AuthorUmberto

14 febbraio 2008: Demnate – MAROCCO

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Finalmente spedisco i testi per il sito nuovo che  stiamo preparando, per me è un passo importante, mancano  ancora tante parti, ma la struttura principale è ormai  pronta, grazie al prezioso aiuto di Serena riesco a  spedire e sistemare anche un bel po’ di foto.
Sto cominciando a preparare i primi due “servizi  importanti”: quello sulle zone desertiche del Marocco e  quello sulla traversata dell’Atlante che è appena  iniziata.
Ormai sono in Marocco da quasi due mesi e quello che  inizialmente mi sembrava stranissimo, ormai è diventato  quotidiano: i barbieri ambulanti, le insegne dei  dentisti con i denti cariati, le botteghe dei fabbri con  i mantici a mano, i “predicatori” che chiedono  l’elemosina, i ristoranti dove si mangia con le mani e  si rutta liberamene (ma non si deve assolutamente  toccare il cibo con la mano sinistra!) e gli urlati  richiami alla preghiera del Muezzin che mi sembravano  tutti uguali, ma che ho imparato a riconoscere.
La luna sta crescendo, mi immagino i prossimi giorni con  le montagne innevate illuminate dalla luce bianca del  suo disco magico
   

13 febbraio 2008: Demnate – MAROCCO

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La  giornata è grigia e ventosa, meglio così perché devo  passarla tutta a scrivere.
Serena ritorna con un po’ di dolcini buoni e coi  pantaloni egregiamente rattoppati dal sarto. Segagnana  si lamenta ragliando, forse si sta annoiando per questa  lunga sosta, credo che non sia mai stata così tanto  tempo senza fare niente, comunque se la sta passando di  molto bene, è diventata la mascotte dell’albergo.
Come a Tiznit anche qui si creano degli incontri  quotidiani: la bottega del fabbro dagli occhi a  mandorla, la latteria dove preparano uno yogurt con la  macedonia buonissimo e il bar per il the con le stampe  della Gioconda, La Primavera del Botticelli e la  televisione fissa su un canale di documentari sugli  animali.
   

12 febbraio 2008: Demnate – MAROCCO

Image Siamo qui  da appena due giorni, ma ormai ci riconoscono tutti,  siamo gli italiani con l’asino. Ieri Serena nel mercato  ha individuato un sarto-calzolaio e oggi decidiamo di  affidargli i miei pantaloni strappati che saranno pronti  domani.
Passo quasi tutta la giornata a scrivere, esco che è già  notte e le viuzze del paese sono tutte affumicate dalle  braci dei banchetti alimentari. Dietro un banchetto c’è  un microscopico fondo su due piani, con una scala  stretta stretta ed un soffitto così basso che se stai  dritto batti la testa, però è un posto simpatico con un  ottimo rapporto qualità-prezzo. Prima di rientrare ci  concediamo il classico the.
   

11 febbraio 2008: Demnate – MAROCCO

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Decidiamo di rimanere qui  qualche giorno prima di partire per un lungo tratto di  oltre duecento chilometri nelle zone più isolate  dell’Atlante. Mi devo mettere in pari con un sacco di  lavori e ho bisogno di internet. Compriamo un po’ di  fieno per Segagnana e facciamo un giro per il paese.  Demnate è un paese in grande espansione, la parte antica  è circondata da mura in pisé ed è caratterizzata dai tre  archi della porta principale. Fino alla nascita dello  stato di Israele la popolazione era formata per un terzo  da ebrei che vivevano in armonia con i mussulmani senza  essere confinati nella mellah (il ghetto), come invece  succedeva nelle altre città marocchine. Demnate è il  punto di riferimento per tutti i piccoli villaggi che si  trovano intorno, qui ci sono le scuole superiori, gli  uffici amministrativi e tanti negozi, per le valli  circostanti è un po’ come Portoferraio per l’Elba.
A un certo punto ci troviamo in mezzo a un grande fiume  di persone: è un funerale. Il feretro è una semplice  cassa di legno coperta da un drappo nero con scritte  dorate, ma la cosa che ci colpisce di più è che al  corteo partecipano solo gli uomini. Mentre si rientra  veniamo chiamati per nome, è Youssein l’amico di Hammed  che venerdì ci ha accompagnato nel trekking notturno,  lui è qui per studiare. È strano sentirsi chiamare per  nome in un luogo così lontano da casa, ma è bello e ci  fa tornare il sorriso dopo il funerale.
   

