bar del souk. Hammon è un personaggio a Anergui, lo conoscono tutti e si vede che è “un’autorità” anche perché è uno dei responsabili di un’associazione che ha raccolto dei fondi con cui ha fatto opere di bene per la comunità comprando l’unico trattore della valle e costruendo un piccolo ponte. Nell’attesa assistiamo anche all’estrazione di un dente alla berbera: il tutto dura una trentina di secondi, il paziente si siede su un sasso e il dentista da dietro con una mano gli tiene la testa e con l’altra estrae il dente con una pinza sicuramente multiuso. Mentre siamo nella bottega di un fabbro finalmente arrivano i muli, seguendo il consiglio del nostro amico scegliamo quello più giovane, è un bel mulo, ha due anni, l’occhio un po’ schizzato e il carattere ribelle e da oggi si chiama Tambone. Anche questo sembra un percorso dalla piana delle Paglicce, alla coste di Segagnana fino alla vetta del Tambone. Lo portiamo a ferrare, è la prima volta che viene ferrato alle zampe posteriori e non gradisce, infatti l’operazione risulta molto lunga e soprattutto a rischio calcio. Con le scarpe nuove gli monto in sella per portarlo a casa e dopo un paio di figure da bischero (mi arrampico su una teppa e poi prendo la via sbagliata), imbocco la via di casa e vado a parcheggiare Tambone accanto a Segagnana.
Dopo pranzo scendiamo nuovamente al souk con tutta la famiglia, c’è un venditore di mobili (tre) che è un po’ l’Ikea di Anergui, che attira l’attenzione di Zora. Acquisto l’orzo e altra paglia, poi l’appuntamento con il custode del marabutto. Andiamo a vedere la struttura ricca di simboli dipinti di cui ignoro il significato. Grazie a Hammon la spesa ci viene portata a casa e noi andiamo con Hammed a fare un giro nei duuar bassi. Attraversiamo il torrente e andiamo a vedere due duuar caratterizzati da grandi granai collettivi. Ritorniamo dalla montagna, il viottolino si snoda fra grandi coti di granito scure e rocce verdi, siamo contro corrente rispetto al flusso delle persone che rientrano dal souk a piedi e con i muli, ci salutano tutti è da stamani che vediamo le stesse facce. Il sentiero attraversa terre grigio-verde e poi rosse per poi precipitare verso Anergui. Un ultimo saluto a Segagnana prima che la venga a prendere il suo nuovo padrone, nei prossimi mesi farà sicuramente una vita più sedentaria e la cosa credo la aggradi .
Passiamo la serata con la famiglia Chrifi, Hammon ci spiega che nella valle ci sono tante persone con i tratti somatici dell’Africa nera perché in passato i berberi della valle scendevano fino al Ciad ed al Mali per razziare schiavi che poi venivano fatti lavorare nei campi, poi con il tempo hanno acquistato la libertà e sono rimasti qui come abitanti. Ci racconta che lui è  il discendente del famoso Marabutto di cui oggi abbiamo visitato il santuario e che il su babbo  (il marabutto in carica) è un guaritore, mi dice anche che il marabutto di Zawyat Ahansal era uno dei figli del marabutto “originario” di Anergui e mi conferma che qui la gente è ancora molto legata ai propri santi e l’anniversario del “Santo” è la festa più importante del villaggio. Mi dice che domani il tempo sarà brutto e che non è il caso di salire verso la montagna innevata, mentre la via nella gola è chiusa perchè il fiume ha straripato.
   

