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Ricomincia la caccia all’asino, che sta diventando un incubo peggio di internet, al cantiere, dove ormai sono di casa, c’è una novità: il ciuchino nero è sparito, c’è a disposizione una vecchia ciuca sciancata di cui si raccontano meraviglie “viene dalla montagna, è forte come un mulo e sa camminare sui viottoli”, sono perplesso sulle capacità della ciuca e poi c’è un problema, mancano sella e basto, ma, come sempre in Marocco, arriva il personaggio con la soluzione pronta, questa volta nelle vesti di un ragazzino dall’aria sveglia. Lui conosce nel souk chi vende le selle, lo seguiamo e inizia una specie di caccia al tesoro fra gli infiniti fondi e sgabuzzini di Marrakech. Dopo un paio d’ore la prima sella si deve ancora vedere, ma nel frattempo si sono viste un sacco di cose ganze: Houssein comincia a essere preoccupato, chiede a destra e a manca, ma tutti gli rispondono picche! A un certo punto arrivano notizie di una sella, finiamo da un specie di antiquario che tira fuori tutto fiero una meravigliosa sella in pelle multicolore piena di borchie, specchietti e trine, degna di uno sceicco, ma più grande del ciuco. Ci spostiamo in un grande ciucodromo, il parcheggio degli asini, si forma un grande capannello di gente, la richiesta è anomala e crea scompiglio, chi ci consiglia il bus, chi il taxi, chi ci vole vende’ l’asino co’ tutto il caretto, chi ci vole porta’ col su’ caretto, alla fine arriva qualcuno che ha una sella da vendere, partono in due su un motorino dicendo di aspettarli, dopo dieci minuti ritornano col motorino sommerso da un’enorme sella che sembra un materasso rivestito di plastica, ancora una volta non ci siamo capiti! E’ ormai sera e la sella non s’è ancora trovata, decidiamo di andare a Ait Ourir un paesone fuori Marrakech, dove domani c’è il grande souk, lì dovrebbe essere facile trovare l’asino e il suo corredo. Un po’ mi dispiace perché volevo partire per la traversata dell’Atlante dalla grande piazza Djemaa el Fna, ma il rischio di passare un’altra giornata nella vana ricerca della sella ci fa decidere per una partenza fuori dalle mura. |
AuthorUmberto
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Colazione all’ora di pranzo, poi ripasso dal cantiere che è aperto anche di domenica, nel frattempo il prezzo del ciuco è raddoppiato, lascio la trattativa in sospeso e dopo aver attraversato per l’ennesima volta i souk ci infiliamo in un dedalo di stretti carrugi alla ricerca delle Tombe Sadiane. Dopo un paio di tentativi a vuoto ne troviamo l’ingresso. Costruite intorno alla metà del 1500 da Moulay Ismail, uno dei più famosi sultani della storia marocchina, rispetto ai mausolei che siamo abituati a vedere in europa le dimensioni sono piccole, però sono strutture molto raffinate, che meriterebbero una maggiore cura. Merenda con frullatone di banana e torta al cioccolato, poi torniamo ai vicoli colorati fino all’enorme muraglia del palazzo reale che conduce al palazzo El Badi costruito da Ahmed el Monsour. Questo sceicco, chiamato anche il Vittorioso e il Dorato, accumulò ricchezze straordinarie con i riscatti dei numerosi nobili Portoghesi catturati durante la famosa (per la storia marocchina) battaglia dei Tre Re, che sancì l’inizio del suo lungo regno e portò il Portogallo alla bancarotta.
La storia del Marocco è molto interessante e ricca di personaggi affascinanti e illuminati, mi garba leggere la storia guardando l’Europa “da sotto”, dove gli infedeli invadono la Spagna e i selvaggi erano così ottusi da bruciare personaggi come Giordano Bruno, vorrei tanto leggere dei libri di storia seri, ma con l’arabo la vedo dura. Entrare nell’Incomparabile Palazzo è impresa ardua il guardiano non ne vole sape’ dice che è tardi e che è l’ora d’andassene e che i biglietti non si staccano più, poi gli dico che i soldi li do a lui direttamente e allora si convince.
Il palazzo ormai è un grandissimo rudere ma conserva segni dell’antico splendore, un enorme piscina lunga un centinaio di metri, giardini su più livelli, raffinati sistemi di canalizzazione dell’acqua, basi di enormi colonnati, sembra una specie di Colosseo rettangolare.
