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Durante la notte ha nevicato, andiamo a Beni Mellal con il vecchio Toyota Land Cruiser immatricolato italiano di Hammon, così cambio un po’ di soldi visto che per acquistare Tambone sono rimasto a secco. Equipaggio: 3 biker arrivati ieri, una signora accompagnata da “Eta Beta” (un tipo con una torcia collegata con un cavo a una batteria che sembra uscito dalle strisce dell’Eternauta), il fratello del “capo”, Hammon e noi due. Partiamo che sono quasi le otto, lungo la salita inizia a nevicare, raggiunto il plateau completamente innevato i biker, due spagnoli e un’ inglese, decidono di proseguire in macchina fino all’inizio dell’asfalto, fra le rocce vediamo i nomadi imperterriti sotto la neve, arriviamo al bivio dove si incrocia la pista per Imilchil che inschallah percorrerò domani. Dopo un paio di ore e mezzo la pista sterrata circondata da ginepri innevati incontra l’asfalto e i biker scendono. È uscito il sole e la temperatura si alza velocemente, ci fermiamo a Ouaouizarth dove scende la signora, poi risaliamo una grande salita e dopo la pianura coltivata che poco a poco comincia a diventare la periferia di Beni Mellal . Si procede a andamento lento, Hammon va sempre alla stessa velocità, pista di montagna o stradone asfaltato non fa differenza. Si arriva in città verso mezzogiorno, ci sono circa due ore prima di ripartire, banca per cambiare i soldi, un bar dove caricare le batterie, compro una borsa, capatina ad internet, compro un vassoio di paste e poi appuntamento davanti alla grande moschea e si riparte. Al ritorno guido io, rifacciamo sosta a Ouaouizarth, dove si cambia un po’ equipaggio. Riparto e poco dopo incrociamo un pick-up finito in una profonda scarpata. Il mezzo è mal concio, ma il conducente è vivo, si è radunata tanta gente nell’attesa dell’ambulanza. Ripartiamo, lungo la strada ci fermano più volte chiedendoci informazioni dell’incidente, sono i parenti. Inizia la pista, c’è tanto fango e poi neve, fa freddo e nevica anche dentro la macchina, sul plateau gli incredibili nomadi che ci chiedono notizie sul meteo, sono stati i primi a salire con le greggi e più giorni di freddo potrebbero creare problemi ai tanti agnellini. E’ormai notte fonda quando arriviamo a casa.
Ceniamo insieme a una famiglia marocchina di città venuta a passare le vacanze sull’Atlas e rimasta bloccata per il maltempo ad Anergui.
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CategoryMarzo 2008
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Piove, siamo alloggiati su un piccola collina proprio sopra il souk dove la gente ha acceso tanti piccoli falò per scaldarsi. Sembra quasi deserto, ma comunque ci sono parcheggiati un centinaio di animali fra asini e muli. C’è una zona con tante persone, è quella dove si contratta la vendita di pecore e capre. Facciamo colazione e poi insieme a Hammon che oggi ha indosso uno Jalabbar in perfetto stile souk scendiamo al mercato. Nonostante piova le persone stanno tranquillamente sotto l’acqua senza impermeabile, nella zona del mercato delle capre ci sono i pastori con i loro piccolissimi greggi fra le braccia che attendono i compratori, sembra tutto fermo ma in realtà è una continua trattativa e ogni tanto si vede andar via qualcuno con la capra. Appena più in basso sotto una grande tettoia, unica struttura sopravvissuta ai detriti di un’alluvione, c’è il macello dove con cura certosina vengono macellati capre e montoni, è un souk lento e sereno nessuno si agita per il disagio della pioggia e del vento che ogni tanto fa volare gli approssimativi teloni di plastica e di stoffa che proteggono i banchini e le merci. Entriamo nel forno anche per scaldarci un po’, c’è una grande pila di pani crudi divisi con cenci che vengono passati da una donna su una pala al fornaio che li buca con una forchetta e poi li mette nel forno, ne cuoce una quindicina contemporaneamente. Il forno è aperto solo il giorno del souk o in caso di ricorrenze, perché qui il pane se lo fanno tutti in casa. La cosa che mi colpisce di più è il gran numero di persone con la pelle scura, sembra di essere nel cuore dell’Africa. Le donne sono molto più numerose rispetto agli altri souk visti, sono vestite con colori sgargianti e sono molto più intraprendenti, si vedono anche coppie di uomini e donne. Nell’attesa che ci portino a visionare i muli, facciamo la spesa per i prossimi giorni, poi aspettiamo con Hammon sorseggiando un the in uno dei piccoli bar del souk. Hammon è un personaggio a Anergui, lo conoscono tutti e si vede che è “un’autorità” anche perché è uno dei responsabili di un’associazione che ha raccolto dei fondi con cui ha fatto opere di bene per la comunità comprando l’unico trattore della valle e costruendo un piccolo ponte. Nell’attesa assistiamo anche all’estrazione di un dente alla berbera: il tutto dura una trentina di secondi, il paziente