Mercoled?¨ 19 Marzo 2008 Anargui

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Mi sveglio che è giorno da un bel po’, il tempo non è gran che ma c’è vento e Serena ne approfitta per fare il bucato, mentre io vado a vedere il fiume che nel frattempo è gonfiato ancora e ha invaso ancora di più la pista. Mi accorgo che all’ingresso del paese, sul lato opposto del fiume c’è un’altra gite ma è rimasta isolata per la piena. Il grano è verde ma comincia a avere le spighe, in alto ci sono i resti di un grande forte francese e tutt’intorno piccoli duuar dominati dai grandi granai collettivi. Ma la struttura che cattura di più l’attenzione è il grande “santuario” del marabutto, molto più grande di quello visto a Zawyat Ahansal è attaccato a una piccola moschea, è il più imponente fra quelli visti finora e mi fa capire ancora di più che in queste valli l’Islam dei “barba” (così vengono chiamati dai berberi delle valli i rigorosi mussulmani arabi delle moschee) è molto lontano. Il culto e le feste legati a questi santi non riconosciuti è quanto mai vivo. Vado in cerca del mangiare per l’asino, orzo non se ne trova perché in questo periodo è merce rara, bisogna attendere il souk di domani. Faccio un giro fra le case nei campi alla ricerca della paglia e incontro tante persone gentili, ma paglia non ne trovo, alla fine torno nella zona del souk e riesco a trovare una balla di paglia, la metto in due sacchi e torno verso “casa”. Segagnana è proprio messa male, ieri ho accennato a Hammon che voglio cambiare animale, lui mi ha detto che domani mi da una mano per l’acquisto al souk, oggi non c’è è andato alla “ville” a prendere i figli più grandi perché domani è festa, è l’anniversario del profeta e a scuola non si va fino a lunedì, non ci incastra niente ma coincide proprio con la nostra Pasqua. Il tempo è diventato brutto, inizia a piovere e ne approfitto per scrivere un po’. La serata la passiamo con tutta la famiglia davanti a un gran tajine è un’ottima occasione per avere informazioni e per mettersi d’accordo per il souk di domani.
   

Marted?¨ 18 Marzo 2008 La Cattedral ‚Äì Anargui

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Mi sveglio che è già giorno, c’è ancora la brace, una raccatizzata e il foco ripiglia, per rimettermi in moto una scaldata fa sempre bono. Colazione, si prepara il tagrart e mentre si sta per partire arriva un gregge di capre condotto da un bimbo, la mamma e la sorella. Il bimbo ci viene subito a chiedere se abbiamo bisogno di qualcosa e se vogliamo acqua, gli regaliamo un barattolo di miele che qui è apprezzato molto. Le capre sopra il ponte si spostano velocemente sul ripido pendio nel lato destro della valle, per ricondurle verso la strada la mamma sale come una scalatrice più in alto delle capre, mentre dal lato sinistro del fiume, che nel frattempo abbiamo guadato, la ragazzina con  mira da cecchino, con una fionda riporta le capre scese più in basso sulla giusta via. La pista sale scavata nella roccia, la carreggiata per noi è ampia, ma per un 4 x 4 è appena sufficiente, se si incrociano due macchine qui è un problema serio. La valle ora è più larga e le montagne sopra di noi sono molto alte, rimane comunque una zona troppo aspra per essere abitata, solo molto più in alto su un piccolo altopiano si vede un duuar con delle costruzioni che sembrano imponenti. Il fiume si sta gonfiando sempre di più e il suono delle sue acque domina nella valle. Dopo un’ora di cammino il sentiero si abbassa verso il greto del torrente dove facciamo il secondo incontro della giornata. Ci sono dei ragazzini a torso nudo che giocano in un’ansa del oued, fa molto caldo e verrebbe voglia di fare il bagno. I bimbi sono parte di una numerosa famiglia che è scesa al fiume per lavare i panni, ci facciamo un po’ di foto e a malincuore decliniamo l’invito a pranzare insieme, la strada è molto lunga e Segagnana oggi ha un passo veramente lento. La via è ombreggiata da grandi lecci che insieme al vento fresco che scende nella valle rende la temperatura ideale per camminare. Il sentiero fiancheggia sempre il fiume in un continuo saliscendi sempre con pendenze dolci. È ormai pomeriggio quando sentiamo rumore di motore, dalla curva esce un quad e poi subito altri due. Sono tre marocchini di Casablanca che stanno facendo un giro fra il deserto e l’Atlante, sono distanti anni luce dai berberi dell’Atlas: sono grassi, vestiti con tute di pelle da motociclista e hanno una riserva di birre fresche nei loro mezzi. Scambiamo qualche chiacchiera e poi, dopo le immancabili foto, ci salutiamo. Mentre si allontanano nella polvere ho la sensazione che siamo più marocchini noi di loro. Il panorama è sempre più bello anche perché c’è una luce favolosa, ora la vegetazione è più arida, ci sono dei grandi cuscini di piante grasse e cespugli spinosi. All’improvviso arriva un gregge di capre che assalta la vegetazione con una voracità spaventosa, e mi rendo conto di quanto sia importante il costante controllo dei pastori. Se un gregge come questo entrasse in un coltivo, in pochissimo tempo farebbe tabula rasa del sostentamento di una famiglia. Il fiume si gonfia sempre di più, quando la pista scorre bassa si ha la sensazione che possa entrare nella strada da un momento all’altro. Ogni tanto si incontrano dei ponti di legno e fango che attraversano il fiume da cui partono degli incredibili viottoli quasi scolpiti nelle imponenti ma fragili rocce delle montagne e conducono a improbabili insediamenti che sono in pratica delle grotte. Sembra di essere in una valle preistorica, ma in realtà in zone così impervie le grotte sono il luogo migliore e più sicuro da abitare. La gola sembra infinita, è sempre più bella, ma Segagnana è sempre più lenta e ormai si sta facendo sera, manca poco ad Anargui e decido di proseguire lasciando alle spalle una grotta sopraelevata dove avremmo potuto dormire. Sulle ultime luci della giornata l’incontro più incredibile: un uomo sta arando un fazzoletto di terra leggermente più in alto del fiume, sul lato opposto della pista. È completamente isolato, alle spalle un’altissima parete quasi verticale, con una grotta in fondo dove vive con la sua compagna e almeno due bimbi piccoli che sono nel campo con lui. Ci salutiamo dalle sponde opposte e proseguiamo la marcia, mentre la donna risale una fenditura della montagna per andare a recuperare le capre disperse fra l’ardita vegetazione. È ormai buio quando percorriamo l’ultimo tratto, il torrente comincia a invadere i tratti più bassi della pista ed è un bel sollievo quando la strada si allontana dal oued. È un panorama di grande suggestione con le vette innevate illuminate dalla luna quasi piena, che senza la minaccia del fiume gonfio ci godiamo appieno. Finalmente arriviamo ad Anargui, ci sono grandi case senza illuminazione e campi di grano poi incontriamo un grande marabutto e poco dopo entriamo nella “piazza del souk”, un ragazzo che ci accompagna fino alla gite Chrifi dove ci accoglie Hammon con una zuppa calda e un hamman quanto mai gradito. Domani bisogna fermarsi di nuovo, Segagnana non ce la fa più, voglio comprare un mulo anche perché dobbiamo fare dei passi impegnativi e il nostro ritmo è troppo lento, comunque a questo ci penseremo domani.
   