Il sole sta per tramontare e i guardiani vogliono chiudere, saliamo di prepotenza sui bastioni per goderci uno spettacolare tramonto reso ancora più affascinante dalle numerose cicogne appollaiate sulle alte mura di cinta del palazzo che offrono le loro sagome all’ultimo sole.
Con la sera la temperatura si abbassa e il banchetto delle frittellone calde che appare dal vicolo casca a pipa di cocco.
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Mi alzo presto e vado su un cantiere vicino dove ci sono tanti asini, sono gli asini dei “manovali trasportatori” una categoria di lavoratori tipicamente marocchina, hanno un ciuchino con un carretto al traino, una pala e un secchio e vanno a cercare lavoro nei cantieri, sono tutti “padroncini” e vengono quasi tutti da fuori città, almeno mi sembra di aver capito così.
Dopo una lunga trattativa che coinvolge una ventina di persone attratte da questo bischero italiano che vole comprà l’asino, rimaniamo d’accordo per chiudere la trattativa domani.
Dopo aver visitato la famosa Madrasa Ben Youssef (dove gli studenti imparavano il Corano a memoria) decido di farmi barba e capelli nella microscopica bottega di un barbiere.
Pelato e sbarbato vado all’aeroporto dove sta per arrivare Serena che ha deciso di mollare il lavoro e l’Italia per venire a fare il giro del mondo.
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I bus partono solo la sera, prendo un taxi fino a Iznegane la trattativa parte da 100 dirham e si chiude a 4. Poi in bus fino a Marrakech. Sono al finestrino e la campagna verde scorre veloce, poi inizia a salire fra montagne aride e rossastre attraversate da tortuose strade sterrate che mi fanno sempre pensare ai rally, mi guardo i piedi sto frenando di sinistro sotto il sedile del bus. Stanno allargando la sede stradale e la strada è sterrata, a un certo punto si sente un gran colpo e ci si ferma, abbiamo perso un pezzo di paraurti, si riparte ma con un buco da qualche parte, il pullman si riempie di polvere e un si vede niente ora sì che sembra un rally altro che la polvere nel pulmino di Taglione a Pianosa! Ripreso l’asfalto piano piano la polvere si deposita e si iniziano a vedere i mandorli in fiore. In discesa si viaggia velocissimi e riprendiamo il bus della “Supratour” bus extralusso di stile Europeo, l’autista è veramente incinghialito, ci affianchiamo e inizia una sfida stile “Duel”. Alla fine abbiamo la meglio una prolungata strombazzata sancisce la vittoria e il pullman diventa una bolgia. Il viaggio termina alla Gare Routiere di Marrakech appena fuori le mura della Medina, lascio lo zaino all’Hotel Al Jazira e mi avvio verso piazza Djemaa el Fna dove ho appuntamento con Gian Luca Boetti, un amico giornalista con cui collaboro da anni, che è in Marocco per fare dei servizi. Questa parte di Marrakech è vera, non ci sono turisti e i vicoli sono pieni di vita, bisogna fare attenzione ai motorini che sfrecciano in tutte le direzioni e non rallentano mai, al massimo suonano. Le merci “inutili” e i turisti mi fanno capire che la piazza è vicina, infatti dopo pochi attimi mi trovo nella famosa piazza, dove incontro Luca. Si chiacchiera un po’ gli spiego del Viottolo e del Viaggio e dei servizi che sto preparando, ci salutiamo con l’intenzione di rivederci a breve. Vado a cercare di chiudere una trattativa avviata per l’acquisto di un asino, ma quando sembra fatta il fratello di Amo (credo che sia un nome per turisti) si impunta dicendo che l’asino è suo e un lo da a nessuno, la scena di per se è di quelle ganze, solo che senza asino è un casino lo zaino pesa troppo. Faccio un giro per i souk, mangio un kebab e vado a internet, poi ritorno nel “mio quartiere” dai vicoli ormai deserti. |
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Mi sveglio presto e mi avvio sulla strada principale dove passano i bus, vengo subito avvicinato da un paio di procacciatori di biglietti, attendo qualche minuto in compagnia di due donne completamente velate, e di un contadino con una zappa e un enorme balla d’erba, finché non arriva tutto cigolante il bus. Si monta al volo, nel bagagliaio ci sono anche un paio di galline e un tacchino spaurito. Il pullman è pieno e super sudicio trovo un posto fra resti di cibo e vomito secco anche i marocchini di solito impassibili si lamentano del puzzo. Più che un bus sembra una zaccarena, è un azienda famigliare il babbo guida il pullman, un figlio, il più grande, biglietta l’altro carica i bagagli e chiacchiera con la gente e sparge con una bottiglia un po’ di sapone liquido sullo sporco ammontinato.
