Giornata “domestica” dedicata al lavaggio dei panni e ha scaricare le foto. | |
AuthorUmberto
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Mi alzo presto: ho voglia di granito! salgo su un cucuzzolo chiamato Chapeaux de Napoleon che assomiglia a San Bartolomeo visto da Chiessi. Sentivo la nostalgia della roccia regina della mia Isola, poi le notizie che arrivano dall’Elba sono positive sia sul fronte delle Domeniche del Granito che su quello dell’Isola dei Bimbi. Salendo c’è una grotta che sembra quella di Cavoli, invece sotto l’ultimo sperone ci so' dei muri a secco che ricordano “Le Mure” e alcune Coti quasi cilindriche richiamano alle Colonne di Cavoli. E’ un granito come quello del Tambone : quarzoso e senza verso, c'è tanta “Cote Morta” e Sabbione e infatti ci piglio anche un discreto rufolone. Arrivo sulla vetta dopo un paio d’ore, sono salito lento lento godendomi il paesaggio di queste valli e immerso nei ricordi Isolani. Dall ‘alto si domina una pianura praticamente desertica, il paesaggio è biblico mi ricorda il deserto Giordano, scendo a valle e trovo un acquedotto abbandonato come quello che non ho potuto visitare, ma anche in questo non riesco a scendere, però trovo una scala che scende in una grande cisterna anche questa secca, per avere l’acqua da queste parti c’è bisogno di lavoro costante. Tutto va conquistato con grande sacrificio e tutto è assolutamente precario, bisogna avere uno spirito quasi mistico per vivere in queste terre aride. Ritorno alla scuola, la scuola sotto la grande Cote, mi sembra perfetta per la terzo contatto di “Base Elba ” gli insegnanti come al solito si dimostrano gentili e mi danno anche le dritte per raggiungere le rocce colorate. Alla scuola mi hanno detto che dovevo camminare un ora e mezzo per arrivare alle rocce dipinte, è gia parecchio che cammino ma un vedo nulla, è comunque un deserto bellissimo con graniti dalle forme più varie ma a differenza di quello di sabbia è vivo. Ho visto qualche falco, una lepre e delle grandi lucertole gialle, grandi come un lucertolone, velocissime che saltano anche in salita. Finalmente in lontananza scorgo le rocce colorate, prima vedo una cote grande macchiata di celeste, poi altre rocce con colori più vistosi, sono distribuite in un area molto grande più o meno come da Pietra Murata alle Piane della Prigione. E’ un opera particolare realizzata da Jean Verame un eccentrico artista belga che nel 1984 colorò le rocce usando 18 tonnelate di vernice con l’aiuto di una squadra di pompieri Marocchini.Sono curioso di vederle da vicino ma penso anche che se venisse un belga a pitturà le Coti della mi Isola sai che calci in culo….E’ un ambiente che sa di “peyotai” ma è innegabile che sia molto suggestivo, anche se sono soltanto a un paio di ore dal paese, il fatto di essere solo in questo silenzio rende tutto molto suggestivo. Mi piacerebbe aspettare il tramonto per vedere come cambiano i colori ma devo rientrare in paese. Ritrovo il mio “socio“ e lo vedo strano, dovevamo andare a Taurodannt ma dice che non ci si può andare perché ha problemi con una banca e che andiamo ad Agadir. Mi chiede anche dei soldi, dice che ha problemi col babbo, la mamma e il fratello, decido che è ora di dividersi. Anche se avevo intuito che era un tipo strano, ci rimango male, per rilassarmi guido veloce lungo la sdrada tortuosa che conduce a Tiznit, l’ultimo tratto ricco di dossi è particolarmente divertente, inizia la campagna coltivata e poi il paese, ci salutiamo in questa cittadina dall’aria rilassata. Tiznit ha una grande cinta di mura che circonda la medina e una piccola villa nouvelle a fianco, il clima è eccelente, si sente l’influsso del mare, mi sistemo in un alberghetto e decido di fermarmi qualche giorno per mettermi in pari con testi foto e mail varie. |
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Lasciamo Quarzazate e ci spostiamo ad Ait-Benhaddoit che è una una Porto Cervo del deserto Marrocchino, bella ma finta.
E’ stata infatti quasi tutta ricostruita per girarci dei film, gli abitanti sembrano quasi degli intrusi, è l’unico paese del Marocco dove ho visto i cestini per la spazzatura. Il panorama che si gode da qui è comunque superbo, si domina un deserto dai mille colori e le vette innevate dell’Atlante, anche l’attraversamento del fiume per raggiunge l’agglomerato è molto scenografico.