Luned?¨ 17 Marzo 2008 La Cattedral -Anargui

 

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Partiamo che è ancora buio, intorno alle 6,30 fa giorno, dai viottolini vediamo scendere i bimbi che vanno a scuola, si incontrano sul viottolo più largo e poi proseguono insieme, prima di arrivare a scuola devono percorrere ancora sei o sette chilometri, mi vengono in mente i racconti di chi andava a scuola a piedi da Pomonte a Marciana, mi sembravano racconti epici, ora mi sembra normale, capisco anche la voglia e l’entusiasmo di andare a scuola legato sì alla voglia di apprendere, ma anche dal risparmiarsi le fatiche di una mattinata di lavoro. Vediamo sorgere il sole dalle vette innevate circondati da scenari naturali vasti e monumentali, montagne innevate, torrenti gonfi e decine di valli che si susseguono come infinite. L’ultima parte del sentiero sale tra il vento e fiancheggia  una serie di grotte che fanno pensare a insediamenti preistorici, poi, quasi sul culmine ritornano i ginepri qui più affascinanti che mai per le forme contorte che li rendono simili a gigantesche ogliere di legno bianco, vorrei parlare con questi alberi dalle forme magiche ed ascoltare racconti di tempeste di vento, alluvioni e frane.
Il culmine è stranissimo, la vetta della Cattedral è un insieme di grandi ciottoloni quasi sferici, come tante bocce sembra di essere sul bordo di un fiume e invece siamo in cima a una montagna, l’orogenesi dell’Atlante è spettacolare a volte le rocce hanno forme “didattiche” e si intuisce bene cosa può essere successo, a volte sono stupefacenti.
Fra ginepri “animati”e “sfere ”di pietra ci avviciniamo alla “Facciata” una parete di oltre 600 metri a picco sulla valle, il progettista del viottolo non so chi sia ma è un mio idolo, ci ha portato su una specie di pulpito di pietra affacciato nel vuoto.
Questo è un vero sentiero escursionistico, nel rispetto della natura, non sono stati tagliati alberi, non ci sono ringhiere né staccionate, né cartelli. Ha toccato i punti più belli e interessanti, (punti panoramici, emergenze geologiche fossili, alberi monumentali) con un tracciato sicuro e dalle pendenze accessibili (sentiero escursionistico, non per merendai). Torniamo a valle, do il convio alla bestia, si carica e si parte, sembra tutto regolare ma dopo nemmeno un paio di chilometri l’asino comincia a tentennare poi s’affloscia come un polpo e un si move più. Si scarica il bagaglio poi a fatica si porta la bestia scarica all’ombra. Dopo un’oretta provo a vedere se va, gli monto in groppa ma non va, allora decido di tornare indietro per cercare un altro animale, Serena prova a salire in groppa e la bestia parte tranquilla al trotterello, allora ricambio programma e decido di partire lungo la gola per Anargui. Il viottolo si snoda stretto e alto lungo una gola stretta e profonda scavata dal torrente, è tutto imponente e precario. Le rocce sono rossastre, stratificate, piegate e spezzate in tutte le direzioni, il corso d’acqua in basso è sempre più gonfio. Qui la natura è padrona e l’uomo intruso, infatti non c’è nessun insediamento. Comincia a scurire, il sentiero scende, trovo una grotta e decido che ci fermiamo qui, il posto è bello la grotta è alta una trentina di metri sul fiume, davanti a un pino, intorno c‘è per fare un po’ di legna, stanotte si dorme in sacco a pelo vicino al foco. C’è parecchia legna secca, ne faccio un po’ di fasci così si alimenta un bel foco che produce una gran brace a cui le scatolette di tonno e sardine non fanno certo onore. È una bella serata, c’è la grotta, il foco e la luna quasi piena e il ciuco che all’orzo preferisce le spine dei rami secchi.
   

