AuthorUmberto

24 febbraio 2008: Ouazent ‚Äì Ait Brahhal – Marocco

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Ci svegliano i passi furtivi dei bimbi fuori dalla casa, dalla luce che entra dalla finestra sembra una giornata di sole. Appena apro la porta è già pronta la colazione: pane, burro, caffelatte e zuppa di ceci, poi subito a trovare Madame Zara, la mamma di Lahcen e riferimento per tutta la famiglia. Dal tetto di casa spunta un bidone di latta, sopra tre sostegni di legno una lastra, un tappo di pentola e un sasso, è il comignolo della cucina di Zara. Davanti all’ingresso c’è il forno per il pane, entrando la macina in pietra con cui sono stati macinati i ceci della colazione, poi il “salottino” con il camino-cucina e in fondo il letto, le pareti sono di paglia e fango, il pavimento di terra battuta, chiaramente facciamo una seconda colazione: uova lesse, una misteriosa tisana rossa e il classico the. È una donna eccezionale, sarà alta un metro e cinquanta, ma ha un gran carisma, è una vera matriarca rispettata da tutti grandi e piccini. Ci avviamo verso la scuola, “il cinema” di ieri ha fatto notizia e tutti vogliono essere fotografati, quello che fino a ieri sembrava un problema ora si è rovesciato, perfino un’anziana signora mi chiama per essere fotografata, quando le faccio vedere la foto si dispera perché dice che non è più bella perché è diventata vecchia, la sua mimica scatena una grande risata generale. Sono circondato da almeno cinquanta bimbi che fanno di tutto per farsi fotografare, chi salta, chi si fa il cappello col pallone bucato, le bimbe vengono con i neonati legati dietro la schiena, a un certo punto smetto perché si sta creando una calca schiaccia bamboli. Entriamo a scuola che oggi è chiusa, ma ci sono gli insegnanti, vengono da altre zone del Marocco e vivono in un appartamento comune all’interno della scuola. Come sempre il progetto di Base Elba viene accolto con entusiasmo, ma qui viene recepito ancora meglio, sarà perché qui gli insegnanti sono giovani e anche perché in questo villaggio c’è già stata una cooperazione con una scuola belga. Gli insegnanti (tre ragazzi) ci invitano alla terza colazione della mattina che però rifiutiamo perché siamo strasatolli, passiamo una ventina di minuti molto piacevoli, ci parlano della difficoltà di insegnare l’arabo in villaggi dove tutti parlano solo berbero con dialetti diversi da villaggio a villaggio anche nella stessa valle e di quanto gli piacerebbe accompagnare i loro allievi all’Isola d’Elba, ci scambiamo gli indirizzi con l’intenzione di sentirci a breve e cosa molto importante per il progetto mi faranno la presentazione in arabo di Base Elba. Ci propongono mille motivi per restare qui, ma il tempo è bello e voglio partire. Andiamo a casa, carichiamo il bagaglio su Segagnana e salutiamo la famiglia con la solita sensazione di lasciare degli affetti importanti, queste persone così povere che ti danno tutto quello che hanno ti insegnano con l’esempio quelli che sono i veri valori nobili per una persona. Appena ripresa la strada principale subito un incontro tra l’epico e il surreale: un gruppo di donne piegate da dei fasci enormi di legna avanzano a passo di marcia verso il paese, sono sommerse dalla legna verde e si vedono soltanto le gambe. Incontriamo persone e situazioni che fino a due giorni fa ci sarebbero sembrate eccezionali, ma che ora ci sembrano quotidiani, come le donne che lavano ai fossi. Man mano che la strada avanza il paesaggio diventa sempre più di montagna con le vette innevate che ormai sembra quasi di toccarle. Saliamo fino quasi a livello della neve, poi scendiamo in una valle ricca d’acqua dove ci sono tanti piccoli villaggi di cui non si riesce a capire né la posizione né il nome. Ormai siamo nel cuore dell’Atlante, il paesaggio è molto simile a quello che mi aspetto di trovare in Tibet: case di pietra e di fango dello stesso colore delle brulle montagne, abitate da persone vestite di colori sgargianti dai visi bruciati dal sole e capre e pecore che pascolano su pendii impossibili. Il villaggio più alto incontrato finora da un’ulteriore svolta al nostro cammino, la strada seppur stretta e praticamente percorsa soltanto da asini e muli è finita, ora inizia la pista, una mulattiera dal fondo rossastro oggi ricoperta di fango per le recenti piogge. Sopra di noi ci sono degli alti picchi maestosi ma instabili da cui vengono giù coti enormi. Saliamo su un poggiolo fuori dalla zona delle frane e qui piazziamo la tenda. È un paesaggio maestoso siamo circondati da alte vette innevate, in basso alcune case di fango e a fondo valle il villaggio principale con la moschea. Appena arrivati un ragazzino incontrato poco prima ci raggiunge e ci invita a andare ad mangiare e dormire a casa sua, poco dopo arriva anche il padre con la stessa offerta, ringrazio ma decido di rimanere qui, il posto è bellissimo anche se so che sicuramente sarebbe stata un’altra serata di grande umanità. Mentre Serena ricovera l’asina e io monto i tiranti alla tenda dalla macchia spuntano due ragazzine incuriosite dalla nostra presenza, anche loro ci invitano a dormire alla loro casa, forse sono le sorelle del bimbo di prima. È ormai notte quando vediamo arrivare le due bimbe con un barattolo di latte appena munto per noi, ringraziamo e ci diamo appuntamento per la colazione domani mattina. 
   

