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Oua Oua Uno dei personaggi più caratteristici di El Attaya è sicuramente Oua Oua, un’occhialuto signore brizzolato di mezz’età dalla fisionomia tipicamente italiana. Passa le giornate a fumare la shisha aspettando turisti a cui propone qualsiasi tipo di intermediazione e servizio e saluta sempre tutti con “Oua Oua” che dovrebbe esser qualcosa di simile a “è Lui, è Lui” Si chiama Mohammed ma per tutti è Tin Tin detto Oua Oua. Si racconta come il responsabile della tutela degli uccelli delle Isole di Kerkennah, però li chiama tutti gabbiani, è sempre di buon umore e lo trasmette anche agli altri, amico di tutti e tutti lo vedono con simpatia. A El Attaya se non hai voglia di stare solo e non vuoi fare discorsi complicati, c’è sempre il mitico Oua Oua che ti aspetta dietro la nuvola di fumo della sua immancabile shisha. |
CategoryAgosto 2008
I viottoli, le strade e le autosrade La serenità del viaggio è minata dalle notizie che arrivano dall’Elba, sono in disaccordo con i miei soci e questo mi disturba alquanto. E mi dispiace tanto perché la filosofia del Viottolo la vorrei esportare come sempre nel massimo rispetto della natura e delle persone. Sogno una rete mondiale di viottoli e qui, come del resto anche in Marocco, ho incontrato delle persone con cui si potrebbe fare un discorso comune legato a un turismo della natura e della gente, lontano da dinamiche commerciali globalizzate, solo che ho la sensazione che sia proprio il Viottolo che si stia allontanando dal mio modo di ragionare. |
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In attesa del drago fortuna Andiamo a Ramla, Il presidente Ben Ali è partito e internet ritorna a funzionare, così posso spedire testi e foto e aprire la posta per rispondere tra gli altri ai deliranti fratelli martorella. Anche oggi è una giornata caldissima e decido di andare a vedere la spiaggia delle mille palme, a detta di tutti la più bella dell’Isola. Da Ramla si attraversa l’Isola cambiando versante camminando in una zona praticamente desertica, poi si iniziano a vedere le palme che sono sempre più numerose man mano che ci si avvicina al mare . La spiaggia è molto bella e suggestiva, con sabbia bianca e le palme alle spalle. Arriviamo con la bassa marea e non c’è quasi nessuno, però ci troviamo Samir con il gruppo dei turisti francesi, tre famiglie coi bimbi piccoli, si spostano con due feluche e la solita barca cucina e per la notte hanno già montato una grande tenda sulla spiaggia. Comincia a calare la temperatura e ad arrivare sempre più gente, la spiaggia diventa sempre meno bella con i turisti tunisini che hanno la brutta abitudine di arrivare con le macchine fino alla riva, si concentrano tutti in uno spazio molto limitato di circa duecento metri. Facciamo un giro intorno e troviamo tanta alpha o sparte una specie di paglia marina che fino a poco tempo fa veniva usata per fare corde, reti da pesca e ceste. La marea sale velocemente e la zona cambia aspetto, con la spiaggia che diventa una striscia di sabbia e i cespugli, circondati dal mare, tanti isolotti. Sulla via del ritorno si incontra una vecchia fornace per la calce, un marabutto e alcuni olivi secolari. Passiamo davanti all’impianto di dissalazione reso necessario dalla costruzione degli hotel, che ha risolto il problema idrico dell’approvvigionamento dell’acqua anche per le case, ma ha creato un impoverimento del suolo e una crisi profonda dell’agricoltura. L’acqua viene dissalata da pozzi all’interno dell’isola, questo però ha provocato l’abbassamento della piccola falda dell’isola facendo entrare il salmastro nel terreno e accelerando il processo di desertificazione e di conseguenza anche quello dell’abbandono dell’agricoltura, comunque causato anche dal cambiamento dell’economia. Poco distante dalla bella spiaggia, in una grande zona resa asciutta da una diga che funge anche da strada, c’è il progetto di costruire un grand hotel, il così detto hotel ecologico a cui sembra Ben Ali abbia dato il benestare e a poca distanza gli impianti di trattamento del gas. Strutture turistiche, impianti di dissalazione, impianto di trattamento del gas e sull’orizzonte le piattaforme per l’estrazione del gas di grandi industrie petrolchimiche Petrofac, Tps, shell, british gas, progetti futuri apparentemente contrastanti ma in realtà legati, che io vedo come una tremenda minaccia per gli equilibri culturali economici e sociali delle Isole Kerkennah. Dissalatore per riempire le