Lasciamo la zone delle oasi e iniziamo ad attraversare l’Anti Atlante, sono zone bellissime, aride e selvagge, non ci sono insediamenti umani per decine di chilometri e anche il traffico è pressoché inesistente.
Si attraversano diversi valichi sui 1500 metri di quota, poi iniziamo a scendere verso una zona pianeggiante ma sempre desertica. Qui non ci sono turisti e nemmeno arabi, solo berberi duri e spigolosi, si respira ostilità, ci fermiamo a mangiare qualcosa. ci sono simboli berberi sui muri e nelle rocce c'è un'atmosfera che ricorda l’interno della Corsica ma l’ambientazione è molto meno famigliare. Si prosegue nel deserto di roccia, sono zone poverissime, ogni tanto si incontra un gregge di capre o qualche persona a piedi, diamo qualche passaggio, lasciandoli poi in luoghi senza vie apparenti da dove si avviano nel nulla. Offriamo un passaggio ad un nonno con la nipote, villaggi Berberi, queste zone sono molto povere e i giovani vanno a cercare lavoro verso la costa di Casablanca o, ancora più frequentemente in Europa molto ambita per via del cambio estremamente favorevole. Quindi si vedono spesso bimbi con i nonni, nei paesi ci sono pochissime persone fra i 20 e i 40 anni e i bimbi sono tirati su dai nonni che sono sempre molto affettuosi. Penso allo shock che subiranno questi bimbi quando, probabilmente fra qualche anno, si troveranno catapultati dal medioevo dell’Anti Atlante a qualche metropoli Europea.L’anziano signore mi chiede di fermarmi vicino ad un pozzo, cosi la bimba potrà bere dal secchio, ringraziandomi mi invita a sciacquarmi e a bere. Dopo la piacevole rinfrescata ci salutiamo e il nonno e la nipote si perdono nel paesaggio arido. Il paesaggio cambia quando si entra nella Valle degli Almen dove ci sono diversi piccoli villaggi colorati. C’è qualche palma ma soprattutto ci sono gli alberi di Argana dai cui frutti si ricava il prezioso olio. I piccoli borghi sono incorniciati da un crinale granitico con le vette che superano i 2330 e nella forma e nei colori ricordano le Calanches della Corsica.Arriviamo a Tafraoute, dominato da una spettacolare roccia di granito a forma di testa di leone.
In paese non ci sono turisti, le vie sono poco trafficate, i ragazzi, quasi tutti al club internet a giocare alla play station.
Anche qui si considerano berberi puri, odiano gli arabi che vengono considerati vagabondi.
La zona è molto bella e domani voglio fare un giro fra questi graniti. Sono daccodo con Houssain che ci ritroviamo in paese nel primo pomeriggio.
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Giornata passata quasi interamente a scaricare le foto e a cercare di rispondere alle richieste che arrivano dall’Isola e dai giornali via Mail. In serata mi concedo il piacere del the nella piazza che si ravviva col fresco della sera, ci sono centinaia di ragazzi che giocano a calcio esaltati dalla recentissima vittoria del Marocco nella prima fase della Coppa d’Africa.Mentre rientro vengo avvicinato da tipi loschi che mi vogliono vendere droga, si avvicinano a botta sicura e ci rimangono malissimo quando vedono che non me ne frega niente. | |
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All‘alba mi sgranchisco con una passeggiata fra le piccole dune che regalano sempre disegni magici poi, arrivato a Zagorà, faccio un giro nel grande palmeto dove l’irrigazione è controllata in maniera capillare. Qui sono tutti preoccupati perché che grande siccità e il Naaghlaa , cosi si dice palmeto in arabo, è l’unica risorsa, l’alternativa è andare via. Sulla strada per Quarzazate si passa per il paese di Agdz dove facciamo benzina e poi risaliamo il deserto roccioso arrivando e sfiorare i duemila metri del passO di Tizi-n-Tinififft, sui crinali ci sono molte piccole fortificazioni miliari costruite nei primi anni '80 quando erano più caldi i fermenti legati al movimento del Polisario. Sono zone aspre adatte alla guerriglia, qui anche i francesi hanno avuto grandi problemi durante la loro guerra di “Pacificazione”. Pacificazione, normalizzazione, corpi di pace, ci sono sempre termini “ecclesiastici” intorno a queste guerre dal sapore coloniale, quel che è certo è che le popolazioni nomadi sono molto difficili da controllare e qualsiasi stato “moderno” cerca di smantellare queste comunità dalla forte matrice anarchica. Superato il passo di Taourirt, da dove si domina l’omonimo lago, la strada si precipita dentro l’abitato di Quarzazate. |