23 febbraio 2008: Dosher Bahkal ‚Äì Ouazent – Marocco

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La pioggia ci sveglia quando deve ancora albeggiare e continua a cadere abbastanza insistente fino a mezzogiorno. Per prima cosa do da mangiare all’asina che già da un po’ raglia insofferente, poi iniziamo a smontare, giusto il tempo per caricare i bagagli nella shuarì che ricomincia a piovere. Partiamo in direzione del passo che raggiungiamo dopo circa mezz’ora, quando si diradano le nubi bianche si vede vicina la neve. Nonostante il tempo la strada è molto bella e i pendii scoscesi della montagna sono comunque coltivati a cereali con dei piccoli muri a secco che spezzano i punti più ripidi. Vediamo un villaggio con un vistoso minareto bianco, decido di fermarmi per fare provviste. Sono tutti villaggi che non sono segnati nelle mappe, ma alcuni, come questo, sono abitati da più di mille persone, ormai ho imparato che in una piccola casa vivono almeno una decina di anime. Un viottolo sterrato ci porta verso il centro del paese, ci sono tre piccoli negozietti in fila, hanno soltanto the, qualche scatoletta di sardina e delle piccole confezioni di biscotti, nessuno ha il pane perché in questi villaggi ognuno lo fa nel forno della propria casa. Come succede sempre s’è fatta gente, c’abbiamo tutto il paese intorno, chiedo se qualcuno ci può vendere del pane, si fa avanti un tipo dall’aria spavalda che ci invita a casa sua per mangiare, sciolgo Segagnana e lo seguiamo. Attraversiamo quasi tutto il paese per raggiungere la casa di Lahcen percorrendo stretti vicoli fangosi per la pioggia e scendendo alcuni muri dove Segagnana dimostra tutto il suo talento di asina di montagna. La casa ha le stalle sotto dove ci sono due mucche e un asino, e il bagno. La cucina è un “monolocale” esterno alla casa con un focolare sulla parete opposta alla porta. Entriamo, l’ingresso è una grande stanza con il pavimento di cemento, da cui si accede a due camere e una sala, dove come sempre veniamo fatti accomodare. Pranziamo con pane caldo, burro fresco e the. Pioviscola, Lahcen ci invita a rimanere qui per la notte e noi accettiamo ringraziandolo. Usciamo per fare un giro e Lahcen si offre come guida, subito dopo si unisce anche il suo amico Mohammed. Detto così sembra che in questi villaggi siano tutti vagabondi, in realtà non esiste il lavoro come lo intendiamo noi, o meglio non c’è lavoro, tutti hanno una casa, dei terreni da coltivare e gli animali, chi le capre, le pecore e i più fortunati le mucche e un asino o un mulo come mezzo di trasporto. C’è da fare la legna per il fuoco, ma non esistono orari di lavoro, quindi siccome sono persone con il culto dell’ospitalità, se c’è un ospite è normale seguirlo e accompagnarlo in ogni sua richiesta. Camminando incontriamo un sacco di galli e galline sono attratto da una musica “tribale”, seguendo il suono ci troviamo davanti ad un gruppo di bimbi e bimbe che cantano e suonano delle latte.
Scendiamo verso l’oued da un ripido viottolo tra campi di grano, ceci e lenticchie, mandorli e olivi. Lahcen e Mohammed scendono con grande agilità e in poco più di venti minuti raggiungiamo il fiume gonfio di acqua fangosa che scende dalle vette. Ci sono delle piccole rapide che formano dei gorghi, sembra un fiume di cioccolata e mi fa venire in mente Willy Wonka e la sua Fabbrica di Cioccolato, che andai a vedere al cinema di Marciana Marina qualche anno fa con la mi’ nipote. Sulla sponda del fiume c’è un mulino ancora attivo alimentato da una canala scavata dentro un tronco, è molto bello e fiabesco, tutto in legno ad esclusione della macina di pietra. Guidati da Lahcen entrando da uno stretto ingresso andiamo a vedere una grande pozza di acqua trasparente alimentata da una sorgente e poi iniziamo a rientrare anche perché sta arrivando la notte. Arrivati a casa veniamo fatti accomodare in terrazza per una spettacolare merenda pane burro e caffelatte. Contrariamente al solito tutti vogliono essere fotografati, faccio le foto alla famiglia e a tanti bimbi arrivati nel frattempo e li invito a vedere le foto sullo schermo del pc. Mentre si guarda le foto la nostra camera si riempie con più di venti persone, in maggioranza bimbi, ma ci sono anche diverse donne, alcune sono venute col vestito da festa. Faccio un sacco di foto a tutti e poi le guardiamo nell’entusiasmo generale, mi vengono in mente i racconti di zia Alvia di quando andavano a vedere, portandosi le sedie, la televisione nella casa d’Italia a Filetto. Cena in famiglia col classico tajine, tutti ci invitano a rimanere per qualche giorno decantandoci le meraviglie della zona, anche perché le previsioni sono di pioggia. Domani mattina andiamo a parlare con gli insegnanti per Base Elba, poi a vedere una grande grotta e dopo si vedrà… intanto ci godiamo questa ennesima bella serata berbera.
   