piscine, così non serve il mare bello, alberghi per dare lavoro così se l’inquinamento fa morire spugne e pesci la gente non rimane senza lavoro e se l’Isola diventa desertica e non si può più coltivare non è un problema, le merci si portano dal continente che costano meno. Un disegno diabolico ma come spesso capita la gente vede positivamente nella speranza, nel miraggio di una condizione di vita migliore, più semplice e più ricca senza pensare che così si distruggono le radici, la dignità e soprattutto si perde la libertà. Vorrei parlare di turismo legato all’ambiente e alle tradizioni, gestito direttamente dalla gente del posto ma è difficile e si rischia di essere patetici ed enfatici. È sempre la stessa sceneggiatura che si ripete continuamente, un po’ la costante negativa di questo viaggio, quella di avere sempre la sensazione di vedere un qualcosa di bello e vero per l’ultima volta, un cavalcare davanti a un’onda di omologazione globale, come il Nulla della Storia Infinita. Nell’attesa di trovare il Drago Fortuna prendo nota. Il sole sta tramontando, bello e grande come sempre, nella laguna scompare fra il mare e le sagome delle palme proprio dove una famiglia si è accampata per cenare e passare una serata sul mare, è un posto bellissimo e infatti è proprio dove vogliono costruire il grand hotel. Ormai è notte, incontriamo un pastore con i suoi cani che sta godendosi la luna dopo aver portato nel chiuso le pecore e poi entriamo a Ramla. Decidiamo di tonare a Sidi Frej anche per sfruttare la wi-fi che aleggia fra le strutture alberghiere. Andiamo a mangiare al Cercina dove la gente del posto ci riconosce, sono tutti stupiti di vedeci ancora qui, i turisti di solito stanno due tre giorni e poi vanno via, incontriamo anche Fathi tutto intoponito che ha abbordato una bolognese. Passiamo qualche ora su internet e poi si rientra a Ramla che ha ripreso il suo ritmo quotidiano, sono circa le due e mezzo di mattina e c’è ancora tanta gente in giro, le due pasticcerie sfornano continuamente paste alla crema e al cioccolato. Poi arriva il pullamn per El Attaya che a una velocità folle attraversa tutta l’isola senza fermarsi fino a Kraten, poi torna indietro e ci scarica a El Attaya che è quasi l’alba. |
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Guarda Ouarda Ci troviamo alle otto al mare, Ali Baba freme dalla voglia di raccontare, prima mi fa vedere la prima casa dell’italiano di El Attaya che è proprio dietro al negozietto di Lathy, poi mi indica il luogo dove l’italiano ha incontrato le prime persone di Kerkennah e ha pronunciato la ormai mitica parola “guarda” oggi questo luogo si chiama la piazza dell’italiano. La G è intraducibile in arabo, non esiste e quindi Guarda è diventato Ouarda, ma qui a El Atrtaya vengono chiamati semplicemente gli italiani. È un racconto ricco di enfasi quasi recitato con gesti, pause e una mimica facciale espressiva e coinvolgente. Ali Baba mi fa partecipe del suo desiderio di ricerca delle proprie origini e mi racconta la storia della sua famiglia, dal primo Ouarda l’italiano unico sopravisuto al terribile naufragio che raggiunge a piedi l’Isola, con i piedi feriti affamato e terrorrizato per la terribile avventura viene soccorso dalla gente del posto, ha paura di essere ucciso e grida “guarda, guarda” indicando i resti dello sciagurato legno. Viene accolto dai Kerkenniani e decide di non prendere mai più il mare al largo, a più di cinquanta anni decide di si stabilirsi sull’Isola, diventa mussulmano e sposa una donna bellissima di origine berbera e si mette a fare il pescatore, non si allontanò mai più dalle basse acque costiere di Kerkennah. Portò sull’Isola innovazione nel campo della pesca e alcune terminologie marinare dell’Isola. Ali Baba dice che termini come la nassa, il tramaglio, cima, scotta, scalmo sono arrivati sull’Isola con Ouarda (io credo che la vicina Sicilia abbia influenzato da molto prima Kerkennah). È un racconto che saltella nel tempo, un po’ alla Gino Brambilla il mitico ispettore onorario per l’archeologia sottomarina dell’Isola d’Elba, ma ricco di enfasi, entrano dentro Fenici, Cartaginesi, Annibale, i Romani, la regina Cercina e le sue ancelle, i pirati, i corsari, i contrabbandierei italiani e i vari personaggi e tutta la genealogia della famiglia Ouarda partita dalla frase detta dal naufrago spaurito. È un racconto senza sequenza cronologica ma con collegamenti logici e romantici, si parla di storie d’amore fra genti di luoghi diversi con un comune denominatore