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Deve ancora albeggiare quando viene data le sveglia. Vengono caricati i bagagli sui dromedari e uno alla volta con il proprio ospite, gli animali si mettono in piedi e poi, in fila indiana, iniziano il percorso di ritorno. Le luci dell’alba sono ancora più belle di quelle del tramonto, seguo la carovana da lontano cercando inquadrature suggestive. Il sole sale velocemente così come la temperatura, sono stato solo una quindicina di ore nel deserto ma è stato ricco di emozione e suggestione. Ritrovo Houssain, saluto il gruppo del deserto e mi scambio gli indirizzi con Kounta che mi raccomanda di stare all’occhio quando sarò in Algeria. Voglio andare a vedere gli acquedotti abbandonati dell’Oasi di Erfoud. Arrivati alla caserma, dopo un pò di anticamera ci danno appuntamento al bar principale del paese. Arrivano il capo e il vice che sembra tutto il mitico maresciallo “paletta”, ci saranno quaranta gradi ma il capo è tutto abbottonato dentro un pesante cappotto color cammello, porta un paio di baffoni alla "quando eravamo comunisti", calzettoni a quadri e ciabatte alla Ciaccionazzo. Mi fa un terzo grado dallo scontato finale: nel sottosuolo ci sono le ricchezze della patria ed è meglio tenerle lontane dagli sguardi degli infedeli , specialmente se un pagano dazio. Prendo atto e ringrazio pensando di ritornacci più alla zitta. Partiamo alla volta di Zagora si attraversa un deserto di pietra scuro circondato da severe montagne nere, il panorama e scarnamente adornato da rade acacie che sembrano uscire dalla roccia compatta, la strada è un rettilineo infinito affiancato da una linea elettrica . Ogni tanto si incontrano uomini vestiti pesantemente su biciclette che sembrano andare verso il nulla, anche le tende dei nomadi appaiono e scompaiono come miraggi. Avvicinandosi alla Valle del Draa iniziano costruzioni di pisè, in questa gola inizia la la più grande palmera del Marocco che poi continua ancora più estesa in Algeria. La strada e costellata da venditori di datteri, in pratica l’unica prodotto della zona, qui si ha ben presente il concetto di desertificazione e cosa può essere la guerra per l’acqua. Arriviamo a Zagora, la porta del Sahara, da dove, quando le frontiere erano aperte in 52 ore di cammello si raggiungeva la mitica Timbuctu, per un altra notte nel deserto. Stessa situazione del giorno prima, nel deserto da solo non si può è pericoloso: guida cammello e si parte. Il paesaggio è molto meno eccitante rispetto al Erg Chebbi , il deserto non si vede, solo una strada polverosa in mezzo ai campi , potrebbe esse un viottolo dalla Galea alle Paglicce quando è tanto che un piove. Cammino chiacchierando con la guida che si chiama Haissa, a 28 anni, è un ragazzo simpatico e onesto, mi spiega che a Zagora sono tutti contenti che l’Algeria abbia la frontiera chiusa sennò i turisti andrebbero tutti li dove c’è il Grande Erg il vero deserto di sabbia. Si vestono da Tuareg perché ai turisti piace così ma qui sono tutti berberi e lui come tutti prima di fare la guida lavorava nella coltivazione dei datteri, “ i Tuareg “ dice “sono neri , non amano lavorare nelle oasi ne tantomeno con i turisti, e poi in Marocco non ci sono, vivono in Mauritania e in Mali ma io” prosegue “ non li ho mai visti”. Dopo un oretta di cammino arriviamo al campo dove ci sono delle piccole dune, la luna piena rende tutto molto suggestivo, con i disegni geometrici che le luci e le ombre disegnano fra le pieghe sabbiose delle dune ma è un ”Truman Show”, si vedono vicine le luci del paese e di fianco al campo passa una strada. Haissa e i suoi colleghi fanno un pietoso spettacolo di musica berbera per due Estoni slavate e un Brasiliano, io me sto fra le piccole dune a pensare ai danni che fa il turismo poi, quando si fa silenzio mi metto a dormire. |
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Lasciata la valle del Todra il paesaggio torna desertico, sullo sfondo le montagne del medio Atlante che fra qualche giorno attraverserò. il deserto è roccioso ma ogni tanto il vento accumula un pò di sabbia sulla strada, sono zone estreme dove è già difficile sopravvivere. In passato i villaggi delle oasi traevano sostentamento dal sostare delle carovane che attraversavano il deserto trasportando sale, schiavi e altre merci. Oggi queste sono scomparse e i palmeti, anche per la siccità e per la malattia del Bayoud, stanno morendo.
