La Valencia Monumentale ha un centro storico imponente, delle possenti porte a ricordo del cruento passato e tanti ponti che attraversano un fiume secco.Il fiume è stato deviato a monte della città e nel letto del fiume ormai secco sono stati impiantati giardini, impianti sportivi e costruita la futuristica città della scienza di grande impatto soprattutto al tramonto.La città è frenetica ma senza anima, è molto turistica e vi lavorano persone totalmente scollegate al luogo, il pensiero corre alla mia Isola e a tutti quei lavoratori estivi che ignorano tutto della nostra “Massima Isola” e una sensazione fastidiosa, come le comande prese con una lavagnetta dove devi mettere il numero della pietanza fotografata sul menù plastificato.Voglia di posti veri come la bettola di Corte dove mangiammo in compagnia di Corsi veri i primi di questo Novembre. Mi sembra di essere dentro una grande finzione dove tutto persone e luoghi sono ”tipicamente finti”. Ritiro le scarpe con cui farò il giro e ci prepariamo a partire, ma il treno per Malaga è completo e non si può bigliettare proviamo col bus idem, riproviamo col treno senza biglietto il primo controllore, ci manda da un suo collega con la barba che ci manda dal “Gordo” il capo dei controllori, ci pensa un po’ e poi ci fa salire si parte . |
AuthorUmberto
Sveglia a un'ora decente visita a questa cittadina catalana ricca di vestigia romane e di ristoranti finto italiani, primo problema pratico, la spina del computer non è compatibile con le prese spagnole, dopo un’ora di ricerche in una ferramenta trovo l’agognata riduzione. Tarragona vende orgogliosa i suoi monumenti, ma io ho gli occhi ancora pieni di Roma e la testa già in Africa. Sosta all’internet point e partenza direzione Valencia dove devo recuperare le scarpe che faranno il giro del mondo.La stazione ferroviaria di Valencia è posta a fianco della grande Arena che noto con piacere ospita un tranquillo circo. La città è molto grande e piena di gente domani la visiterò |
A Ventimiglia cambio veloce per Nizza su un treno francese. La famosa costa azzurra molto cementificata e Montecarlo con i suoi lussuosi panfili, un’ora a Nizza per fare colazione con cioccolata, baguette e marmellata e poi un treno confortevole fino a Montpellier. Il cielo si apre e i colori sono familiari, c’è tanto pino di Aleppo e poi sughere, lecci e ginestre, i vitigni sono estesi e molto bassi, il colore del terreno alterna il giallo all’ocra tendente all’arancione. Image A Montpellier (nella foto) c’è un gran sole, la città è viva e allegra una vigilia di Natale che sembra primavera. Montpellier è multietnica, ma si respira l’aria gitana della Camargue, dopo tre ore piacevoli si riparte in treno direzione Barcellona. Il treno spagnolo è più vecchio e meno ordinato, ma più spazioso e colorato, dai finestrini si vedono i famosi cavallini bianchi, sorge una splendida luna piena e il riscaldamento a palla del treno porta l’Africa a bordo. Faccio amicizia con un bimbo di 2-3 anni. Arriviamo a Barcellona alla stazione franca alle 21,45 in un’ambientazione surreale, la stazione è deserta e tutto serado è la vigilia di Natale. Hotel davanti alla stazione, poi in giro nella città vecchia, c’è un concerto nella cattedrale stracolma di gente, ma alla messa di natale preferisco una cena che risulta molto difficile tutti stanno chiudendo, quando sto per perdere la speranza un accogliente taverna, totani ripieni e patate al baccalà Buon Natale |
Intanto che aspetto Elias (nella foto con Umberto durante la pagaiata dall'Elba a Roma – n.d.r.) alla stazione assisto a una scena esilarante : una giovane coppia di napoletani esce dalla stazione , lei spinge un passeggino con un bimbo infagottato al limite dell’asfissia e si accinge ad attraversare la strada deserta quando il compagno con un urlo strozzato e disperato la ferma e la costringe a attraversare dalle strisce pedonali “ci vogliamo far riconoscere subito” dice, “qui la gente è civile”continua serio e bacchettone.Arriviamo al maso di “Zige” alle 3 e mezzo. Sveglia all’ora di pranzo colazione al bel Maso e visita a Bozen , con i mercatini di Natale. Elias ci porta al museo archeologico per vedere Otzi il famoso “uomo dei ghiacci”. Saluti e partenza per Verona . Nella città scaligera una visita notturna con pausa pizza. Lasciamo piazza delle Erbe, l’Arena e la casa di Giulietta, per tornare alla stazione.IL treno ha solo vagoni letto, ogni vagone ha un suo responsabile un orgoglioso omino in divisa da “tranviocameriere” fiero del suo vagone letto che dopo aver protestato per il ritardo di prenotazione apre la porta del magico scrigno tre brande, un comò cesso lavabo e una finta finestra. Verona Ventimiglia per la “modica” cifra di 70 Euro. |
Ho un sonno arretrato che domina tutte le mie azioni, è normale negli ultimi giorni praticamente non ho dormito. La spiaggia deserta e il mare nebbioso di Rimini mi evocano il deserto, l’interminabile schiera di alberghi alle spalle meno, in tarda mattinata ci incontriamo con Jader.