10 febbraio 2008: Ait Flalad ‚Äì Demnate – MAROCCO

 

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Prima  colazione a casa Jabir con uova, frittelle e sckif che,  contrariamente al nome, è di molto bono! È una specie di  budino salato fatto con il latte bollito che, come dice  Fatima, la padrona di casa, serve perché oggi dobbiamo  camminare tanto.
Poi Hammed e Mohammed, che in pratica è l’autista dello  sceicco, ci accompagnano tagliando dai campi alla  “Kasbah Aghoulit”.
Lo Sceicco Abdeljalk ci accoglie nella sala con la  piccola figlia di 2 anni con una pomposa colazione:  dolci, frittelle, marmellata, miele, olive e  l’immancabile the. Davanti a una grande televisione che  riceve un canale europeo.
Il cugino mi racconta orgoglioso la storia plurisecolare  della famiglia e dell’antica Kasbah, l’unica della zona,  è una delle più antiche della regione, mi spiega che il  titolo viene tramandato da padre in figlio ed è il padre  che decide quando e a chi conferire il titolo, sopra lo  Sceicco c’è soltanto il Prefetto della Provincia che è  nominato direttamente dal Re e ha facoltà, in caso di  mancanza, di togliere il titolo. Anticamente lo Sceicco  era nominato direttamente dal Re e la sua è una dinastia  che nasce da nomina Reale. Gli ultimi sei Sheikh  Aghoulit sono stati: Mesoud, Ahmed, Abdelkhalek,  Mohamed, Salah e Abdeljalk l’attuale padrone di Kasbah.
Lasciato il castello di fango torniamo a “casa” per  caricare i bagagli nella schiarì, salutare e partire.  Arriviamo insieme a Zaccaria il bimbo di quattro anni  che da solo con il mulo è andato alla sorgente a fare  rifornimento riempiendo d’acqua due otri più alte di  lui.
Sono  stati solo due giorni ma molto intensi, mi sembra di  salutare gente di famiglia, l’ultimo sguardo è per  Zaccaria il piccolo omino di casa che si prepara a  diventare capofamiglia che mi saluta con portamento da  grande e lacrimoni da bimbo.
Lasciato il villaggio attraversiamo dei campi di grano  verde percorrendo un viottolo per un paio di chilometri  e poi ci inseriamo sulla strada che ci porterà a  Demnate.
La strada oggi è molto trafficata soprattutto da furgoni  che rientrano dal Souk con incredibili carichi di merci  e persone, in lontananza prima si vedono apparire le  balle sopra i tetti e poi i mezzi con la gente da tutte  le parti: sopra il tetto, nei cassoni, sulle balle e  anche spiaccicati sul portellone posteriore.
Nei campi ci sono tante donne che zappettano mentre dai  sentieri laterali alla via scendono asini stracarichi di  frasche di leccio. Arrivati in un tratto pianeggiante  l’attenzione è colta dal rumore di verricello con il  motore a scoppio messo sul tetto di un piccolo cantiere  dove stanno “gettando” un solaio, sarà un 60 metri  quadri ma ci lavorano più di venti persone, anche se in  verità almeno dieci sorseggiano the, che naturalmente  viene offerto anche a noi. Il tempo minaccia pioggia e  l’asina si pianta dopo un po’ di tentativi morbidi gli  tiro du’ calci che Segagnana “apprezza”, come aveva  detto il precedente padrone, infatti riparte spedita.  L’ultimo tratto è in discesa e finisce proprio dentro il  paese, arriviamo assieme alla pioggia.
Decidiamo di fermarci nel primo albergo che incontriamo,  gli spiego della ciuca e mi dice di entrare con  Segagnana. Scarico l’asina e eseguo ma è un casino,  spaventata dalle mattonelle lisce l’asina si blocca e  non vuole entrare, mi viene in soccorso uno dell’hotel,  lui tira e io spingo, la bestia terrorizzata la stiamo  spostando come fosse una slitta, è una scena divertente  anche se un po’ crudele, alla fine del corridoio, in  piazzale finalmente si rilassa e si rimette a camminare.
Oggi c’è la finale della Coppa d’Africa, da buon  africano acquistato vado al bar per vedere la partita,  giusto in tempo per assistere al goal dell’Egitto sul  Camerun che conquista il prestigioso trofeo, per la  gioia di tutti i marocchini presenti.
 