Nei pressi di Erfoud , a fianco della strada, ci sono una lunga serie di cumuli di terra bianca, come tanti piccoli vulcani, ci fermiamo, si tratta di pozzi di ispezione dei vecchi acquedotti ormai abbandonati.
Ci sono delle lunghe file, almeno cinque di questi vulcanetti di fango secco, uno ogni 20/25 metri, alcuni hanno ancora, sopra l’imboccatura, degli argani di legno. Davanti ai “crateri” due ragazzi con una tenda aspettano eventuali visitatori, il più grande dei due fratelli è un diciottenne, ha l’istinto della guida, si vede che gli piace spiegare , non parla come un registratore e si sforza perché vuole farti capire. Mi spiega, anche attraverso disegni, che i canali servivano per portare l’acqua alla vicina oasi e i pozzi servivano per ispezionare e pulire i canali dell’acqua che si insabbiavano continuamente. Dall’oasi traevano la sussistenza le tribu Berbere, Beduine, Tuareg e Nomadi, e siccome fra loro non correva buon sangue, ognuna aveva il proprio acquedotto.
I canali sono lunghi circa 25 chilometri ed i pozzi più a monte sono profondi oltre 35 metri, poi degradano fino a 0 all’interno dell ‘oasi . Ora sono tutti secchi, sono stati abbandonati una trentina di anni fa quando hanno fatto i pozzi con le pompe all’interno dell’oasi per l’agricoltura e per portare l’acqua nelle case. Questo nuovo sistema ha portato però all’abbassamento della falda che ha fatto seccare tutti i pozzi antichi.
Chiedo se si possono visitare gli antichi acquedotti, gli si illuminano gli occhi e ci spostiamo verso un cratere, lui si cala velocemente nel pozzo, io scendo qualche metro, poi visto il continuo franare e l’inconsistenza del terreno decido di rinunciare e risalgo non senza difficoltà.
Dopo qualche minuto risale da un altro pozzo, gli chiedo se esiste un pozzo più semplice ma la risposta è negativa, allora gli chiedo se possiamo entrare dall’oasi, questo è possibile, però Houssain mi smonta subito, per ispezionare il sottosuolo ci vogliono permessi speciali, specialmente se sei straniero perché se succede qualcosa sono guai seri anche per lui. Ci mettiamo d’accordo per andare domani dalla polizia a chiedere l’autorizzazione.
Rimaniamo d’accordo per vederci domani, oltre all’acquedotto mi ha parlato di scale che scendono verso un lago sotterraneo, sono curioso anche perché di questo non so assolutamente niente .
Proseguiamo in direzione Meurzouga , fermandoci a Rissani per vedere un po’ di fossili di cui sono ricche le montagne scure che ci disegnano l’orizzonte.
La zona è veramente interessante, solo che i berberi con la loro mania di commercio e abilità artigianale taroccano tutto, e quindi diventa difficile capire cosa è vero e cosa è falso: ci sono tantissimi ammoniti, trilobiti, alghe e calamari fossili, ma anche alcune vere e proprie sculture di dimensioni assurde, ma il massimo del tarocco sono i bellissimi scheletri di dinosauro in cemento.
Finalmente arriviamo a Merzouga famosa anche per una delle più spettacolari prove speciali della Parigi Dakar, la pista sabbiosa che porta alle dune invita a “strinà" ma m'aguanto.
Le dune appaiono all’improvviso, alte e imponenti, come un miraggio giallo ocra, è il vero deserto di sabbia l’immagine iconografica del Sahara.
Arriviamo che la luce inizia ad essere proprio quella giusta per bivaccare nel deserto, entrando da qui bisogna appoggiarsi alle guide, mi sento un pò in ostaggio ma la situazione è questa. Pago il cammello e la guida poi, lasciata la base, scendo di sella e inizio a vagare fra le dune sono nel posto giusto al momento giusto, tramonta il sole e la luna grande sale nel cielo, tutto assume tonalità calde e cangianti con le ombre sempre più ampie che disegnano scenari surreali.
Ormai è notte ma ci si vede benissimo, dalla duna più alta si vedono le luci delle postazioni militari marocchine e algerine alla frontiera divise da una zona cuscinetto. La chiusura della frontiera ha costretto le tribù nomadi a cambiare stile di vita. Questa gente viveva spostandosi continuamente con le greggi, fra le zone con un minimo di vegetazione, in maniera da preservare il delicatissimo patrimonio di stentati cespugli che il deserto offre. Ora non potendosi più spostare liberamente si sono dovuti adattare a vivere negli agglomerati urbani , spesso ai margini, accampati nelle tende tradizionali.