si siede su un sasso e il dentista da dietro con una mano gli tiene la testa e con l’altra estrae il dente con una pinza sicuramente multiuso. Mentre siamo nella bottega di un fabbro finalmente arrivano i muli, seguendo il consiglio del nostro amico scegliamo quello più giovane, è un bel mulo, ha due anni, l’occhio un po’ schizzato e il carattere ribelle e da oggi si chiama Tambone. Anche questo sembra un percorso dalla piana delle Paglicce, alla coste di Segagnana fino alla vetta del Tambone. Lo portiamo a ferrare, è la prima volta che viene ferrato alle zampe posteriori e non gradisce, infatti l’operazione risulta molto lunga e soprattutto a rischio calcio. Con le scarpe nuove gli monto in sella per portarlo a casa e dopo un paio di figure da bischero (mi arrampico su una teppa e poi prendo la via sbagliata), imbocco la via di casa e vado a parcheggiare Tambone accanto a Segagnana.
Dopo pranzo scendiamo nuovamente al souk con tutta la famiglia, c’è un venditore di mobili (tre) che è un po’ l’Ikea di Anergui, che attira l’attenzione di Zora. Acquisto l’orzo e altra paglia, poi l’appuntamento con il custode del marabutto. Andiamo a vedere la struttura ricca di simboli dipinti di cui ignoro il significato. Grazie a Hammon la spesa ci viene portata a casa e noi andiamo con Hammed a fare un giro nei duuar bassi. Attraversiamo il torrente e andiamo a vedere due duuar caratterizzati da grandi granai collettivi. Ritorniamo dalla montagna, il viottolino si snoda fra grandi coti di granito scure e rocce verdi, siamo contro corrente rispetto al flusso delle persone che rientrano dal souk a piedi e con i muli, ci salutano tutti è da stamani che vediamo le stesse facce. Il sentiero attraversa terre grigio-verde e poi rosse per poi precipitare verso Anergui. Un ultimo saluto a Segagnana prima che la venga a prendere il suo nuovo padrone, nei prossimi mesi farà sicuramente una vita più sedentaria e la cosa credo la aggradi .
Passiamo la serata con la famiglia Chrifi, Hammon ci spiega che nella valle ci sono tante persone con i tratti somatici dell’Africa nera perché in passato i berberi della valle scendevano fino al Ciad ed al Mali per razziare schiavi che poi venivano fatti lavorare nei campi, poi con il tempo hanno acquistato la libertà e sono rimasti qui come abitanti. Ci racconta che lui è il discendente del famoso Marabutto di cui oggi abbiamo visitato il santuario e che il su babbo (il marabutto in carica) è un guaritore, mi dice anche che il marabutto di Zawyat Ahansal era uno dei figli del marabutto “originario” di Anergui e mi conferma che qui la gente è ancora molto legata ai propri santi e l’anniversario del “Santo” è la festa più importante del villaggio. Mi dice che domani il tempo sarà brutto e che non è il caso di salire verso la montagna innevata, mentre la via nella gola è chiusa perchè il fiume ha straripato.
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Mi sveglio che è giorno da un bel po’, il tempo non è gran che ma c’è vento e Serena ne approfitta per fare il bucato, mentre io vado a vedere il fiume che nel frattempo è gonfiato ancora e ha invaso ancora di più la pista. Mi accorgo che all’ingresso del paese, sul lato opposto del fiume c’è un’altra gite ma è rimasta isolata per la piena. Il grano è verde ma comincia a avere le spighe, in alto ci sono i resti di un grande forte francese e tutt’intorno piccoli duuar dominati dai grandi granai collettivi. Ma la struttura che cattura di più l’attenzione è il grande “santuario” del marabutto, molto più grande di quello visto a Zawyat Ahansal è attaccato a una piccola moschea, è il più imponente fra quelli visti finora e mi fa capire ancora di più che in queste valli l’Islam dei “barba” (così vengono chiamati dai berberi delle valli i rigorosi mussulmani arabi delle moschee) è molto lontano. Il culto e le feste legati a questi santi non riconosciuti è quanto mai vivo. Vado in cerca del mangiare per l’asino, orzo non se ne trova perché in questo periodo è merce rara, bisogna attendere il souk di domani. Faccio un giro fra le case nei campi alla ricerca della paglia e incontro tante persone gentili, ma paglia non ne trovo, alla fine torno nella zona del souk e riesco a trovare una balla di paglia, la metto in due sacchi e torno verso “casa”. Segagnana è proprio messa male, ieri ho accennato a Hammon che voglio cambiare animale, lui mi ha detto che domani mi da una mano per l’acquisto al souk, oggi non c’è è andato alla “ville” a prendere i figli più grandi perché domani è festa, è l’anniversario del profeta e a scuola non si va fino a lunedì, non ci incastra niente ma coincide proprio con la nostra Pasqua. Il tempo è diventato brutto, inizia a piovere e ne approfitto per scrivere un po’. La serata la passiamo con tutta la famiglia davanti a un gran tajine è un’ottima occasione per avere informazioni e per mettersi d’accordo per il souk di domani.