   

9 febbraio 208: Ait Flalad – Tizi Ouahmane – MAROCCO

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Quando  apriamo la porta della camera la luce è già forte, c’era  attesa per questo momento: subito Hammed entra con due  secchiellini di acqua calda e un asciugamano, io col mio  secchiello sono andato a lavarmi nel pollaio, poi dopo  una robusta colazione partiamo come promesso per andare  sulla vetta più alta della zona. Attraversato il  villaggio diventiamo cinque, camminiamo lungo un  viottolino stretto e sinuoso fiancheggiato dal canale  che porta l’acqua dalla sorgente ai campi, contornato da  grandi mandorli fioriti. Dopo venti minuti di cammino  guadiamo un torrente e andiamo a vedere la bella  cascatella di Imuzar che si tuffa in una stretta gola  rossa.
Continuando entriamo in quella che qui chiamano foresta,  in realtà una macchia di piccoli lecci a cespuglio,  escono tre donne, ognuna delle quali con un enorme  fascio di rami di leccio verde, fa impressione vederle  scendere dalla macchia e poi risalire piegate dal peso  del carico. Salendo si domina sempre meglio la valle  Asif con i dieci piccoli villaggi e le centinaia di  grotte, è un posto bello e sconosciuto inesistente sulla  guida e sulle cartine che ho. Mi appunto una serie di  nomi di valli e paesi per cercare di costruire una  mappa. Salendo incontriamo un uomo che taglia la  macchia, ai lecci si uniscono i corbezzoli che in questo  periodo qui hanno le bacche mature, le piante sono tutte  sofferte, è una macchia bassa e rinsecchita,  difficilmente le piante superano il metro e mezzo di  altezza, anche le bacche dei corbezzoli sono piccole  come le unghie delle mani. Arrivati sul crinale, dove si  incontrano chiusi e caprili uguali ai nostri, c’è un  punto (Sidi Busma) che sembra proprio Monte Orlano. Il  tempo diventa più grigio e fa sembrare più vicina la  neve lontana, arrivati al culmine il paesaggio si apre  sul lago del Barrage con le sue rocce rosse.
Hammed è un tombola sassi peggio di Orestino, quando  vede una cote pendicone non resiste e gli dà la via, una  è passata tra un uomo che faceva la legna e il suo  asino. Scendiamo da una strada diversa e prima di  arrivare al paese incontriamo le donne che lavano al  fosso. Il fosso è il punto di ritrovo delle donne, si  sente un gran chiacchiericcio che si miscela al suono  del torrente nel movimento di colori delle vesti e dei  panni stesi. Continuiamo lungo un sentiero che  fiancheggia il torrente principale ricco di mulini ad  acqua ormai abbandonati, di cui sono rimasti le macine e  i canali forzati. In alto nella roccia sono scolpite  centinaia di grotte naturali, probabilmente abitate in  epoche molto lontane e usate dai guerriglieri marocchini  durante la guerra di indipendenza, sono molto belle e  suggestive, ricche di stalattiti e muschi, alcune sono  sfruttate come stalle. Rientriamo a casa nel tardo  pomeriggio, le donne di casa Jabir hanno preparato un  ricco cous cous apposta per noi. Serena monta l’alto  mulo e con tutto il paese spettatore parte alla volta  della sorgente sicura sul mulo che conosce bene la  strada. Fatto rifornimento la mulerizza riparte pei  viottoli di paese.
Prima di cena guardiamo le immagini della giornata con  tutta la famiglia, tutti vogliono essere fotografati,  faccio un sacco di scatti dove sono tutti seri, sembrano  le foto vecchie della famiglia Segnini che Zia Alvia  conserva gelosamente.
Hammed  tira fuori le scatole con le foto di famiglia, le più  buffe sono quelle del babbo da giovane che sembra Jimmy  Hendrix sulla lambretta; ora il babbo fa il camionista  in una cava lontana e a casa non ci viene quasi mai.  Hammed mi da vestiti del babbo e mi vesto da marocchino  fra l’approvazione divertita delle donne della famiglia  Jabir, i bimbi cominciano a tastarmi la pelata, comincia  sempre così, dopo poco è già una grande battaglia  Jabira, Hadigia, Zaccaria, Houssein si scatenano in una  masa a otto mani devastante, il gioco più divertente è  il lancio in alto con l’atterraggio sul materasso, per  darmi più slancio punto i piedi sulla sponda del letto  ma esagero e la schianto, attimo di gelo e poi si  ricomincia…
Hammed insiste sul volere andare a lavorare in Italia e  mi chiede di aiutarlo, ha bisogno di una famiglia  italiana che lo ospiti in maniera da ottenere il  certificato per uscire dal Marocco.
È una “mezzamestola” ma sarebbe disposto a fare  qualsiasi lavoro, mi spaventa questo entusiasmo, dice  che vuole lavorare per mandare i soldi a casa e poi  tornare, ma a pappagallo, è accecato dal miraggio di  1000 euro al mese, comunque anche la famiglia vedrebbe  di buon occhio la cosa. Penso all’Isola e alla  mediocrità sociale e morale, diretta conseguenza del  benessere portato dal turismo.
Finita la cena arrivano Mohamed il fratello di 23 anni  in compagnia di un importante cugino.
La “mia” camera diventa la stanza degli uomini, la  cucina quella delle donne.
Il cugino è nientepopodimeno che lo sceicco di questa  giurisdizione, è venuto a controllare gli intrusi nei  suoi possedimenti, in realtà è molto curioso e ha voglia  di chiacchierare, parla discretamente italiano perché  prima di “entrare in carica” ha fatto per molti anni il  cameriere in un ristorante italiano a Casablanca,  conosce il nome di oltre venti tipi di pizza e un casino  di sughi.
Mi racconta di italiani coinvolti in loschi traffici che  frequentavano il ristorante e di società miste  italiane/marocchine che “aiutano” a raggiungere l’Italia  e a trovare lavoro.
Si parla di tante cose italiane e marocchine fino a  tarda notte, poi lo sceicco mi da appuntamento per  domattina alla Kasbah di famiglia per colazione.
   