Arrivo al campo dopo tre ore scendendo di corsa da una duna alta almeno 150 metri che è notte piena, so così contento che rido da solo e mi metto a giocare a pallone con il ragazzo Berbero mascherato da Tuareg che mi doveva fare da guida e i bimbi che vivono nell’accampamento, una partita di calcio in notturna con l’illuminazione della luna.
L’arrivo di un grande gruppo fa finire la partita. E’ una carovana con 10 cammelli che trasportano tre coreani, due studentesse brasiliane,un olandese, un'americana con una guida personale, e una coppia di ragazzi veneti. Vengono assegnate le tende mentre nel forno a legna stà cuocendo il classico tajine. Si socializza, tutti sono combattuti da cosa vedere nei pochi giorni che rimangono in Marocco. Mi compiaccio in silenzio di non avere scadenze.
Mi fa strano vedere che qui portano le forchette per mangiare il tajine, esasperate dalle continue attenzioni moleste subite a Marrakech le due brasiliane fulminano con uno sguardo assassino il mio amico mascherato che voleva solo porgergli il pane. E’ una notte bellissima, senza vento, con la luna grande e tante stelle, ho voglia di fare un giro, lo propongo agli altri, l’olandese e gli italiani vengono, senza rendermene conto mi ritrovo a fare la guida nel deserto. Dopo un'ora di dune e stelle si torna al campo scendendo dalla grande duna, i berberi hanno acceso il fuoco e suonano piccoli tamburi. Poco alla volta vanno tutti ha letto e mi ritrovo a parlare con Kounta e l’Olandese. Kounta Mobarek è il capo carismatico, comanda tutti con lo sguardo, subito non gradiva tanto il fatto che fossi arrivato al campo da solo, ora però è affabile e ha voglia di parlare. E’ Berbero di Mourzoga ha 30 anni e lavora da 10 con i turisti, prima lavorava alla montagna nera a cercare fossili insieme al su babbo e ai suoi fratelli in origine erano una famiglia di pastori. Questo lavoro gli piace, gli permette di stare nel deserto e si guadagna bene. “E’ un lavoro in crescita” mi dice “vengono sempre più turisti” loro sono 6 guide e lui è quello con più anzianità di servizio, però ci sono anche altri gruppi, i cammelli sono del gestore della pensione da dove siamo partiti e sono un gran capitale – un cammello vale circa 10000 euro – oltre al Berbero e all’ Arabo , parla bene il Francese e l’Inglese ma se la cava anche con lo Spagnolo e l’Italiano. Mi spiega che la frontiera è chiusa da 6 anni e che nel deserto di Erg Chebbi ormai vivono stabilmente solo150 persone, che i bimbi che vivono qui non vanno a scuola perché è troppo lontana. Questa è l’unica famiglia che ha contatto con i turisti, le altre che sono accampate all’interno vivono solo con quello che ricavano dalle bestie. Mi dice che lui dorme fuori vicino al fuoco, con il legno vicino così controlla tutto e se arrivano i nomadi dall’Algeria a rubare i cammelli da l’allarme, ma si capisce bene che non c’è nessun pericolo, gli racconto un pò di me, del viaggio che voglio fare e del lavoro che facevo, gli racconto che anch’io quando facevo i giri isola dormivo sempre fuori, si per controllare tutto, ma in realtà perché è più pratico, la mattina basta alzarsi e sei già pronto, ma soprattutto è più bello, è un peccato essere in posti belli sotto le stelle e poi nascondersi dentro una tenda. I turisti in realtà sono quelli che ci permettono di vivere questi privilegi portando anche dei soldi alla famiglia, si dice condividendo il concetto, grazie ai turisti possiamo vedere le stelle come i nostri antenati. Lascio Kounta al suo giaciglio accanto alla brace e me ne torno verso la grande duna . Mi sdraio, il deserto è un mare che ti ci puoi sdraiare, è un posto perfetto per pensare specialmente di notte: mi ritornano in mente i racconti dei vecchi pescatori Ponzesi che per raggiungere la Sardegna dall’Isola natia con le loro barche a remi, aspettavano la notte per ricevere la rotta dalle stelle. Penso a quante volte mi sono addormentato guardando il cielo, e alle grandi religioni che probabilmente sono nate nel deserto in nottate come questa. |
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Dopo aver dato un occhiata alla Kasbah di Quarzazate si parte in direzione dell'oasi di Skoura, si passa davanti al lago artificiale e, poco dopo, vado a fare un giro in un villaggio che sembra abbandonato, ma in realtà, fra i muri sgretolati, ci sono case abitate con grandi antenne paraboliche. Sento delle voci , le seguo, e vedo delle donne che lavano al fosso che mi fanno capire che non vogliono essere fotografate e che se me ne vado è meglio – proprio come all’Elba nel fosso di Pomonte. Peccato perché è bellissimo, un'esplosione di colori e movimenti che sanno di festa.Arrivato all’oasi di Skoura, con le palme molto rinsecchite per la siccità, vado a vedere la bella Kasbah Amerhidl considerata la più bella del Marocco, Hussain è strano sembra che è la prima volta che viene qui ma continua a dirmi che lui è uno specialista del deserto e ogni volta che ci si ferma si mette a dormire in macchina.Si prosegue attraversando la valle dei Dades, finalmente guido, si attraversa un deserto di pietra rossastra dove ogni tanto appaiono delle chiazze bianche di sale, ogni volta che si attraversa un centro abitato le strade sono piene di bimbi, è tutto molto bello ma mi sento un pò prigioniero, sono comunque ospite e quindi mi devo adattare.