l’attaccamento a questa Isola. Il figlio del primo Ouarda diventerà l’uomo più ricco di Kekrennah un abile commerciante che trasportava merci tra Sfax e Kerkennah si chiamava Mohammed. Suo figlio, (il nonno di Ali Baba) è un retto mussulmano (al racconto me lo figuro come Mohammed di Agadir Bou Achiba) conosce il corano a memoria e diviene il riferimento spirituale della comunità. Il padre di Ali Baba, come Mohammed, ha invece i vizi e le attiduni degli italiani, beve vino e alcolici e ama commerciare e pescare in altura. Ali Baba è un veterinario e attualmente vive a Sousse ma non vede l’ora di tornare a vivere qui. Insieme a noi c’è Majed il fratello più piccolo, un ragazzo sui venticinque anni in attesa di un posto di insegnamento, che attualmente fa il pescatore di spugne e nei prossimi giorni andrò a fare una pescata con lui. Parliamo anche della Galite e raccolgo preziose informazioni perché Ali Baba qualche anno fa ha fatto uno studio proprio a La Galite sulle capre dell’Isola anche loro di origine italiana. Su quest’Isola ha vissuto per decenni una numerosa comunità di origine Ponzese, in un certo senso anche io lì potrei trovare dei collegamenti con le mie antiche radici, la radice comune di questa razza bastarda dei mediterranei che poi è il vero motivo che mi spinge a prolungare la nostra presenza in questa terra. Ci trasferiamo a casa attraversando la parte vecchia del paese di El Attaya che è di gran lunga la più affascinante con le sue case bianche e basse con i piccoli pergolati di vite per proteggersi dal sole, la casa dei Ouarda è molto grande e bella, Ali Baba ci fa vedere la prima casa, le cisterne per la raccolta dell’acqua piovana e tutto il resto. Facciamo conoscenza dell’anziano padre e poi mangiamo in compagnia di Miriam la sorella. Le due ore passano in un battibaleno e poi torniamo a casa dandoci appuntamento ai prossimi giorni appena mi sarò rimesso in pari con i lavori. |
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L’italiano vero “Siedi qui” mi sento dire in italiano, “tu italiano, anche io sono un italiano vero guarda!” e mi mostra con orgoglio i suoi occhi celesti prova per lui inequivocabile dell’italica genia. Ali Baba è un kerkenniano di origini adriatiche, mi racconta di un suo antenato giunto qui un paio di secoli con un peschereccio proveniente da Misano. Mi fa vedere il suo documento con il cognome Ouarda, mi spiega che significa “guarda” perché il naufrago alle prime persone che lo soccorsero disse “guarda” indicando il relitto del peschereccio affondato di cui lui era l’unico sopravvissuto, e siccome la g in arabo non esiste, è impronunciabile, divenne subito Ouarda e questo diventò il cognome di tutti i suoi eredi. La storia che mi racconta Ali Baba è molto bella e mi incuriosisce e ci diamo appuntamento a domani sera per parlarne con calma, ora voglio andare a Ramla per comprare il regalo a Adam che oggi compie otto anni. Nella notte le gigantografie e le bandiere sono cresciute e in questo delirio sventolante facciamo un salto al circolo canottieri di Ramla dove ieri sera ho visto dei kayak da mare, non sono messi benissimo ma i ragazzi del circolo mi confermano che si possono noleggiare e questa è una grande notizia. Rientriamo a casa Bouzida per il più classico dei compleanni con torta, candeline, cappellino di carta e canzoncina in inglese, quella che solo io non sono capace a canta’ e finiamo la serata a giocare con le macchine nel portico. La serata è musicata dal suono ripetitivo e assilante del folklore, oggi si chiude la settimana di festeggiamenti del matrimonio della sorella di Tarek, il ragazzo dell’internet point, che ci ha invitato più volte. Facciamo un salto, c’è mezzo paese, ormai siamo di casa ci accolgono calorosamente dicendoci che noi non siamo turisti “siete come i kerkenniani”, certo che rispetto ai pochi francesi o inglesi che si sono visti in giro siamo molto diversi, si mangia con le mani, si cammina scalzi e di notte ci si muove senza torcia. |