Dopo un paio d’ore s’arriva a Iznegane è la terza volta che mi ritrovo qui, la solita trattativa sul prezzo, ma questa volta meno insistente, forse sto diventando un po’ marocchino, e poi gran taxi fino ad Agadir.
Il lungo mare è molto “Americano”Albergoni bianchi, Palme e turisti abbronzati .
Mi sposto all’interno lascio lo zaino in un alberghetto nel Talborjtil Quartiere popolare e poi vado a vedere la grande spiaggia. Agadir è completamente diversa rispetto alle altre città marocchine. Un terribile terremoto nel 1960 ha distrutto la città vecchia e la nuova è stata costruita sullo stile di una moderna città occidentale, qui non c’è la medina le strade sono larghe ci sono viali alberati e grandi giardini. Dietro la spiaggia ci sono tanti ristoranti frequentati da europei e ricchi marocchini, qui la gente è vestita in maniera diversa, gli uomini sono vestiti tutti all’occidentale e anche la maggior parte delle donne.
La spiaggia è enorme non finisce, si perde nell’orizzonte verso Sud.
E’ un posto turistico e non mi piace però avevo proprio voglia di mare. Ci sono tante persone diverse su questo arenile, ci sono le donne marocchine vestite in maniera tradizionale e le ragazze che giocano a racchettoni sulla spiaggia col vestitone lungo, turiste europee seminude, ragazzi marocchini con mute piene di scritte che giocano con surf, kite e moto d’acqua, ci sono i poliziotti con la faccia cattiva vanno avanti e indietro con i quad controllando le licenze degli ambulanti e quelli più altezzosi a cavallo che trotterellano fieri riempiendo la sabbia di cacate equine, giusto per dare un tocco di sicurezza e disciplina .
I pomposi stabilimenti balneari sono territorio di caccia dei coreografici cuccadores marocchini che stondano slavate turiste pellancicose, mentre la spiaggia libera se la contendono i “gabibbi” (venditori di frati).
Ho voglia di silenzio, cammino qualche chilometro ma quando arrivo nella parte disabitata la polizia mi manda indietro è zona militare e non si può andare avanti.
Con il fare della sera arriva la bassa marea e la spiaggia si allunga specchiandosi sulla battigia, sulla sabbia vengono disegnati decine di campi di calcio, i ragazzi arrivano sul compatto arenile direttamente in bicicletta per giocare interminabili partite.
La cosa più triste sono gli enormi scavatori e i camion che stanno sbancando per costruire nuovi alberghi sulla spiaggia.
Ritorno in città per andare a vedere il porto peschereccio, è più complicato del previsto, c’è un muro controllato da guardie che divide i due mondi e per entrare al porto bisogna passare un controllo di polizia ed uscire entro le 18 .
Faccio un giro veloce fino al porto dove ci sono le piccole barche stile Tarfaya e tantissimi (centinaia) grandi pescherecci oceanici “Paranze”. I colori scuri dominano tutto, montagne di reti fanno da giaciglio per tanti pescatori accampati sulla banchina, alcune anziane donne preparano il the su un focolare dove bruciano pezzi di staminare marce, appena dietro il muro ci sono le banchine acciaio e cristallo della marina reale, sono poche decine di metri ma qui siamo in un altro pianeta e in un’altra era.
Il tempo è gia scaduto quando torno al di là del muro, pochi passi e mi ritrovo a passeggiare fra europei e ricchi marocchini non posso fare a meno di confrontare l’intensità degli sguardi della gente del porto e la “polpolessaggine”che regna in questo “struscio” marocchino. Chiudo la giornata con una grande mangiata di pesce.
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Dopo una lunga sosta a Tiznit per ordinare e spedire materiale, mi rendo conto che ogni tanto bisogna che mi fermi per sistemare il materiale e idee, se no le cose si accavallano e diventa tutto più complicato anche in un viaggio così libero ci vuole disciplina.
La voglia di mare è forte, averlo così vicino, da Tiznit dista solo 17 chilometri, e non vederlo è una tortura, domattina vado ad Agadir, solo un giorno per poi ritornare a Marrakhech, ma un giorno al mare.