8 febbraio 2008: Agadir Bou Acheiba – Ait Flalad – MAROCCO

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Stamattina Paglicce è intero come uno stoccafisso, in  questo stato non può partire, andiamo dal “veterinario”  l’ambulatorio è un magazinetto accanto alla moschea con  un po’ di pinze e martelli e un’inquietante sega. Il  dottore gli fa un incisione con una lametta sulla spalla  sinistra e poi un massaggio col sale, un breve collaudo  e dice che è pronto per partire, ma afferma anche che a  Fes non ci arriverà mai è troppo giovane e poi è un  asino di pianura.
Dalla macchia arriva un boscaiolo con un’asina, si ferma  per il cambio ferri, in brevissimo tempo nasce una  trattativa e facciamo lo scambio che sembra accontentare  tutti, faccio il classico giro di prova, battezzo  l’asina Segagnana e si parte.
Mohamed ci saluta affettuosamente, ci augura buon  viaggio e ci raccomanda di farci sempre ospitare dai  buoni mussulmani che incontreremo lungo il percorso.
Prendiamo la strada della montagna, quella che passa dal  Gran Barrage, la strada è asfaltata, ma non ci sono  macchine, per la verità non ci sono nemmeno altri asini.  Segagnana viaggia tranquilla, la strada cammina sul  margine destro di una stretta e profonda valle, dopo  pochi chilometri incontriamo una prima diga che forma un  lago marrone. C’è un gran sole, ma la strada è  ombreggiata da pini d’aleppo, la vegetazione è simile  alla nostra e la terra rossastra, a tratti quasi viola,  ricorda le miniere del riese. Cominciamo a salire in  direzione del Gran Barrage, una delle più grandi dighe  del Marocco, molto importante per la produzione  dell’energia elettrica e per l’irrigazione della  campagna. Vicino alla diga c’è un piccolo villaggio ed  una scuola, qui la strada lascia il lato destro della  valle e attraversa la sommità della grande diga, il panorama a  monte è superbo: c’è un grande lago azzurro in cui si  tuffano montagne rosse e verdi e in lontananza le vette  innevate, è un paesaggio nuovo, ampio e rilassante.  Percorriamo tutta la diga per poi iniziare a salire  lungo una pista contornata da cisto, rosmarino e pini  d’Aleppo, si sale molto fino al passo che sfiora i 2300  metri.
Dal culmine si estende un altopiano dove incontriamo un  anziano pastore con un piccolo gregge di pecore e capre.  A sinistra si apre un grande panorama quasi desertico  dominato da varie tonalità di ocra, a destra è tutto più  verde e lussureggiante con in alto le vette innevate.  Segagnana in discesa ha proprio un bel passo, scendiamo  velocemente tra colline color vinaccia. Arrivati quasi a  fondo valle la campagna si fa coltivata e di tanto in  tanto il verde è interrotto dalle vesti colorate delle  donne nei campi. Incrociamo qualche asino e poi il primo  villaggio che è poco più di un ammasso di sassi e fango,  ma è il comportamento della gente che è molto diverso da  quella incontrata fino a qui: nessuno si avvicina, anzi  le donne e i bimbi scappano come impauriti. La strada,  ormai sterrata, sembra svanire nel nulla, il paesaggio è  molto bello caratterizzato da grandi piante di olivi, a  un certo punto incrociamo un torrente che forma una  piccola cascatella dove una bambina con un contenitore  di plastica tagliato sta riempiendo d’acqua due otri  poggiate sulla schiena del suo asino. Le faccio qualche  foto suscitando l’ira di un bimbo pastore che nel  frattempo è arrivato con le sue pecore. Da qui il  sentiero ricomincia a salire ripidamente, vengo fermato  da alcune persone, uno è il responsabile di zona che è  stato avvisato del nostro passaggio, vogliono sapere chi  siamo, dove stiamo andando e dove passeremo la notte, la  discussione si prolunga, per fortuna mi viene in mente  di tirare fuori il passaporto e si risolve tutto con un  augurio di buon viaggio. Continuiamo a salire tra case  sempre più diroccate da cui si affacciano bimbi curiosi  e spaventati, è una serie ininterrotta di piccolissimi  villaggi. È difficile trovare un posto per accamparsi,  anche perché i pochi pianelli sono tutti coltivati. Il  sole è ormai tramontato quando arriviamo in un villaggio  straordinario, ci sono delle grandi grotte naturali  collegate tra loro, alcune usate come stalle e sopra un  paese abitato di case di pietra. Anche sotto la strada  si intravedono tracce di centinaia di grotte.