Arrivo a Tinerhir un paesone su un altopiano da cui si domina la rigogliosa oasi del Todra con alle spalle le gole rosse e sullo sfondo le nevi dell Atlante.
Nel punto panoramico un tristissimo dromedario e un paio di ragazzi mascherati da tuareg aspettano qualche turista. Scendiamo nella Valle e ci fermiamo in una struttura di amici di Hussain.
Vado a fare un giro risalendo la valle dalla Palmeira (palmeto), che man mano che risale la valle si stringe, inizialmente le palme sono sui lati, con all’interno olivi, mandorli, melagrani ed orti tutti irrigati da canali e divisi da muri, poi diventa in pratica una fila di palme nella gola stretta, è un luogo silenzioso, si sente solo il rumore dell'acqua ma c’è tanta gente che ci lavora: uomini e donne. Sembra tutto completamente estraneo al frenetico movimento di pulmini e fuoristrada che entrano veloci nella valle dalla strada per andare a veder le gole, l’impressione è che questo movimento turistico "guarda e vai" alla gente del posto non lasci niente oltre il rumore e i venditori di souvenir che mi dicono venire da altre zone.
Entro nelle gole al tramonto e non c'è quasi più nessuno, all’inizio del punto più stretto, su una parete impressionante alta almeno 200 metri, tre scalatori stanno scendendo in corda doppia, il posto è bellissimo, un canale stretto e sinuoso scavato dall’acqua nella roccia rossa, ma la strada che lo attraversa rende l’aria irrespirabile, sembra di essere in una camera e gas. Poi hanno e continuano a costruire alberghi e alberghetti. Superata la strettoia il panorama si apre a monte verso le vette innevate e l’acqua scompare sotto le rocce.
Sarà perchè sono solo e fuori orario ma i bancarellai mi pigliano per una guida turistica in ispezione e mi offrono tangenti se domani porto il gruppo da loro.
Che tristezza un posto da favola rovinato da un turismo fugace che distrugge e mangia l’anima alla gente.
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Al mattino colazione da nababbo: burro appena fatto, cosi bianco che sembra panna, marmellate fatte in casa da spalmare su crepes appena sfornate, latte condensato e nescafe da sciogliere nell‘acqua calda, omelette e the alla menta.
Arriva Houssain e si parte, si scende da un viottolo ripido ripido, provano a staccarmi e mi devo impegnare per tenere il passo. Prima di lasciare Imlil andiamo a scuola per il secondo contatto di “Base Elba”. La scuola è piccolissima e fredda, in pratica un prefabbricato e i bimbi sono tutti infagottati, l’insegnante è una giovane ragazza che parla francese e mi dice divertita che è tutto chiaro perché parlo molto bene con le mani.
Iniziamo a scendere verso il fondo valle, poi la pianura si distende permettendo di ammirare l’imponente catena dell ‘Alto Atlante dominata dal monte Toubcal. La pianura è fertile e tutta coltivata. Iniziamo a salire, lungo la strada tante persone che cercano di vendere minerali con degli spettacolari cristalli rosso sgargiante, che a quanto ho capito non esistono in natura e vengono prodotti artificialmente. Credo che qualche mestierante del settore ci sia anche all’Elba. L’ultimo tratto sale con spettacolari tornanti stile Stelvio fino al passo di Tizi n’Tichka a 2260 metri di altitudine, scendendo verso ovest il paesaggio cambia notevolmente, le rocce diventano rossastre e poi rosse e le case sono tutte di Pisè (fango e paglia). Si fa fatica a capire cosa è abitato e cosa no, è difficile anche riconoscere una casa da una stalla.