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La Luna Nera C’è vento forte di maestrale stamani e le barche sono tutte ferme in porto, però si sta bene perché finalmente si respira. Facciamo un giro sul mare e fra i cantieri che non si fermano mai, poi si compra il pane caldo e si torna a casa, io a scrivere e Serena a scegliere le foto. In serata andiamo a Ramla dove siamo stati invitati alla festa di fidanzamento di Sami. Internet è sempre abbuiato per la visita del presidente Ben Ali che è atteso sull’Isola questa sera. È una serata piacevolmente ventosa, la luna è piena ma piano piano scompare oscurata da un eclissi totale. Le stelle si riaccendono intorno alla Luna Nera, proprio Lei la luna tetra che porta l’angoscia nella notte più luminosa, Lei quella del malocchio, richiamo di adunanza per streghe e divinità malvage nelle leggende di mare, segnale di sventure, sortilegi, malie e anche attacchi pirateschi. Evoca mille immagini fantastiche ammirata dalla spiaggia che la marea ha inventato al posto del mare, sicuramente suggestiona meno rientrando nel centro di questa Ramla di bandiere e festoni con i militari che fanno capolino da tutti gli angoli. Ci chiamano, è Samir con un suo amico, ci caricano in furgoncino e ci portano alla sede del sindacato dove è in corso la festa di fidanzamento. Cerco Sami ma non lo vedo, Samir me lo indica, è irriconoscibile impacciato dentro un vestito da continentale d’ufficio, sembra un testimone di Geova con la divisa d’ordinanza per anda’ a rompe’ i coglioni alla gente nelle su’ case. I festeggiati sono sul doppio trono coronato, la ragazza imbalsamata nel suo costume e il povero Sami spaurito ed estraneo al contesto voluto e organizzato dalla fidanzata di origini Kerkrnniane ma ormai Sfaxiana di residenza e di modi, come ci spiega Naima che ci tiene a prendere le distanze dalla cerimonia in stile continentale voluta e offerta dalla sposa, anche Naima ci conferma che nessuno del villaggio riconosceva Sami sbarbato e senza l’immancabile cappellino. Musica a palla araba e internazionale con Shakira che la fa da padrona, i famosi dolci di Sfax considerati i migliori della Tunisia buonissimi e simili a quelli siciliani e succhi di fragola e limone. Giro per la sede del sindacato intitolata a Farhat Hachet e Habib Achour i sindacalisti più importanti della storia tunisina, entambi originari del villaggio di Abassya e orgoglio di tutti i Kerkenniani. Le foto in bianco e nero li ritraggono impegnati in grandi manifestazioni in favore dell’indipendenza dai francesi, per le donne, per i diritti dei lavoratori, per il diritto alla pensione. Esposti nella sede ci sono foto dell’intifada e manifesti di sostegno alla nazione palestinese, denuncia per il processo sommario subito da Sadam Hussein alla prepotenza statunitense di cui Busch ne è l’icona negativa e alle multinazionali del petrolio che stanno diventando le padrone del golfo di Gabés. Fra queste foto questi manifesti e questi ciclostilati ci starebbe bene una foto di Pietro Gori col baffo lungo e l’occhio lungimirante, e anche un poster con la faccia serena e fiera dell’Anarchico gentile e a fianco il testo nei bei caratteri arabi di “Per la felicità di tutti gli uomini”. Nelle foto di Hachet e Achour osservo i loro sguardi fieri e gli occhi speranzosi di chi li ascolta che mi rammentano le foto di Gori eroe senza macchia e difensore dei poveri, primo protagonista dei racconti sotto la leccia alla Bonalaccia. Racconti dove gli anarchici erano considerati come i marabutti qui: uomini retti ed eccellenti, le cui azioni erano figlie dell’idea e non dell’interesse. Le foto del corteo funebre di Farhat Hachet morto assassinato nel 1952 sembrano clonate dal funerale dell’autore di Addio a Lugano, c’è il piroscafo e il bagno di folla sull’Isola e sul continente, Pietro come Farhat, un’associazione che mi viene istintiva e che voglio approfondire. I poliziotti vengono a dire che è ora di interrompere i festeggiamenti, sta arrivando il presidente Ben Ali e bisogna togliere le tante macchine che occupano la strada. Ramla è imbandierata e illuminata dai lampeggianti di camionette e volanti che riflettono la loro luce ad intermittenza sulle gigantografie della propaganda. In un’atmosfera da Blad Runner magrebino saliamo tutti in macchina a sei sette per auto e facciamo ritorno a El Lattaya come se fosse un rientro a Mompracem, mentre mi immagino una Ramla colorata con la gente in festa per le strade e in qua e in là le gigantografie in bianco e nero di Pietro Gori con a fianco scritto “da ciascuno secondo le proprie forze a ciascuno secondo i propri bisogni”. Samir è rimasto deluso dalla serata e mi chiede scusa per avermi portato a questa festa da continentali che poi è venuta anche male perché per la visita del presidente hanno bloccato i traghetti e non è stato possibile portare tutta la coreografia, ma per me è stata una serata densa di emozioni per i tanti pensieri e perché mi sono sentito parte di una comunità. |