A fianco dell’unica piccolissima moschea della zona c’è  un microscopico emporio gestito da un anziano signore  che si sta preparando a chiudere, gli chiedo se in zona  è possibile montare la tenda o se c’è un alloggio per  noi e per l’asino, mi dice di attendere e chiama a fare  da interprete un ragazzo dall’aria sveglia che traduce:  “ ok à la maison!”. Gli chiedo se devo seguire lui o il  negoziante, subito indica l’anziano, poi gli si accende  un lampo negli occhi e mi dice che si va a casa sua, con  due parole spiega il cambio di programma all’uomo e  andiamo. È ormai notte, entriamo nella macchia da un  viottolino stretto e si inizia a salire ripidamente tra  teppe e saltini, oltre a Hammed, il ragazzo traduttore,  ci sono altri due ragazzini che ci aiutano a portare  l’asina carica in salita, in realtà fanno tutto loro  anche perché Segagnana è molto più decisa e ubbidiente  ai loro comandi. La salita dura una ventina di minuti,  sembra di andare verso il nulla, ma quando la macchia si  dirada un pochino una stellata meravigliosa rende tutto  magico. Ma l’atmosfera di sogno raggiunge l’apice quando  arriviamo alla casa, Hammed apre il portone e entriamo  in casa direttamente con la ciuca, scendiamo la shuarì,  poi attraversiamo un piccolo cortile interno e, fra i  tanti occhi incuriositi di bimbi e donne, entriamo in  cucina. Dalla cucina si passa nella stalla delle mucche  e poi in quella del mulo dove Segagnana troverà il  meritato riposo. Hammed mi offre un bicchiere di latte  appena munto, è caldo e denso, sembra formaggio. Mi  sembra di essere in un sogno, il sentiero fra le stelle  è stato come una macchina del tempo, questa è una realtà  che ho conosciuto solo nei racconti e poi è una casa  piena di donne e di bimbi. Ci invitano a scendere nella  sala dai muri disegnati con fregi rossi che sembrano  graffiti, in questa atmosfera da presepe spiccano come  schegge di futuro la televisione con l’impianto  satellitare e una ragazzina con l’I-pod. L’anziana nonna  fa gli onori di casa, ci fa sedere sul divano e ci porge  una morbida coperta, ha gli occhi giovani e due fregi  berberi tatuati sul mento. Ci gustiamo un ottimo the  accompagnato da noci e biscotti insieme a tutta la  famiglia. Gli racconto un po’ del viaggio e dell’Isola  d’Elba, è un modo di conversare molto diverso da quello  a cui siamo abituati, basato più su gesti e sguardi  piuttosto che sulle parole. Hammed è affascinato  dall’Italia, soprattutto dai racconti dei favolosi  guadagni che si fanno in quel paese e sogna di venire a  lavorare in Italia. Io provo a smontarlo con  argomentazioni varie, per un ragazzo che lavorando un  mese da manovale riesce a guadagnare 50 dirham (meno di  5 euro) un lavoro da 1.000 euro al mese è visto come il  paradiso.
Iniziamo a mangiare, un grande tajine ricco ed  invitante, ho fame e mangio tanto, anche la carne che  insistono per farmela mangiare tutta a me. Racconto  dell’emozione del cielo stellato e Hammed mi dice che,  se vogliamo, finito di mangiare facciamo un giro. Prima  di uscire vado a controllare Segagnana e in cucina vedo  che i bimbi e le donne che non erano a tavola con noi,  stanno mangiando i nostri avanzi… mi sento un po’ una  merda.
In compagnia di Hammed e del suo amico Youssein andiamo  a fare un giro per ammirare la volta stellata, saliamo  fino alla sommità della collina dove ci sono le scuole,  tre edifici con le porte aperte. Entriamo a vedere  queste aule scarne, penso a Base Elba, domani cercherò  di capire meglio, ma qui è veramente difficile stabilire  un contatto anche con la posta tradizionale.
Dopo un’ora e mezzo di suggestivo cammino rientriamo a  casa, ci viene data la stanza più bella.
E mi addormento colmo di gratitudine per la famiglia  Jabir “ i signori della reggia fra le stelle”.
   