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Mi sveglio che è già giorno, c’è ancora la brace, una raccatizzata e il foco ripiglia, per rimettermi in moto una scaldata fa sempre bono. Colazione, si prepara il tagrart e mentre si sta per partire arriva un gregge di capre condotto da un bimbo, la mamma e la sorella. Il bimbo ci viene subito a chiedere se abbiamo bisogno di qualcosa e se vogliamo acqua, gli regaliamo un barattolo di miele che qui è apprezzato molto. Le capre sopra il ponte si spostano velocemente sul ripido pendio nel lato destro della valle, per ricondurle verso la strada la mamma sale come una scalatrice più in alto delle capre, mentre dal lato sinistro del fiume, che nel frattempo abbiamo guadato, la ragazzina con mira da cecchino, con una fionda riporta le capre scese più in basso sulla giusta via. La pista sale scavata nella roccia, la carreggiata per noi è ampia, ma per un 4 x 4 è appena sufficiente, se si incrociano due macchine qui è un problema serio. La valle ora è più larga e le montagne sopra di noi sono molto alte, rimane comunque una zona troppo aspra per essere abitata, solo molto più in alto su un piccolo altopiano si vede un duuar con delle costruzioni che sembrano imponenti. Il fiume si sta gonfiando sempre di più e il suono delle sue acque domina nella valle. Dopo un’ora di cammino il sentiero si abbassa verso il greto del torrente dove facciamo il secondo incontro della giornata. Ci sono dei ragazzini a torso nudo che giocano in un’ansa del oued, fa molto caldo e verrebbe voglia di fare il bagno. I bimbi sono parte di una numerosa famiglia che è scesa al fiume per lavare i panni, ci facciamo un po’ di foto e a malincuore decliniamo l’invito a pranzare insieme, la strada è molto lunga e Segagnana oggi ha un passo veramente lento. La via è ombreggiata da grandi lecci che insieme al vento fresco che scende nella valle rende la temperatura ideale per camminare. Il sentiero fiancheggia sempre il fiume in un continuo saliscendi sempre con pendenze dolci. È ormai pomeriggio quando sentiamo rumore di motore, dalla curva esce un quad e poi subito altri due. Sono tre marocchini di Casablanca che stanno facendo un giro fra il deserto e l’Atlante, sono distanti anni luce dai berberi dell’Atlas: sono grassi, vestiti con tute di pelle da motociclista e hanno una riserva di birre fresche nei loro mezzi. Scambiamo qualche chiacchiera e poi, dopo le immancabili foto, ci salutiamo. Mentre si allontanano nella polvere ho la sensazione che siamo più marocchini noi di loro. Il panorama è sempre più bello anche perché c’è una luce favolosa, ora la vegetazione è più arida, ci sono dei grandi cuscini di piante grasse e cespugli spinosi. All’improvviso arriva un gregge di capre che assalta la vegetazione con una voracità spaventosa, e mi rendo conto di quanto sia importante il costante controllo dei pastori. Se un gregge come questo entrasse in un coltivo, in pochissimo tempo farebbe tabula rasa del sostentamento di una famiglia. Il fiume si gonfia sempre di più, quando la pista scorre bassa si ha la sensazione che possa entrare nella strada da un momento all’altro. Ogni tanto si incontrano dei ponti di legno e fango che attraversano il fiume da cui partono degli incredibili viottoli quasi scolpiti nelle imponenti ma fragili rocce delle montagne e conducono a improbabili insediamenti che sono in pratica delle grotte. Sembra di essere in una valle preistorica, ma in realtà in zone così impervie le grotte sono il luogo migliore e più sicuro da abitare. La gola sembra infinita, è sempre più bella, ma Segagnana è sempre più lenta e ormai si sta facendo sera, manca poco ad Anargui e decido di proseguire lasciando alle spalle una grotta sopraelevata dove avremmo potuto dormire. Sulle ultime luci della giornata l’incontro più incredibile: un uomo sta arando un fazzoletto di terra leggermente più in alto del fiume, sul lato opposto della pista. È completamente isolato, alle spalle un’altissima parete quasi verticale, con una grotta in fondo dove vive con la sua compagna e almeno due bimbi piccoli che sono nel campo con lui. Ci salutiamo dalle sponde opposte e proseguiamo la marcia, mentre la donna risale una fenditura della montagna per andare a recuperare le capre disperse fra l’ardita vegetazione. È ormai buio quando percorriamo l’ultimo tratto, il torrente comincia a