Il naufragio Si cambia casa, oggi arriva la cugina di Naima con la famiglia e ci trasferiamo nella casa di un amico di Samir. Con Samir vado ad una riunione di uomini di Kerkennah sui problemi del villaggio, incontro uno dei pescatori della “Sautade”, il professore di matematica del liceo e altri personaggi di El Attaya. Ormai sono “El Haj” per tutti, l’Insulaire del Tirreno, la cosa che li lascia perplessi è che pur non essendo mussulmano sono l’unico alla riunione che non beve alcolici e non fuma. Le idee sono buone, salvaguardia dell’ambiente e delle tradizioni e turismo eco sostenibile, ma respiro poca convinzione, il miraggio dei facili guadagni che potrebbe portare il turismo di massa aleggia nell’aria e i progetti che le compagnie petrolifere stanno proponendo per tenere calmi i pescatori sono inquietanti, grandi alberghi ecologici (ormai è tutto ecologico anche le centrali nucleari e le mine antiuomo) per dare lavoro a tutti. Andiamo a Ramla, dopo qualche problema riesco a connettermi a internet ma solo per pochi minuti poi viene tutto abbuiato a causa della visita del presidente, pochi minuti ma sufficienti per scoprire che all’Elba è naufragato un gruppo di nove kayak |
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Il quarantesimo giorno, la prima uscita Durante la notte sale la marea e la barca ritorna a galleggiare, ma al mattino quando mi alzo è nuovamente in secca. Amor e i francesi hanno già smontato le tende e preparano i bagagli da portare a bordo. Arriva Samir tutto trafelato, è venuto a piedi da El Attaya perché, dice lui, che è andato a dormire a casa. Facciamo colazione e poi i francesi si avviano a piedi verso il lato sud dell’isola dove li attende Sami con un’altra barca per portarli al porto. Noi insieme a Samir e Amor carichiamo i bagagli sulla feluca e poi ci avviamo verso El Attaya a piedi mentre Samir e Amor porteranno i bagagli con la barca. Camminiamo nel basso fondale incontrando anche garzette e aironi cenerini, anche il tratto di mare tra l’isola di Grimdi e Chergui lo facciamo quasi tutto a piedi e nuotiamo solo negli ultimi cento metri. Arrivati al porto vecchio aspettiamo, insieme ai francesi ansiosi, il rientro della feluca che sta combattendo con la bassa marea trainata da Samir. Dopo una mezz’oretta arriva la feluca, scarichiamo i bagagli e ci salutiamo con i francesi che partono subito dopo aver ultimato il carico, alla volta di Tunisi da dove voleranno direttamente in Francia. Facciamo un salto a Ramla dove oggi c’è il grande souk settimanale per fare la spesa, il caldo nel capoluogo kerkenniano oggi è soffocante. Ramla è in agitazione perché è atteso nei prossimi giorni forse già domani il presidente della repubblica ed è la prima volta che viene alle Isole Kerkennah. Sembra di rivivere un po’ la situazione di Midelt quanto arrivò Il re con imbandieramenti e gigantografie di Ben Ali che appaiono dappertutto. Torniamo a casa con un taxi stracarico che accoglie anche nel bagagliaio un pescatore con un fuoribordo che viene appoggiato proprio sul sacchetto dei pomodori. Andiamo a casa e mangiamo in compagnia di Naima. Naima è una professoressa di Fisica materia che insegna al liceo di Ramla, è piacevole parlarci è una persona molto intelligente. Non ama viaggiare perché ci vede più disagio che piacere e non farebbe mai un viaggio fuori dalla Tunisia per piacere ad esclusione del pellegrinaggio alla Mecca, ma spinge la figlia Amal a studiare ed a fare esperienze di studio e lavoro anche all’estero. Ci racconta di come era rigido il suo babbo pescatore, contario ai suoi studi che la obbligò a sospendere quando si fidanzò con Samir, studi che ha poi ripreso dopo sposata andando a vivere da sola a Sfax, destando scandalo fra i tradizionalisti più bigotti. Naima è una rivoluzionaria, ma con grande rispetto e amore per le tradizioni che sente sue, è una donna di sostanza e persona bella, ama il suo lavoro e la sua famiglia preferisce passare il suo tempo a casa perchè non ci trova niente di stimolante a parlare con persone con cui non riesce a trovare profondità di dialogo. Si parla di tante cose dei problemi della scuola e del mondo legato alla fisica la sua passione, del disagio giovanile e dell’esaltazione dell’apparire scambiata per progresso. È una di quelle persone che più ci parli e più ti viene voglia di parlare, ha gli occhi grandi e larghi e quando parla guarda con dolcezza ma anche con fermezza come fanno le persone convinte e sincere. Arriva la nonna che ci annuncia un grande evento la visita di Haishya la figlia del fratello di Naima. Accompagnata dalla mamma dopo quaranta giorni dalla nascita nel rispetto delle tradizioni esce per la prima volta di casa e va a fare visita alla casa della sorella maggiore del babbo. La piccolina paffuta e capellona dorme serena, viene adagiata al centro del letto circondata da cuscini e coperta da una zanzariera. Questa giornata è dedicata al suo ingresso nella famiglia, fino a ieri secondo la tradizione il suo mondo era solo quello della madre. Lascio le donne di casa alla loro intimità e ripenso con ammirazione a come Naima sia riuscita ad armonizzare le tradizioni con le ambizioni personali. |