L’ambiente è molto arido e le capre pascolano distanti fra loro perchè i piccoli cespugli sono sparsi fra le rocce, si incontrano donne con carichi enormi di legna sulla testa, fanno chilometri e chilometri per recuperare il combustibile da utilizzare per cucinare e scaldarsi.Arrivando al fondo valle il paesaggio, pur essendo sempre arido, è ricco di campi coltivati che sfruttano l’acqua originata dalle nevi delle vicine vette, fa strano vedere contemporaneamente la neve e i datteri maturi sulle palme. Prima di entrare a Quarzazate si incontrano i famosi studi cinematografici (qui hanno girato tanti film famosi da Lawrence d’Arabia, a Il the nel deserto e il più recente Il gladiatore) con pacchianissime finte statue egizie all’ingresso.Quarzazate fu costruita dai francesi negli anni 20 come avamposto militare ed è famosa perché ha ospitato la legione straniera.Come impatto non è un gran che, una serie di case in cemento sui lati della strada principale. Sono affascinato dalle officine sono sempre affollatissime, per via delle strade e del parco macchine datato, i meccanici sono bravissimi e trovano sempre una soluzione, magari non la migliore ma il problema lo risolvono. I ricambi scarseggiano e quando si rompe qualcosa spesso si costruisce il pezzo di ricambio , di solito i braccetti delle sospensioni vengono sostituiti con le balestre , non è raro vedere macchine con una balestra da un lato e braccetto dall’altra, si adattano semiassi e cambi di modelli diversi, i carrozzieri usano tanto il legno sopratutto per gli specchietti retrovisori e ritagliando i contenitori di plastica del detersivo fanno le pale per le ventole dei radiatori. Ho visto una Renault 12 col pianale di legno e la sospensione posteriore in ferrotubi. Faccio una passeggiata fra i campi , il terreno è scuro e fertile qui vicino c’è un lago artificiale che alimenta l’acquedotto della città, un tubo si è rotto e i contadini prontamente hanno fatto una serie di solchi per irrigare i campi. La maggior parte delle persone si sposta a piedi, si vedono tante piccole sagome che si perdono nella campagna al tramonto illuminate dalla luna quasi piena.
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Con un leggerissimo ritardo – per i miei parametri – scendo nella sala colazione, sono già li che mi aspettano, c’è anche la piccola Fatima. C'è Houssain, il collega di Azdour , che mi propone di andare con lui: va a provare un tour nel deserto. Gli spiego che vorrei studiare bene la zona del Toubcal e magari andare sulla vetta dell'Atlante, lui insiste dicendo che sono suo ospite, che non devo pagare niente perché vuole che questo giro lo veda per poi proporlo ai clienti del Viottolo. Ci penso un attimo, è un ulteriore rinvio della partenza a piedi, ma è anche un imperdibile occasione per vedere luoghi interessanti e per prendere contatto con il deserto che poi dovrò attraversare veramente. Accetto l’invito. Appuntamento domani mattina alle 8 al rifugio di Imlil. Si sale verso Imlil con un gran taxi preso a noleggio, mi sembra di essere sotto sequestro. La strada è veloce e attraversa una pianura coltivata fino ad Asni, dove facciamo una sosta. Azdour da queste parti è un personaggio lo conoscono tutti; fra la strada e il fiume ci sono le bancarelle che vendono da mangiare e una serie di grandi alberi spogli, con tante macchie bianche, guardo meglio e vedo che sono centinaia di garzette bianche immobili sui rami, le stesse che si vedono sempre più frequentemente anche all’Elba. La strada inizia a salire stretta e tortuosa sul fianco destro di una valle stretta e profonda. La piccola Fatima vomita più volte, stremata dalle curve di questo lungo “Volteraio” marrocchino.
Arrivati alle porte del paese la strada finisce, lo zaino viene caricato sul mulo lo ritroverò al rifugio. Lascio Azdour e Fatima, che vanno a salutare parenti, e inizio a salire godendomi l’aria secca e pungente dei 1740 metri di Imlil.
Sembra di aver viaggiato indietro nel tempo, un centinaio di chilometri di strada e ci si trova in un'altra epoca, si sente solo il suono dei passi e degli zoccoli dei muli.