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Finalmente ho finito, vado a internet convinto di spedire e partire nel primo pomeriggio invece siamo alle solite. Decido di fare un giro per la medina oggi c’è un grande mercato ci sono banchi assurdi c’è anche chi vende i campanelli usati delle biciclette, ma chi fa furore è un venditore di calcolatrici ce n’ha due scatoloni enormi, ha una montagna di calcolatrici nuovissime e le vende a due soldi. Ci sarebbero da fare tante belle foto al mercato, ma le persone non vogliono essere fotografate, le scene più belle sono davanti all’hamman delle donne dove, avvolte in veli multicolori, le grasse signore di Tiznit, pazientemente aspettano il loro turno chiacchierando.
Mi sposto nella zona dei bus per controllare gli orari e mi fermo a mangiare in uno sgangherato locale, chiedo du’ ove fritte, ma il proprietario prendendomi per un morto di fame, mosso da mussulmana pietà, mi regala anche un piattone di verdure e un pezzo di carne. Bello satollo mi gusto lentamente un the alla menta completamente immerso in questo caldo e indolente pomeriggio africano.
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Ho voglia di mare, faccio una gran fatica a rimanere fermo qui ma devo scrivere dei testi e sistemare foto e poi spedire via internet che è sempre la cosa più difficile, ci vuole sempre un sacco di tempo perché la connessione salta di continuo. Faccio un giro per il mercato coperto profumato di spezie e colorato di frutta dove ci sono gli inquietanti banchi dei macellai con le teste decapitate delle capre che ti guardano ad occhi spalancati, il vicolo dei macellai è proprio il reparto cadaveri. Ormai sono di paese quando entro nel mio bar preferito il proprietario mi sorride e senza chiedere niente mi prepara il solito frullatone di banana. Riprovo a inviare, ma non c’è niente da fare, quindi torno a scrivere, sulla via del ritorno converto la voglia di mare in una grande frittura di pesce. | |
Giornata tranquilla passata a scrivere, nel pomeriggio faccio un giro in paese c’è fermento per la Coppa d’Africa, alle 18 gioca il Marocco, è la sfida decisiva se perde va fuori, tutti i bar si sono attrezzati per l’evento e quelli che hanno la televisione grande fanno pagare il biglietto, per il Marocco si mette subito male e poi peggio, mentre il Ghana si appresta a trionfare il barista bigliettaio deluso frulla per la via tutti i biglietti che aveva preparato per le sfide future.
Tiznit è un posto tranquillo e accogliente che si addormenta presto, esco da internet e non c’è più nessuno in giro, incontro solo una giovanissima mamma con un bimbo piccolo piccolo che si sta preparando il giaciglio sul marciapiede.
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Faccio un giro nella medina, è molto tranquilla non ci sono turisti, ma quelli che potremmo definire nuovi coloni, ci sono tanti pensionati europei che svernano qui, alcuni vi ci sono proprio trasferiti e sono felicissimi della loro scelta.
Il reddito mensile medio di un lavoratore marocchino non supera i 200 euro e con questi diciamo che si manda avanti una famiglia, è chiaro che un pensionato, o meglio una coppia di pensionati europei qui vive alla grande permettendosi un tenore di vita impensabile nel proprio paese, stando al caldo e al mare, inoltre sono ben visti perché spendono molto.
Il potere d’acquisto crea nuovi flussi migratori, si va verso un’Africa di vecchi europei e un’Europa di giovani Africani. Certo che se tutto questo denaro di provenienza europea, dei Pensionati e dei lavoratori Africani, venisse ben investito, in Africa ci potrebbero essere delle prospettive di sviluppo interessanti per questo Continente e per lo stesso motivo preoccupanti per l’Europa.
Io credo che una comunità sana abbia bisogno delle persone di tutte le età, come non è sano vedere i paesi nel deserto abitati da nonni e bambini, allo stesso modo è monca e triste una famiglia senza nonni, da sempre filo di congiunzione fra le generazioni. La nostra Isola è un posto benedetto dai privilegi di una natura estremamente benevola, tale da permettere una socialità sana anche in questo “mondo difficile”.
L’Elba è un luogo abitato da tanta bella gente saldamente radicata nel “fero” e nel granito, queste preziose radici che vanno curate e concimate e consegnate forti alle generazioni future, perché le radici sono più potenti di qualsiasi scudo spaziale e non temono nessuna sorta di mangiafoco.
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