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La” Sautade” la pesca a piedi ai muggini saltatori Mi alzo che è già giorno, i pescatori stanno rientrando dalla pesca notturna con i tramagli e le feluche avanzano silenziose con le loro eleganti vele latine. A bordo delle barche ci sono anche tante donne, qui spesso l’equipaggio è formato da moglie e marito. Fatta colazione carichiamo, si scioglie la vela e si parte, gironzoliamo fra le barche incrociando pescatori che pescano con le nasse ma raccogliendo un bottino assai magro e poi incrociamo una battuta di pesca al muggine che viene fatta con la “Damsa”. Seguiamo i pescatori e facciamo una cala con loro, una pesca scenografica e inusuale, una pesca camminata nell’acqua, gli uomini si buttano in acqua vestiti e con l’immancabile capello di fibre di foglie di palma intrecciate, camminano nell’acqua per sostenere e salpare le reti. È una battuta che coinvolge dodici persone e tre barche, un motopesca e due canot che vengono trainate dalla grande durante gli spostamenti fra un cala e l’altra. Si va a caccia di mulet (Muggini saltatori). Questa tecnica di pesca è chiamata “Sautade” la pesca è veloce e spettacolare, individuato il branco di muggini il capo pesca a bordo della prima canot inizia a calare la rete verticale “la sor” un tramaglio, il capo pesca sta a prua in piedi con la karia (una pertica) in mano e indica la rotta mentre a poppa il vogatore oltre a spingere sui remi cala la rete, il terzo della barca si lancia subito in mare per fare da perno al tramaglio, subito a seguire l’altra canot stende sopra al tramaglio la rete orizzontale “la damsa” una rete a maglie piccole tenuta distesa da canne “Ksab” e galleggianti. Man mano che la cala avanza disegnando una spirale che si apre all’esterno i pescatori si lanciano in mare per sostenere la rete e iniziare a tirare la Sor in senso inverso rispetto alla cala, per cominciare a chiudere la morsa intorno al branco dei muggini, da qui capisco il senso della rete verticale che blocca i muggini che cercano di fuggire saltando. Mi metto a tirare il tramaglio e i pescatori sono ben lieti, è faticoso ma divertente bisogna tirare la rete a velocità costante stando il più vicino possibile al tramaglio più esterno. Mentre il cerchio si rimpiccolisce, dalle barche si comincia a salpare le reti, più il cerchio è piccolo e più i muggini saltano rimanendo intrappolati nella rete orizzontale, poi una volta chiuso il cerchio, si cala dentro questa camera della morte la skara, una specie di sciapichello che chiude sul fondo e permette di prendere i pochi muggini rimasti e qualche pesciotto bianco, soprattutto saraghini e dorade. Il tutto è molto veloce dall’inizio della cala alla messa a bordo della Skara saranno passati venti minuti, sono contento mi sono sentito uno della squadra, seguiamo la piccola flottiglia e facciamo un’altra battuta assieme. Questa volta entro subito in acqua e mi metto a tirare il tramaglio, il capo pesca ha visto giusto e facciamo una bella cala, prendiamo più del doppio rispetto a prima infatti sono tutti contenti. Ci prendiamo un sacchetto di pesce e si fa vela verso l’isola delle cento palme la sciando la squadra che andrà avanti fino a stasera con questa faticosa pesca a piedi. Il risultato non è malvagio però se si calcola che sono impegnate dodici persone i guadagni non devono essere gran che. In realtà la pesca nell’arcipelago è in crisi, colpa di tanti fattori: la crescente attività estrattiva nel golfo di Gabés, le barche da pesca che vengono da lontano e che pescano a largo, anche qui una delle cause principali sono le paranze, le maledette paranze che distruggono i fondali e catturano il pesce prima che arrivi sottocosta. Si chiama cento palme ma in realtà di palma c’è ne una sola e c’è una gruppo di persone di El Attaya che è arrivato prima di noi e sotto la palma le