22 febbraio 2008: Imi Nifri ‚Äì Dosher Bahkal – Marocco

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Ha smesso di piovere, ma il cielo è grigio e bianco, Segagnana questa mattina è in forma, si avanza in mezzo ai campi coltivati e ogni tanto si incontrano camion e furgoni carichi di persone e animali. Dopo circa sei chilometri la strada inizia a scendere fra l’argilla rossa dove spiccano tanti olivi, alcuni molto vecchi con i tronchi bellissimi. Arriviamo al paese di Taghbalout dove dovremmo trovare tante impronte di dinosauro, leghiamo Segagnana a un palo e iniziamo la ricerca. La roccia rossa come la radiolarite di Monte Grosso è in realtà argilla compressa dove sono rimaste impresse le impronte dei giganti del passato. Le più spettacolari sono quelle dei veloci carnivori a tre e due dita, grandi dai dieci ai quaranta centimetri, mentre quelle degli erbivori, rotonde e molto più grandi, si confondono nella conformazione della roccia. I piani inclinati delle rocce argillose incontrano un torrente dove alcune ragazze stanno lavando, ma vedendomi arrivare scappano per paura di essere fotografate.
Mentre ritorno verso la ciuca un gruppetto di bimbi appena usciti da scuola mi viene incontro, uno di loro con la faccia da primo della classe mi racconta dei dinosauri e mi fa vedere delle impronte che non avevo visto. Serena mi chiama, Segagnana si è buttata in terra con tutto il carico e non vuole sapere di alzarsi, proviamo a tirarla su con la shuarì in groppa, ma non c’è niente da fare, bisogna sciogliere tutto, scaricare e farla rialzare praticamente di forza. Una volta pronti si riparte, attraversiamo un paese molto suggestivo, dove ci sono tante persone sedute a parlare sulle grandi spianate di roccia rossa fra le case, cerchiamo invano un po’ di cibo per l’asina. Proseguendo ci troviamo a camminare insieme a un bimbo che sta portando al pascolo una decina di pecore e un altro ragazzino con un grande asino che ci propone uno scambio alla pari: il suo asino per Segagnana. Di primo impatto sembrerebbe un affare l’asino è grande e robusto, ha una bella sella, una grande shuarì e un bel morso di cuoio, ma guardandolo meglio è così vecchio da essere sdentato. Comunque Abdul si dimostra simpatico e gentile, ci procura il mangiare per Segagnana ritornando in paese a riempire la nostra balla e poi ci propone di andare a dormire da lui dicendo che ha due case, una dove vivono lui e la sorella perché i genitori sono morti e un’altra. Ci propone anche un tajine preparato dalla sorella, però in cambio vuole un passaporto per l’Italia dove vuole andare per fare il muratore, guadagnare tanti soldi e tornare in Marocco per farsi la casa grande. Serena