Domenica 16 Marzo 2008 Ouaouizarth – La Cattedral

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La pausa internet è finita oggi si torna dall’asino. In questi paesi raggiunti dalle strade asfaltate ci sono le comodità (internet, i negozi, le pasticcerie), ma niente di paragonabile alla magia della montagna. Facciamo la scorta di viveri per noi e per l’asino e si cerca un mezzo di trasporto, al parcheggio dei gran taxi la situazione è moscia, prenotiamo due posti per Tiloguite in attesa che si completi la corsa, cosa improbabile, per fortuna alle 11 compare sulla strada il furgone dell’andata, fa un giro uscio uscio pe’ le vie del paese e poi una volta riempita la stiva si parte: tutti dentro in 21! Il passo è lento, si farà una media di 10, ma si va, siamo quasi sempre in prima perché la salita è ripida e il carico pesante. Arrivati a Tiloguite  ci si ferma per la pausa pranzo, mentre veniamo superati da due pulmini di canoisti spagnoli. Approfittiamo della sosta  per salire sul tetto completamente pieno di bagagli, all’aria aperta è tutto un altro viaggiare si respira la primavera con i campi sempre più colorati di rosso dai papaveri.
Arrivati alla gite ritroviamo gli spagnoli che stanno facendo merenda, ci uniamo a loro, poi, sistemato il bagaglio, andiamo a fare una camminata sulla Cattedral.
Il sentiero parte dalla pista e sale girando da dietro fra pini d’aleppo e lecci, incontriamo due donne che scendono con i muli carichi di legna, la più giovane ha un bimbo sulle spalle. Il viottolo è disegnato a tornanti con i bordi delimitati da sassi pitturati di bianco, danno un bell’impatto estetico, ogni tanto nei punti più panoramici ci sono delle piazzole circolari anch’esse delimitate da ciottoli bianchi. Il percorso diventa più arduo e impegnativo è scavato nella roccia, sopra di noi delle guglie di terra enormi a metà strada nella forma tra le canne di un organo e le torri  della Sagrada famiglia di Barcellona. Il tutto è reso ancora più suggestivo dalla luna quasi piena che è diventata la protagonista in questo cielo blu intenso che precede il tramonto. Saliamo ancora ammirando un grande falcone con le ali bianche, poi incontriamo una parete verticale con tante piccole grotte dove ci sono numerosi nidi di falco, troviamo anche una capra agonizzante, è ferita, ogni tanto cascano anche loro.
Siamo quasi in vetta, ma è anche quasi buio e il sentiero si snoda stretto su un precipizio di diverse centinaia di metri, quindi decido di tornare indietro ma anche di tornare su domattina, il posto è molto bello e merita di essere visto bene. Scendiamo con la notte, ma la luna rende tutto agevole oltre che suggestivo. Arriviamo alla gite intorno alle nove, c’è il fuoco acceso sotto l’hamman, niente di meglio dopo una camminata notturna, domani sveglia alle 5, camminata fino alla vetta della Cattedral e poi partenza.