donne hanno allestito un accampamento, mentre gli uomini stanno pescando con uno sciapichello. E’ bello mi sembra di esse’ tornato bimbo ai tempi delle cacciuccate, ma in realtà ancora più indietro ai tempi delle cacciuccate raccontatemi dai vecchi della Bonalaccia quando, chi a piedi chi con il norge (una barchetta a remi con un nome così importante da sembrare una fregata) uomini e donne lasciavano per un giorno la campagna e si trasferivano all’Ischia, allo scalo di Fonza o alla Ripa Nera per una cacciuccata. Il fondale basso e sabbioso e l’acqua trasparente rendono tutto molto scenografico, ma per nuotare un po’ bisogna allargarsi. Arriva una barca a motore un motopesca, al timone c’è Sami che insieme ad altri suoi amici sta portando in giro due algerini francesi con le rispettive donne. Si fermano anche loro e si mangia tutti insieme, pasta con le seppie e pesce alla griglia, per i tunisini andare al mare significa mangiare, tutto è incentrato su questo, poi si salpa e trainati dal motopesca andiamo a largo per cercare un po’ di profondità per fare il bagno. Ci fermiamo su un fondale sui tre metri, il fondo è ricco di banchi di posidonia e ci sono tante nacchere (pinna nobilis). Con questo caldo si sta bene in mare sono acque basse ma con forti correnti che variano al variare della marea e nuotando lo si capisce bene e si capisce ancora meglio perché qui si sono arenati tanti navigatori esperti, navigare qui specialmente a vela è veramente complicato. Esce il vento della sera e noi alziamo la vela, salutiamo la barca di Sami dove l’alcol portato dai franco algerini dopo un iniziale euforia ha prodotto un generale letargo e facciamo rotta nuovamente verso l’isolotto di Grimdi, questa volta puntando sul lato opposto a ieri. Arriviamo con la bassa marea e ci areniamo a una trentina di metri da riva, si scarica le tende e si monta il campo, da questo lato “c’è un forte effetto savana “ con la bassa erba gialla e gli eucaliptus striminziti. Questi alberi sono stati piantati qui circa venticinque anni e hanno assorbito quasi totalmente la poca acqua dolce dell’Isola rendendola ancora più desertica. Samir questa sera rientra a casa e noi saremo i responsabili delle barche e del gruppo, ma in realtà la situazione è più che tranquilla e poi c’è Amor l’uomo del deserto che in mare è sempre sulla difensiva ma a terra ridiventa un leone e ha già preparato il focolare e tirato fuori la teierina da Saharawi, proprio uguale a quella che usavamo noi nei bivacchi sulle montagne del Marocco. Accompagno Samir fino al lato fronte a El Attaya per prendere un’ancora che userò per bloccare la barca quando salirà la marea, la nostra è rimasta a bordo della barca di Sami. Samir recupera un’ancora e poi si avvia a piedi verso l’Isola di Chergui sfruttando la vecchia strada costruita dai romani che con la bassa marea consente di raggiungere l’Isola grande bagnandosi solo fino alle caviglie. Con il pesante “fero” torniamo al campo e passiamo un po’ di tempo a chiacchiera bevendo il the del deserto, poi fisso l’ancora alla cima di bordo e la pianto nel basso fondale e si prepara la cuccia sulla feluca, stanotte si dorme a bordo. |
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Storie e storielle di basso fondale Cammino fra la gente di Kerkennah uomini e donne con volti tanto diversi fra loro figli di una genetica Corsara. La storia romanzata di queste Isole racconta di equipaggi di navi cristiane che si incagliavano negli insidiosi bassi fondali, che venivano tratti in salvo dai Corsari locali e accolti come fratelli e invitati a iniziare una nuova vita come Corsari. Rispetto al Maroccco qui il viaggio ha preso un‘altra forma, più di ricerca che di esplorazione, sono affascinato da questa miscela di gente diversa, da fisionomie spesso familiari, le stesse storie e gli stessi personaggi, lo stesso mare ma visto da un'altra prospettiva, al posto di Carlo V, Suleyman il Magnifico e poi sempre loro i due grandi pirati: Andrea Doria e Khair ed-Din a ruoli invertiti. Questi Ammiragli eroi delle opposte sponde erano in realtà dei mercenari che mettevano a disposizione le loro flotte personali al migliore “Imperator offerente” e nei momenti di stanca predavano per conto proprio. Sono passati alla storia, ma sarebbe più giusto dire alle storie, come acerrimi nemici e uomini santi per opposte fedi, ma in reltà erano colleghi e rilleggendo la storia anche amici. Intorno ai barbuti burattin la gente che viveva affacciata sul nosto comune mar mediterraneo, nel