gli chiede perché tutti i marocchini vogliono venire in Italia a lavorare e non in Francia o Spagna e lui risponde secco: “perché lì la polizia ti rimanda indietro!” con un po’ di rimpianto decido di proseguire, sarebbe stata sicuramente una serata interessante, ma è ancora presto, la strada è tanta e il Mediterraneo è lontano. Attraversiamo un piccolo villaggio, poi guadiamo un torrente e torniamo a salire, l’ambiente è sempre più selvaggio e gli olivi sono sostituiti dai ginepri. Anche noi dobbiamo mangiare, in alto sulla strada c’è un piccolo villaggio con le solite case di pietra e fango, ma con un piccolo minareto rosso e bianco.
Vado su cercando qualcosa da mangiare, prima nella direzione della moschea dove chiedo a un anziano dove posso trovare del cibo, ma mi fa capire che lì cibo non ce n’è, mentre mi sposto verso l’altro lato del villaggio rimango colpito dai canti che provengono dalla piccola moschea, sembrano quasi dei suoni tribali e prima d’ora non avevo sentito mai niente di simile. Sopra un tetto ci sono delle specie di piccole tende fatte con legni piegati che sembrano i tipì degli indiani, ma in realtà sono “le abitazioni” di polli e tacchini. Mi sposto verso una specie d’aia dove ci sono due donne sedute su due balle mezze vuote, quando mi avvicino, forse perché ho la macchina fotografica al collo, fanno per andare via, chiedo a gesti qualcosa da mangiare, allora una torna indietro e mi dice di aspettare. È molto anziana, ha due fregi sulla fronte e sul mento e i palmi delle mani completamente tatuati, ma la cosa che colpisce di più sono gli occhi celesti. Dopo poco vengono due donne da due case diverse, una mi porta un pane, l’altra un pane con una ciotolina d’olio, le ringrazio, gli offro qualche dirham per sdebitarmi, ma loro dicono di no, devo insistere per lasciargli qualcosa. Scendendo verso la strada dove Serena mi sta aspettando con l’asina, da una casa esce una ragazza molto giovane, avrà al massimo diciottanni, con un volto bellissimo e un bimbo in grembo tutto fasciato di bianco.
Col pane nello zaino cominciamo a risalire una strada che sembra scollinare su un picco a un paio di chilometri, ma in realtà arrivati lì sale ancora molto. In cima al passo, dove il paesaggio comincia essere da vera montagna, scendiamo in una valle verde alla fine della quale vediamo un altro villaggio. Facciamo un tratto di strada con un gregge di pecore e le sue pastorelle che sono affascinate da Serena, penso che sia la prima volta che vedono un’europea con un’asina. Attraversiamo il villaggio, ogni volta la sensazione di isolamento è sempre maggiore, camminiamo ancora un’ora poi ci spostiamo in un bel pianoro e montiamo la tenda. 
   