7 febbraio 2008: Sidi Rahhal ‚Äì Agadir Bou Acheiba – MAROCCO

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Colazione  spettacolo co’ le frittellone e il caffelatte poi  salutiamo tutti e si parte, Omar mi dice che Paglicce ha  un problema alla gamba posteriore sinistra e che a Fes  non ci arriverà mai. Il ciuco parte col ritmo lento  della sera prima, ma poco prima di Sidi Rahhal Paglicce  drizza le orecchie e parte al galoppo dietro a un’asina,  l’illusione di un ciuco prestante dura solo qualche  minuto poi sarà un costante arrancare. Contornati da  grandi risate finalmente attraversiamo il paese del  marabutto volante, le montagne innevate lentamente si  avvicinano, nei campi il grano ha preso il posto degli  olivi, fa molto caldo e l’asino si lamenta, ci fermiamo  sotto un albero in mezzo a una dolce campagna.
La strada è quasi tutta dritta, si attraversano un paio  di paesini e ogni tanto si incontrano delle greggi di  capre e pecore.

Paglicce è sempre più in crisi, ogni volta che  incontriamo un asino raglia come un disperato.

Il panorama è dominato dai campi di grano verde  attraversati di tanto in tanto da piccole strade  sterrate dove passano carri con enormi carichi di erba  che da lontano sembrano montagne in movimento.
Arriviamo ad Agadir Bou Acheiba che il sole è gia  tramontato. Lascio l’asino esausto a Serena e vado a  comprare qualcosa da mangiare, provo a chiedere un po’  di informazioni , attirato dal movimento mi viene  incontro un distinto signore vestito di bianco che parla  francese, mi da il benvenuto e mi chiede dove siamo  diretti, per poi invitarci a casa sua per la notte,  ringraziando per la gentilezza declino l’invito e chiedo  se posso montare la tenda sotto gli olivi all’inizio del  paese, la risposta è affermativa. Ci dirigiamo verso gli  olivi, ma Mohamed al Rafia ci raggiunge sulla via e ci  invita nuovamente, questa volta dicendo che è meglio  evitare di dormire sotto gli olivi.
Mi sa che la tenda la monteremo poche volte in questa  parte del viaggio.
Mohamed è un personaggio illustre ad Agadir tutti lo  salutano con rispetto. Arrivati alla casa ci presenta  Fatima la moglie, scarichiamo il bagaglio e portiamo  Paglicce nella casa del cugino.
La prima cosa che mi colpisce nella casa è la libreria  piena di testi, sono tutti libri di religione, dice il  padrone di casa, mentre ordina alla moglie di prepararci  il the, “questa moglie parla solo berbero, non conosce  una parola di francese”, dice con tono di scusa “la mia  prima moglie, sì che era una donna! La madre dei miei  otto figli, purtroppo è morta e questa l’ho presa per  compagnia”. Mohamed è molto incuriosito dal mio viaggio  ed è una persona con cui è molto piacevole conversare  perché parla di se con sincerità e trasporto. Ci  racconta della sua infanzia caratterizzata dalla rigida  educazione della moschea, di cui però va molto fiero  “sono rimasto orfano di mamma a tre anni e sono stato  portato alla Moschea dove ho iniziato a studiare il  Sacro Corano e sono uscito a quattordici alla morte di  mio padre. Ho lavorato per la Compagnia nazionale  dell’energia elettrica, avevo l’ufficio a Marrakech, ma  ho girato tutto il Marocco e grazie alla mia buona  conoscenza del francese sono stato spesso a contatto con  gli europei soprattutto quelli che venivano qui per le  centrali elettriche”. Quando parla del Sacro Corano gli  si illuminano gli occhi e afferma felice che è per  volontà di Allah che questa sera noi siamo suoi ospiti.  Biasima il comportamento del negoziante a cui avevo  chiesto informazioni per non averci offerto subito  ospitalità, come deve fare ogni vero mussulmano. Gli  chiedo della storia del marabutto volante Sidi Rahhal e  lui mi risponde secco che chi ha scritto questa cosa non  conosce il Corano, perché nessun uomo vola, solo il  Profeta l’ha fatto una volta e su un cavallo alato.  Mentre parliamo suona alla porta un uomo che ci viene  presentato come il responsabile di zona del governo  venuto a controllare i nostri documenti, Mohamed gli  spiega del nostro viaggio e gli parla con toni enfatici  del mio interesse per la religione mussulmana, poi mi  dice: “vedi lui è un marabutto. I marabutti sono uomini  come gli altri, solo che conoscono meglio le scritture  perché le hanno studiate”. Mohamed chiama Fatima a farci  compagnia perché è arrivata l’ora della preghiera.  Fatima è una donna buona mi ricorda Maria di Peppe,  anche lei prega sei volte al giorno, ma sembra che lo  faccia per fare contento il marito. La serata prosegue  davanti al classico tajine, mi parla di Omar Bin Laden  uno dei figli di Bin Laden che sta facendo un viaggio  simile al mio, ma a cavallo insieme a una donna inglese,  non è il primo che mi dice questo e poi mi cicchetta  perché mangio con la mano sinistra. Al Rafia è un vero  mussulmano che rispetta e conosce a memoria il corano e  lo riconosce come unica legge, non riconosce nessun  valore alla politica dei politici, ”la retta via destra  è quella che ci ha insegnato il Profeta non conosce né  dubbi né incertezze, al contrario dei politici sono  così… e mima una linea contorta ondeggiando mano e  braccio a destra e a sinistra.
Gli chiedo chi è Gesù per il mondo mussulmano e  finalmente ricevo una risposta esaustiva. Questo Mohamed  è un personaggio che mi affascina, è brillante e  coerente, la consequenzialità fra pensiero, parole e  azioni per me è l’unica unità di misura dello spessore  delle persone. Ogni tanto affiora un po’ di malinconia  per i familiari lontani, soffre per la mancanza di  internet che non gli permette di comunicare  frequentemente con gli otto figli sparsi per il mondo.  Il rintocco delle undici del grande orologio di sala  dice che è arrivata l’ora di andare a dormire anche  perché la prima preghiera è alle quattro del mattino e  la seconda alle sei.
   