invadere i tratti più bassi della pista ed è un bel sollievo quando la strada si allontana dal oued. È un panorama di grande suggestione con le vette innevate illuminate dalla luna quasi piena, che senza la minaccia del fiume gonfio ci godiamo appieno. Finalmente arriviamo ad Anargui, ci sono grandi case senza illuminazione e campi di grano poi incontriamo un grande marabutto e poco dopo entriamo nella “piazza del souk”, un ragazzo che ci accompagna fino alla gite Chrifi dove ci accoglie Hammon con una zuppa calda e un hamman quanto mai gradito. Domani bisogna fermarsi di nuovo, Segagnana non ce la fa più, voglio comprare un mulo anche perché dobbiamo fare dei passi impegnativi e il nostro ritmo è troppo lento, comunque a questo ci penseremo domani.
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Partiamo che è ancora buio, intorno alle 6,30 fa giorno, dai viottolini vediamo scendere i bimbi che vanno a scuola, si incontrano sul viottolo più largo e poi proseguono insieme, prima di arrivare a scuola devono percorrere ancora sei o sette chilometri, mi vengono in mente i racconti di chi andava a scuola a piedi da Pomonte a Marciana, mi sembravano racconti epici, ora mi sembra normale, capisco anche la voglia e l’entusiasmo di andare a scuola legato sì alla voglia di apprendere, ma anche dal risparmiarsi le fatiche di una mattinata di lavoro. Vediamo sorgere il sole dalle vette innevate circondati da scenari naturali vasti e monumentali, montagne innevate, torrenti gonfi e decine di valli che si susseguono come infinite. L’ultima parte del sentiero sale tra il vento e fiancheggia una serie di grotte che fanno pensare a insediamenti preistorici, poi, quasi sul culmine ritornano i ginepri qui più affascinanti che mai per le forme contorte che li rendono simili a gigantesche ogliere di legno bianco, vorrei parlare con questi alberi dalle forme magiche ed ascoltare racconti di tempeste di vento, alluvioni e frane.
Il culmine è stranissimo, la vetta della Cattedral è un insieme di grandi ciottoloni quasi sferici, come tante bocce sembra di essere sul bordo di un fiume e invece siamo in cima a una montagna, l’orogenesi dell’Atlante è spettacolare a volte le rocce hanno forme “didattiche” e si intuisce bene cosa può essere successo, a volte sono stupefacenti.
Fra ginepri “animati”e “sfere ”di pietra ci avviciniamo alla “Facciata” una parete di oltre 600 metri a picco sulla valle, il progettista del viottolo non so chi sia ma è un mio idolo, ci ha portato su una specie di pulpito di pietra affacciato nel vuoto.
Questo è un vero sentiero escursionistico, nel rispetto della natura, non sono stati tagliati alberi, non ci sono ringhiere né staccionate, né cartelli. Ha toccato i punti più belli e interessanti, (punti panoramici, emergenze geologiche fossili, alberi monumentali) con un tracciato sicuro e dalle pendenze accessibili (sentiero escursionistico, non per merendai). Torniamo a valle, do il convio alla bestia, si carica e si parte, sembra tutto regolare ma dopo nemmeno un paio di chilometri l’asino comincia a tentennare poi s’affloscia come un polpo e un si move più. Si scarica il bagaglio poi a fatica si porta la bestia scarica all’ombra. Dopo un’oretta provo a vedere se va, gli monto in groppa ma non va, allora decido di tornare indietro per cercare un altro animale, Serena prova a salire in groppa e la bestia parte tranquilla al trotterello, allora ricambio programma e decido di partire lungo la gola per Anargui. Il viottolo si snoda stretto e alto lungo una gola stretta e profonda scavata dal torrente, è tutto imponente e precario. Le rocce sono rossastre, stratificate, piegate e spezzate in tutte le direzioni, il corso d’acqua in basso è sempre più gonfio. Qui la natura è padrona e l’uomo intruso, infatti non c’è nessun insediamento. Comincia a scurire, il sentiero scende, trovo una grotta e decido che ci fermiamo qui, il posto è bello la grotta è alta una trentina di metri sul fiume, davanti a un pino, intorno c‘è per fare un po’ di legna, stanotte si dorme in sacco a pelo vicino al foco. C’è parecchia legna secca, ne faccio un po’ di fasci così si alimenta un bel foco che produce una gran brace a cui le scatolette di tonno e sardine non fanno certo onore. È una bella serata, c’è la grotta, il foco e la luna quasi piena e il ciuco che all’orzo preferisce le spine dei rami secchi.