21 febbraio 2008: Demnate ‚Äì Imi Nifri – Marocco

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Piove, cosa rara in Marocco, chiudiamo gli zaini e ci prepariamo a lasciare Demnate… ecco perché piove!!! È stata una sosta lunghissima, ma necessaria per fare ordine e mettersi in pari. Vado a prendere Segagnana che, come all’andata, si fa tutto il corridoio dell’albergo trainata come una slitta. Carichiamo il bagaglio nella shuarì e si parte. Mi ero dimenticato quanto si divertono i marocchini a vederci passare con l’asino, partiamo tra le risate generali con una nuvola di bimbi al seguito. Il souk è come paralizzato dal passaggio dell’asino (eppure è pieno di asini), ma non c’è niente da fare siamo la grande attrazione comica del giorno: la gente esce dalle botteghe, esce anche il barbiere e il suo “paziente” col bavaglione, tutti ridono divertiti, anche le persone anziane, solitamente serie e impassibili, approvano con lo sguardo la scelta del “mezzo”, dalla folla spunta un marocchino tecnologico che mi fotografa col telefonino. Attraversiamo tutto il paese con Segagnana che trotta pimpante e sembra contenta di essersi rimessa in marcia. La pioggia aumenta, ripassiamo da Imi Nifri dove iniziamo a salire su una piccola strada, troviamo le indicazioni di un bivacco e ci fermiamo, mettiamo l’asina in un recinto e portiamo gli zaini nella camera. Dopo un paio d’ore usciamo… e l’asina un c’è più! Mi metto subito alla ricerca, ma dopo pochi minuti vedo Segagnana rientrare trascinata dal ragazzo dell’ostello, mi dice che l’ha trovata oltre il ponte, che stava tornando a Demnate. Contenti per lo scampato pericolo andiamo a mangiare tangando per bene l’asina 
   

20 febbraio 2008: Le cascate di Ouzoud – Marocco

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Stamattina andiamo alle cascate d’Ouzoud sono le più grandi del Marocco, le raggiungiamo con un trasferimento di un ottantina di chilometri con un taxi collettivo.
Il paese è piccolissimo, c’è un torrente che scorre placido fra gli olivi secolari dove le donne vanno a lavare i panni, seguendo il corso d’acqua si arriva rapidamente alle cascate, dove il torrente si tuffa nella gola come inghiottito silenziosamente dal vuoto, ma basta spostarsi lateralmente di pochi metri per ammirarne la scenografica bellezza ed ascoltarne il fragore.
Scendiamo fino al fondo valle dai fianchi ripidi per andare a vedere le grandi pozze, è un ambiente ricco di vita e colori intensi che alterna “piscine” a cascatelle, in questa zona ci sono dei piccoli campeggi in questo periodo frequentati solo da pochi ragazzi europei. Piano piano arriviamo sotto la cascata, il punto più spettacolare, il fragore dell’acqua, gli uccelli colorati e le scimmie che vivono sui fianchi della gola fanno molto “Africa”, non è una cascata enorme, ma l’assenza di passerelle e corrimano la rendono molto accattivante. Rientriamo a Demnate per l’ultima notte in questa località che ci ha ospitato lungamente, domani finalmente si parte con “Segagnana”.
   