6 febbraio 2008: Ait Ourir – Sidi Rahhal – MAROCCO

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Carichiamo i due zainoni, la tenda e l’orzo nella  shuarì e si parte.
Di buon passo arriviamo al paese dove facciamo  rifornimento di acqua e frutta, tutti ci guardano e  ridono, questo anomalo viaggio col ciuco sembra  divertire tantissimo. Proseguiamo in direzione di Sidi  Rahhal, paese che prende il nome da un famoso marabutto  volante, protettore dei malati di mente, vissuto nel XV  secolo. La strada che collega i due paesi è circondata  da campagne coltivate e ricca di canali per  l’irrigazione, in lontananza si vedono le vette innevate  dell’Atlante. Paglicce comincia a rallentare, ci  fermiamo per farlo mangiare e riposare all’ombra, ma  quando si riparte va meno di prima. Il tramonto si  avvicina velocemente, ma Sidi Rahhal è ancora lontano, è  una zona ricca di olivi e in questo periodo qui  raccolgono le olive. Un colonnino bianco ci segnala che  mancano ancora cinque chilometri a Sidi Rahhal, ma  comincia a imbrunire e a calare la temperatura, il  grande oliveto mi sembra un buon posto dove piazzare la  tenda. Nel cortile di una casa a fianco della strada si  affaccia una giovane donna vestita di bianco, ha una  bella faccia luminosa e curiosa, le chiedo se ci  possiamo accampare vicino alla sua casa, rimane un  attimo perplessa poi mi dice di attendere. Ritorna in  compagnia di un uomo a cui ripeto la richiesta, l’idea  della tenda non gli piace tanto, però a fianco c’è la  casa del cugino che ci può ospitare. Mentre discutono  Paglicce crolla e chiude la questione, scarichiamo il  ciuco, lo sistemiamo in giardino e portiamo il bagaglio  in casa. Veniamo accolti con grande ospitalità e fatti  accomodare nella stanza più bella. Sono curioso di  vedere come sarà la cena, finora nelle case marocchine  ho sempre trovato una netta divisione tra uomini e  donne. Omar, il padrone di casa, è un omone dalla faccia  buona e i piedi enormi, il vestitone lungo che porta lo  fa somigliare a un frate, ci dice con tono di scusa che  la sua è una famiglia piccola una moglie e solo tre  figli, due femmine e un maschio. Come temevo mangiamo  separati, ci offrono il meglio che hanno: lenticchie,  pomodori, olive, carote e patate. Dopo mangiato Omar ci  invita nella stanza della televisione con tutta la  famiglia, la conversazione è tutta incentrata sulla  coppa d’Africa, poi mi metto a giocare coi bimbi più  piccoli a cuscinate.
Prima di andare a letto il pavimento della “nostra”  stanza viene trasformato in un lettone, penso a come  verrebbero accolti due marocchini mai visti prima da noi  se si presentassero a buio sull’uscio di casa co’ un  asino e du’ cestoni.
   