ruolo di prede o predoni a secondo degli eventi, continuamente sballotata fra Isole e sponde continentali spesso massacrati nel nome di dio, il dio unico che poi era lo stesso per tutti, a El Attaya o a Pomonte. Mille scenari mi si figurano nella mente mentre il paese è ormai lontano, sto camminando fra le pitte secche della campagna arrostita dell’Isola di Chergui in direzione di uno dei tanti marabutti presenti sulla costa, davanti a me il mare aperto in direzione delle Sicilia. Penso alla grande ricchezza per il mondo tutto, che è questo mare di bastardi (del quale mi sento orgogliosamente parte), quanto ingegno e quanta arte ha sortito questa miscela mediterranea così disprezzata dai celti (con rispetto per i veri celti) che ora governano l’Italia. In riva al mare alcune donne vestite con i costumi tradizionali e l’immancabile cappello di paglia, stando in acqua in ginocchio lavano le pelli di pecora in mare ripulendone la lana, è una scena che mi fa venire in mente di quando zia Alvia e zio Mario andavano alla Foce a sciacquare i prosciutti in mare. Arrivo a casa che è quasi ora di mangiare, Naima ha preparato il cacciucco, lo mangiamo sulla terrazza seduti sul pavimento intorno al tavolo basso con la nonna che continua a dirmi che ho la faccia da Arabo. Nonna Najet è una tipa ganza, vuole fare la severa coi nipoti ma non gli riesce, parte sempre col vocione duro ma poi “un aguanta” e si mette a ride’. Fino a pochi mesi fa era analfabeta ma poi ha iniziato ad andare a scuola e sta imparando a leggere e a scrivere, è molto brava e appassionata e quando si esercita nella lettura cantilenata del Corano mette i brividi. Prepariamo la sacca stagna con le macchine fotografiche e la video camera e andiamo al porto dove ci dobbiamo trovare con Samir, insieme andiamo al cantierino dove è arenata la barca cucina, una lancia che Samir usa come cucina da campo, la mettiamo in mare e poi inizio la mia “avventura da mozzo” portando la barca in porto mentre loro vanno ad accogliere i francesi. Non ci sono remi, per andare avanti uso la Karia (pertica), all’inizio non è semplice bisogna puntarla stando attenti a non infilarla nella melma e farla scorrere camminando sul bordo della barca, poi quando la barca è lanciata diventa più facile anche se bisogna stare attenti alla corrente. Arrivo al porto lego e poco dopo arriva un gippone proveniente da Douz con i francesi, carichiamo i bagagli sulla feluca e poi i francesi e Amor, la guida del deserto; si alza la vela e si parte, mi diverte il fatto che tutti mi abbiano preso per un Kerkenniano. La feluca scorre veloce nonostante la cucina al rimorchio, c’è una luce bellissima come sempre quando si avvicina il tramonto, incrociamo una feluca di ritorno dalla pesca e Samir scende in acqua fra lo stupore dei francesi e gli cammina incontro per farsi dare un sacchetto di pesce, poi torna a bordo mentre lo aspetto prua a vento, la scena è surreale non mi sono ancora abituato a questo mare che è tutto una secca. Ci godiamo il tramonto, copiando il comandante questa volta scendo io ma per fare le foto e poi raggiungo la feluca arenata a pochi merti dalla costa ovest dell’isolotto di Grimdi dove bivaccheremo. Scendere i bagagli a terra risulta divertente perché ci sono le sabbie mobili, dalla barca alla riva si cammina per una decina di metri su un bassofondale di pochi centimetri ma quando si arriva a un metro da riva si comincia a sfondare nel fango fino alle ginocchia. Il più agitato è Amor, L’uomo del Deserto, che ha paura del mare, però una volta a terra ritorna leader del suo gruppo e organizza il montaggio delle tende e poi insieme agli altri va a recuperare un po’ di legna nel vicino palmeto mente noi aiutiamo Samir a preparare la cena, in realtà Serena fa un sacco di cose mentre io pelo solo due patate e lavo un po di piatti unti in mare. In un battibaleno, fra bracieri di latta alimentati a carbone, pentole e griglie viene fuori una cena coi fiocchi: zuppa di pesce e triglie grigliate. La feluca diventa una barca ristorante e si inizia a mangiare, ai francesi il cacciucchino non piace un granché e la cosa mi aggrada alquanto, mentre alle triglie gli viene fatto maggior onore. Finito di mangiare andiamo tutti sull’Isola, si accende il fuoco e ci si gode la stellata, sono già tutti a letto quando un po’ in disparte montiamo la nostra tendina sul morbido letto di salicorn, l’erba grassa che cresce lungo le coste piatte e salsedinose. |
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