19 febbraio 2008: Demnate – MAROCCO

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Ci svegliamo presto e camminiamo fino alla Gare Routiere attraversando una città ancora addormentata, le cose vanno un po’ per le lunghe ma alla fine si parte, il tragitto è lo stesso del giorno prima al contrario. Anche Marrakech è in grande espansione, stanno costruendo tantissimo, fanno impressione i grandi cartelli dei complessi in costruzione dietro i quali pascolano le pecore e i palmeti che stanno seccando perché la città sta prosciugando la falda. Dal finestrino vedo scorrere alcuni luoghi attraversati con l’asino.
Arrivati a Demnate il primo pensiero è per Segagnana, le porto un bel fascio di grano verde e poi ci andiamo a prendere il classico the, ce la prendiamo comoda ormai i ritmi marocchini ci sono entrati dentro. Rientrando il ragazzo che gestisce la ricezione mi da un indirizzo a cui tenevo molto, è quello di un professore che sta facendo uno studio sulle comunità Ebraiche in Marocco. Sono incuriosito dalla pacifica convivenza che per secoli ha contraddistinto le due comunità religiose.
C’è molta ignoranza e strumentalizzazione su questi argomenti, però è difficile farsi un'opinione se non si conosce la storia.
   

18 febbraio 2008: Di nuovo a Marrakech – Marocco

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In bus lasciamo Demnate alle sette e dopo due ore si arriva a Marrakech, il solito traffico caotico, cerchiamo il riparatore che ci hanno segnalato, lo troviamo ma è chiuso non si rintraccia nemmeno al telefono. Alla fine di una giornata passata fra illusioni di soluzioni e conseguenti delusioni, intorno alle sei troviamo la bottega del “nostro contatto” che ci procura subito un trasformatore nuovo e ci dice che se torniamo alle otto ci fa trovare riparato anche l’altro, chiaramente si aspetta.
Contenti con la nostra attrezzatura ora completa andiamo a vedere dei pullman, ma a quest’ora non ce ne sono, quindi dobbiamo passare la notte a Marrakech. Rientriamo nella Medina illuminata da una luna sempre più grande e attraversiamo i souk ormai deserti con le grandi porte mobili che stanno chiudendo le vie, cambiando in un attimo tutti i riferimenti, poi attraversiamo la solita bolgia di piazza Djemaa el Fna e andiamo a cercare un alloggio nella via degli alberghi economici, che in questa città si trova proprio nel centro, e troviamo un’ottima sistemazione per la notte, solo poche ore prima di tornare a Demnate.
   

17 febbraio 2008: Demnate – Marocco

Image Giornata passata a cercare un trasformatore alla fine l’unica soluzione è andare a Marrakech, dentro sto marchingegno ci sono tutte le foto i testi e le bozze non posso fare altrimenti.
   