5 febbraio 2008: Ait Ourir – MAROCCO

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E’ una  giornata bellissima, attraversiamo il fiume e ci  dirigiamo verso il grande souk. Lungo la strada  incontriamo decine di asini, uno stracarico ci sviene  proprio di fianco, il vecchio che lo conduce cerca di  farlo rialzare a legnate mentre bestemmia in arabo, ma  la povera bestia non reagisce, allora mi chiama  chiedendomi aiuto per togliere la shuarì (due grandi  cestoni che si mettono a cavallo della sella),  finalmente l’asino si rialza, gli rimettiamo la shuarì  sul groppone, l’uomo mi ringrazia e riprendiamo il  cammino verso il souk.
E’ un souk molto grande e vero, pieno di persone e di  merci di ogni tipo, qui non c’è traccia di turisti, si  vendono attrezzi per la campagna e per l’edilizia, ci  sono fabbri che forgiano e raddrizzano sappe, picconi e  forconi. All’interno del souk ci sono tanti ristorantini  da campo, all’aspetto sembrano dei pollai scalcinati, ma  i profumi che escono dai pentoloni fanno venire fame.
Il souk è ricco di cose interessanti, ma noi siamo qui  per l’asino e iniziamo la ricerca del mercato degli  animali. La ricerca non è poi così facile, finalmente  troviamo un piazzalone pieno di asini e muli, entriamo  convinti che sia il mercato degli asini, ma è solo il  parcheggio. Mentre curiosiamo tra le bestie si avvicina  un signore vestito di bianco dalla faccia gentile che ci  chiede in francese cosa stiamo cercando, ci spiega che  gli animali sono stati portati via perché è troppo caldo  e ci invita a seguirlo verso le stalle. Finalmente ci  siamo, sento che è la volta buona. Un tipo cicciotello  con la faccia furba mi fa vedere un po’ di asini dicendo  di sceglierne uno, scelgo un giovane ciuco nero, ha le  gambe storte e una faccia simpatica che mi ricorda  Gianfranco Paglicce e poi ha già la sella. Mi invita a  provarlo, fra le risate generali parto e mi infilo  subito dentro una stalla. Chiudo l’affare e andiamo alla  ricerca di ciò che manca: la shuarì, le corde e l’orzo.  Grazie all’aiuto di Mohammed tutto si conclude  velocemente, ci salutiamo e finalmente con Paglicce  addobbato con una vivace shuarì gialla, torniamo fieri  alla base. Siamo l’attrazione del souk, lungo la strada  di ritorno siamo accompagnati da un gruppo di una  dozzina di bimbi. Sono contento, Paglicce con Serena sul  groppone trotta che è un piacere, mi sembra di aver  fatto un ottimo affare. Leghiamo Paglicce sotto un olivo  e ci mettiamo a guardare contenti il percorso sulla  carta: finalmente domani si parte per la traversata  dell’Atlante. È ormai sera quando decidiamo di andare in  paese per mangiare e inviare le foto di Paglicce. Tutto  ‘nfanato dalla voglia di da’ la notizia mi dimentico la  torcia, ci incamminiamo lungo un bel viottolo circondato  da olivi che dopo una ventina di minuti sbuca sulla  strada principale a un paio di chilometri dal paese.  Mentre si cammina al buio Serena sparisce in una buca,  vedo solo i capelli, cerco di tirarla fuori ma metto un  piede nel vuoto, mi cappotto e tombolo giù pe’ un  teppone, mi fermo una quindicina di metri più giù, rido  però so tutto tronco, che figura di merda! Mi sgroviglio  dai buscioni e torno sulla strada da Serena che sta  piangendo dalle risate.
Con passo claudicante raggiungiamo il paese ormai  semi-deserto, mangiamo una grigliata di carne in un  tipico ristorantino marocchino, poi internet e dopo  rientriamo a piedi con una certa tendenza a camminare a  centro strada.