Il terreno è scuro e friabile e i sentieri sono precari e a misura di mulo, mi rendo subito conto che il mulo è indispensabile per attraversare l'Atlante altrimenti andrebbe cambiata la filosofia e impostarla tipo impresa sportiva: materiale iper tecnologico, cibi liofilizzati, attrezzatura fotografica all’osso, ma io voglio viaggiare come una spugna, non come una freccia, cercando l’armonia in mezzo alla gente, mangiare per quanto possibile come loro e conoscerne costumi e pensieri. Le case sono talmente povere e scarne che sembrano disabitate, invece sono tutte abitate, da un portone di tavole si affaccia un bimbo curioso, dentro sul pavimento in terra battuta ci sono almeno sei bimbi, alcuni praticamente neonati vigilati dai più grandi. Oggi è una bella giornata di sole e sui tetti terrazza ci sono i tappeti a sciorinà che danno colore al paese. C’è un gran movimento costante e silenzioso fra le case del villaggio, sembra un formicaio umano, lavorano tutti, le donne portano grandi fasci di legna e contenitori per l’acqua, i ragazzi guidano i muli che portano di tutto ma in particolare quella che qui chiamano “rena”, un misto di sabbione,ciotoli e terra recuperata nel greto del fiume che viene impastata col cemento “poco” per costruire. Gli uomini sono tutti impegnati nella costruzione di ampliamenti, si costruisce a “treno”per risparmiare muratura e orgogliosi mi spiegano che il paese si sta modernizzando e che tutti si stanno costruendo il bagno dentro casa, una stanza con la turca e il rubinetto per l’acqua. Tutto viene fatto a costo di grande fatica, sono strutture prevalentemente di terra senza fondamenta, costruite su pendii aspri e instabili, è meglio non pensare a cosa succederebbe in caso di alluvione o terremoto. I Berberi di montagna sono diversi da quelli di città, si definiscono orgogliosamente puri, sono tutti magri con visi affilati e denti cariati, lavorano a capo basso con una frenesia più tirolese che marocchina, le donne hanno facce bruciate dal sole e rughe profonde, sono vestite con colori vivaci, hanno tutte il velo ma il volto è scoperto, guardano sorridono e si voltano, è sconveniente dare confidenza e non vogliono assolutamente essere fotografate, mi chiamano “nisara” che stà per nazareno o cristiano. Arrivato al rifugio vengo accolto da Hassam, una giovane guida, che mi invita sulla terrazza a prendere il the con altri amici, ottimo the e panorama superbo, peccato che praticamente non è possibile scambiare una parola con una donna.
Hassam mi accompagna a fare un giro dall’altra parte della valle fino a scoprire il Monte Toubcal . Incontriamo la prima neve, poi nelle zone d’ombra il ghiaccio, cosi finalmente provo le mie scarpe coi chiodi, le 8850, il mio sponsor tecnico, i chiodi funzionano e anche Hassam da parere positivo sul dispositivo. Il sole è caldo e l’aria è secca, su tutto domina il silenzio, ogni tanto rotto dal richiamo sgloriato del muezzin del villaggio che ogni volta mi fà salta, sembra Giovannino della Zeppa quando chiama i cani della battuta al cinghiale. Guardando i tre villaggi dall’alto, la loro precarietà risulta ancora più evidente forse anche per questo c’è bisogno di un Dio così presente per la gente della valle.
Ritornando verso “casa” chiedo a un ragazzino se mi fa provare a portare un mulo, mi da la fune mal mulo un si move ci provo co le bone nulla, provo con più decisione uguale, arriva un bimbo alto un metro, gli da una voce secca e il mulo parte spedito fra le risate generali. Man mano che cala la notte la luce sembra aumentare per via della neve illuminata dalla luna ormai quasi piena e da migliaia di stelle che sembrano più grandi del solito. Prendo possesso della camera e mi preparo per la cena, stasera Cous Cous. Cena il sala chiaramente solo uomini e bimbi le donne rigorosamente in cucina.
Finito di mangiare gli uomini vanno a dormire, rimango coi ragazzi a vedere una partita di pallone alla tv, si affaccia la ragazza che avevo visto prima, mi saluta mi dice che il cous cous l’ha preparato lei. L’inizio del dialogo viene interrotto bruscamente dallo sguardo severo del più grande dei fratelli che la rispedisce nella stanza delle donne.
Il rifugio dove sono ospite è accogliente e sorprendente, dall’ esterno sembra una casa di fango, ma sulla terrazza c’è un ufficio che sembra una base di Al Quaida con telefono satellitare, adsl, tre computer e il corano sulla scrivania. Qui la gente va a letto prestissimo e si alza anche prestissimo, sono tutti a letto, mi gusto le stelle e la luna dalla finestra mentre leggo le mail che arrivano dall 'Isola, sono le tre di mattina e mi godo il silenzio sul tetto a terrazza, quando il canto di un gallo sfasato mi consiglia di andare a dormire per qualche ora.
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