Jader è un creativo che ho conosciuto durante una traversata trekking dell’Elba, a cui ho chiesto aiuto per costruire il sito del viaggio: se leggerete queste righe sarà in gran parte merito suo e della sua splendida famiglia. Oltre che “vendere le idee” per lavoro è anche artista puro ,mi colpiscono in particolare Benito-Che (nella foto) la crocifissione della Nike, però anche panni puliti, 11 settembre e la scacchiera….
E’ ormai pomeriggio inoltrato quando lascio Rimini, il treno ferma a Bologna pochi passi sotto la pioggia, per ingannare l’attesa e poi partenza per Bolzano dove alla stazione ci verrà a prendere Elias con cui un mese fa ho fatto una bella pagaiata dall’Elba a Roma.
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Venerdì pomeriggio la sagoma dell’Elba vista dal traghetto. I ricordi ed i pensieri si sovrappongono e si accavallano senza sosta, quello che fino pochi minuti fa era il quotidiano è già passato. L’ultima traversata, l’ultimo giro isola, ultimo saluto, ultimo traghetto Elba Piombino. Ora si cambia termine, primo treno, prima tappa Firenze, primo incontro Serena, prima notte Rimini.Luci, canali fumanti, hotel francese, incontro Max Gazze’ che rimane colpito dal mio viaggio e mi parla della visione troppo geometrica che abbiamo del mondo e mi dice “la realtà che viviamo è dove siamo”. |
Dopo qualche giorno di meraviglie selvagge mi fermo in un paese con internet, elbareport la mia finestra sull’Elba ha dei problemi ma riesce comunque a darmi una notizia dura:
Giovannantonio è morto
“Moreno sempre li meglio” viene da pensa’, certo la morte un si augura a nessuno e nemmeno il canchero che è anche peggio come diceva Elise, ma se a schiantà fosse stato l’enzo, marandino ol cardenti non ci sarei rimasto cosi male
Ci sono delle persone che conosci da sempre e pensi che siano immortali come le coti di granito e invece no all’improvviso vanno via e ti lasciano un crampo tra lo sterno e la bocca dello stomaco che un si po’ spiegà
Giovannantonio era amico di Babbo, per me era un mito, beretta di paglia camicia a quadri, pantaloni corti ciabatte di plastica e via sempre in azione, sul poclain, sulla ruspa o sul camion o anche col trattore per tirà fori ruspe e cami impantanati da Franco o Marietto, sempre di corsa e sempre col sorriso sulla faccia abbronzata e rugosa da omo bono.
Sempre sorridenti e con la battuta come quando finito di lavorà andavano con babbo a fa l’ultimo viaggio, quello pe’ i lavori di casa.
Gente speciale che sbancava e cementava sì, ma da Elbani che amavano l’Isola che se c’era un bell’erbrito o una ginestra o una bella ciuffata di scopa in mezzo a uno sbancamento gli si girava intorno, radicati nello scoglio fino a trova’ la vena dell‘acqua. Gente che nel tempo libero “poco” va al mare a fa’ lampate o ricci pe’ mangiasseli o magari pe regalalli ma mai pe’ vende.
Che si fa la casa in mezzo alla macchia e ai frutti dove quando ariva il tempo giusto si fa la conserva e le marmellate.
Lavoro fatica onesta e la faccia serena a fine giornata, quella che c’ha solo la gente perbene, quella che i vagabondi i ladri e i banditi non c’avranno mai nemmeno se si comprano il mondo perché quella un la vendeno, te la devi merita’.
Bona Giovannantonio.