16 febbraio 2008: Imi Nifri – Marocco

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La luce del mattino non lascia dubbi la giornata è di quelle belle, troppo per non essere goduta, decido di fare una camminata fino al ponte naturale di Imi Nifri, una delle attrazioni naturalistiche della zona. Lasciamo il paese e iniziamo a salire sulla collina di rimpetto, ci sono tanti olivi, salendo ci si rende meglio conto della grande espansione in corso a Demnate, è tutto un cantiere. Dalla strada parte un sentiero che arriva a una sorgente dove un gruppo di donne tutte velate sta andando a prendere l’acqua si tratta della (qui) famosa sorgente del Marabutto Sidi Bouyalbakhte che si dice abbia proprietà miracolose, sarebbe bello fare delle foto, ma per i soliti motivi mi limito a qualche scatto da lontano. Sulla strada c’è un posto di blocco, dove gentilmente ci fermano per sapere chi siamo e dove stiamo andando, insistono per convincerci a fermare una macchina e farci accompagnare, ma gli facciamo capire che preferiamo andare a piedi, dopo qualche chilometro arriviamo a Imi Nifri, è veramente suggestivo: una gola stretta e alta sormontata da un grande arco naturale di roccia, ultima fetta di roccia rimasta, la gola è piena di piccoli corvi dal becco rosso che disegnano mirabili acrobazie.
Una scalinata porta fino al letto del torrente dove l’acqua ha disegnato sinuose paraboliche nel calcare bianco, facciamo un giro intorno al torrente e poi andiamo a vedere una grande grotta sul lato sinistra della gola ricca di massicce stalattiti. Dopo iniziamo a spostarci in direzione del grande arco, la roccia è ricoperta dal guano dei piccioni e dei corvi, dal soffitto cola tanta acqua che sembra piovere, è molto suggestivo ricco di stalattiti e fori creati dall’acqua, ricorda gli archi naturali sulla costa Orientale di Pianosa ma la dimensione è molto maggiore e la roccia diversa, risalendo trovo un camminamento dentro la roccia costruito dall’uomo che risale quasi fino al livello della strada, sembra una galleria militare.
Giriamo un po’ per la campagna, le case sono semplici, la sensazione è di viaggiare indietro nel tempo, più che in Africa mi sembra di essere nell’Elba pre-turistica fra galline, asini e strade polverose, mancano i pagliai e le cantine, anche le donne pensandoci bene non sono poi vestite così diversamente, anche se qui hanno la scellerata abitudine di portare la falce al collo, oltre i campi rivediamo le vette innevate dell’Atlante. Ritornando ci fermiamo a vedere la costruzione di una Kasbak finta, la forma è tradizionale ma è fatta in muratura ed è destinata a diventare un albergo, l’intonaco è fatto nella maniera tipica, mischiando merda e fieno, più precisamente pulitura di concimaia con terra rossa e acqua, poi ci mettono anche un pochino di cemento e di ossido rosso, ma questa è una variante moderna, impastano tutto a mano dentro delle vasche e poi la stendono tipo intonaco, il risultato finale è molto bello. Anche i ponteggi sono all’antica coi i pali di legno infilati nei buchi delle mura e il tavolone (uno) appoggiato sopra, qui le norme di sicurezza sui cantieri sono un miraggio e forse nemmeno quello.

Rientriamo in paese a buio e ci prendiamo una macedonia con lo yogurt, la specialità della “nostra latteria”. C’è burrasca il tempo minaccia pioggia e la “corente” traballa, mentre scrivo il trasformatore del computer fa una fumata: è andato.

   

15 febbraio 2008: Demnate – Marocco

Image Oggi è venerdì, per i mussulmani è giorno di festa come per noi la domenica, anche se in realtà qui non è mai tutto chiuso. Incontro lo Sceicco Abdeljalk che mi saluta affettuosamente, lo invito a prendere un caffè e iniziamo a chiacchierare, mi chiede se voglio unirmi a lui, sta andando a Marrakech con Mohammed, il suo cugino-autista personale, per incontrare amici. Mi spiega che uno Sheik deve sempre farsi vedere in giro nella zona di competenza e fuori per mantenersi informato su tutti i movimenti, perché deve saperne sempre più degli altri. Declino l’invito e saluto ringraziandolo per le tante informazioni. Devo spedire tutti gli aggiornamenti prima della partenza, ma oggi internet non funziona, queste giornate di sosta forzata sono noiose pensando a tutti i luoghi interessanti che ci sono qui intorno, ma ci sono degli impegni che devo e voglio mantenere, in attesa di riprovare, giro per i vicoli e vado a trovare un ragazzino che lavora in un microscopico fondo dove prepara frullati di frutta, panini con la frittata e vende pane e altri prodotti alimentari, è uno spettacolo vederlo lavorare, per arrivare al fornello sale su una cassetta di plastica, gira le frittate come un giocoliere, mentre prepara i panini, vende, riscuote e parla con tutti con fare da esperto. Dopo vari tentativi finalmente in serata si riesce a spedire qualcosa.