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Esco di casa con l’idea di andare su internet perché la sera c’è troppo traffico e la rete si paralizza, ma la giornata è bellissima e mi ritrovo a camminare fra le dune fuori paese mi colpisce una strana costruzione isolata fra il deserto e il mare: è un cubo con una cupola sopra tutto bianco, ha un apertura senza porta, sembra la tomba di un marabutto (santo) ma non lo è. Intorno c’è un pozzo secco e i resti di qualcosa ma non capisco cosa. Camminando fra le dune raggiungo la spiaggia dove i ragazzi di Tarfaya si divertono a surfare le onde e qui incontro un personaggio speciale, Salek il pescatore, mi fa un po’ di domande è curioso parla fitto in francese misto allo spagnolo con cadenza araba, mi fa vedere una lettera spiegandomi che lui legge e scrive arabo, inglese, spagnolo e francese. È una lettera speciale trovata otto anni fa dentro una bottiglia di vetro sulla spiaggia di Tarfaya, l’ha scritta uno spagnolo che allora aveva quarantotto anni in un momento di disperazione, era appena morta sua moglie. Salek gli ha risposto e da lì è nata un amicizia, prima epistolare poi vera, lo spagnolo viene tutti gli anni qui e lui è stato suo ospite in Spagna, mi fa veder anche l’ultima lettera, “è veritad tuta veridat”. Dice che sta andando alla baracca a limpiar gli rete. Gli chiedo se lo possiamo accompagnare, è sorpreso ma contento della richiesta e ci avverte che sono otto chilometri per andare e otto per tornare e che bisogna essere molto allenati come lui che fa questo tutti i giorni. Iniziamo questo cammino lungo la spiaggia, Salek ci tiene a precisare che lui non è un marocchino ma un Saharawi, un uomo del deserto, i marocchini pensano solo ai soldi e chiedono sempre, sanno solo prendere ma non sanno vivere nel Sahara. Gli chiedo della bianca cupola e mi spiega che è un monumento in memoria di Antoine de Saint –Exupery che precipitò proprio lì. Grazie a lui riesco a vedere il piccolo aeroporto fra le dune che prima avevo attraversato senza vederlo. Quelle che sembrano baracche dei pescatori sono in realtà postazioni della gendarmeria che vigilano lungo la costa contro l’immigrazione dei clandestini verso la Spagna che arrivano soprattutto dal Mali, dalla Mauritania e dalla Nigeria. Sono senza divisa, vestiti come pescatori, ma si riconoscono dalle impronte degli anfibi. In realtà i militari non hanno molto da fare e alcuni hanno messo una rete per pescare. Salek ha una passione per le impronte: le sue, le mie di prima, quelle di un amico, quelle dei militari, le bici, le auto, ieri, oggi, stamani, due giorni fa… “i Saharawi guardano sempre le impronte” dice. Si cammina e si parla. Salek controlla tutto quello che porta il mare. Arriviamo alla famosa e decantata capanna. In realtà Salek non ha da fare niente, le sue reti sono in terra. A lui piace camminare sul mare, pensare e parlare con la gente che incontra. Mi ricorda un vecchio cacciatore isolano che mi confidò che a lui della caccia non gliene fregava niente, ma per anda in giro pe i monti senza esse preso per matto prese il porto d’armi. La capanna è un mirabile esempio di riciclo. È costruita interamente con materiale di recupero con estrema cura, le pareti sono di tavole coibentate all’interno con cartoni e plastica per non fare entrare il vento; fra i chiodi e il rivestimento ci sono delle guarnizioni fatte con plastica più doppia. Ci offre di dormire nella sua reggia sul mare, sono tentato ma declino l’invito. La zona di Dakhla mi attira molto, questa notte o domattina voglio partire. Capisco a cosa serviva il carbone, a cuocere il thè, perché il vero thè si cuoce sul carbone non con il gas come fanno i marocchini. È arrivato un altro pescatore, siamo in quattro. Salek ha un panino e una sardina, prepara quattro parti, la sua è la più piccola e si fa merenda, bevendo un thè eccelente. Parla come un profeta, i poveri vivono meglio dei ricchi e qui si sta meglio che in Europa e lui l‘ha vista, è un posto dove se non lavori muori di fame, qui qualcuno ti aiuta sempre. Le città sono tutte pericolose e la gente diventa cattiva perché non parla con il vento e con il mare, e lui le persone le giudica dagli occhi, dal sorriso e dalle mani, non gli interessa se uno è ricco o povero, se cristiano o mussulmano e mi esorta a diffidare di quelli che pregano troppo. Spiega che lui ha sempre voluto pescare con la rete fissa perché vuole pescare per mangiare e i pescatori con le barche devono pescare per la barca, per la benzina e poi per loro. Dice tante cose ma è soprattutto la coerenza fra le parole e lo stile di vita che rendono questi momenti intensi. Si riparte per accompagnare un giovane pescatore al controllo della sua rete. Con una muta rattoppata, un sacco e un legno va a controllare le reti che partono dalla riva. Camminando fra le grandi onde dell’oceano dopo mezzora di controllo il bottino: un sarago che regala a Salek. Rientriamo a Tarfaya che è notte. Il bus della notte è completo, si parte domattina alla 5. |
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