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La pausa internet è finita oggi si torna dall’asino. In questi paesi raggiunti dalle strade asfaltate ci sono le comodità (internet, i negozi, le pasticcerie), ma niente di paragonabile alla magia della montagna. Facciamo la scorta di viveri per noi e per l’asino e si cerca un mezzo di trasporto, al parcheggio dei gran taxi la situazione è moscia, prenotiamo due posti per Tiloguite in attesa che si completi la corsa, cosa improbabile, per fortuna alle 11 compare sulla strada il furgone dell’andata, fa un giro uscio uscio pe’ le vie del paese e poi una volta riempita la stiva si parte: tutti dentro in 21! Il passo è lento, si farà una media di 10, ma si va, siamo quasi sempre in prima perché la salita è ripida e il carico pesante. Arrivati a Tiloguite ci si ferma per la pausa pranzo, mentre veniamo superati da due pulmini di canoisti spagnoli. Approfittiamo della sosta per salire sul tetto completamente pieno di bagagli, all’aria aperta è tutto un altro viaggiare si respira la primavera con i campi sempre più colorati di rosso dai papaveri.
Arrivati alla gite ritroviamo gli spagnoli che stanno facendo merenda, ci uniamo a loro, poi, sistemato il bagaglio, andiamo a fare una camminata sulla Cattedral.
Il sentiero parte dalla pista e sale girando da dietro fra pini d’aleppo e lecci, incontriamo due donne che scendono con i muli carichi di legna, la più giovane ha un bimbo sulle spalle. Il viottolo è disegnato a tornanti con i bordi delimitati da sassi pitturati di bianco, danno un bell’impatto estetico, ogni tanto nei punti più panoramici ci sono delle piazzole circolari anch’esse delimitate da ciottoli bianchi. Il percorso diventa più arduo e impegnativo è scavato nella roccia, sopra di noi delle guglie di terra enormi a metà strada nella forma tra le canne di un organo e le torri della Sagrada famiglia di Barcellona. Il tutto è reso ancora più suggestivo dalla luna quasi piena che è diventata la protagonista in questo cielo blu intenso che precede il tramonto. Saliamo ancora ammirando un grande falcone con le ali bianche, poi incontriamo una parete verticale con tante piccole grotte dove ci sono numerosi nidi di falco, troviamo anche una capra agonizzante, è ferita, ogni tanto cascano anche loro.
Siamo quasi in vetta, ma è anche quasi buio e il sentiero si snoda stretto su un precipizio di diverse centinaia di metri, quindi decido di tornare indietro ma anche di tornare su domattina, il posto è molto bello e merita di essere visto bene. Scendiamo con la notte, ma la luna rende tutto agevole oltre che suggestivo. Arriviamo alla gite intorno alle nove, c’è il fuoco acceso sotto l’hamman, niente di meglio dopo una camminata notturna, domani sveglia alle 5, camminata fino alla vetta della Cattedral e poi partenza.
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Giornata dedicata a finire di spedire e comprare tutto quello che ci può servire per la seconda parte della traversata dell’Atlante. | |
Passo la giornata a scrivere, nel pomeriggio faccio un giretto nell’area del souk, fa caldo e tutti hanno montato dei tendoni, il più bello è quello del calzolaio proprio al centro della piazza. È un paese piccolo, ma è importante perché è l’ultimo punto collegato con la strada asfaltata e qui possono arrivare tutte le merci, infatti dalle dimensioni della zona del souk si capisce che qui quel giorno si radunano tantissime persone. In serata una bella sorpresa, Serena ha fatto la spesa e si mangia pomodori e tonno quanto mai graditi. | |
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Arriva il pulmino e si parte, il bagaglio e il ciuco rimangono qui, faccio la prima parte del viaggio da solo sul tetto in compagnia di una capra che intrappolata dentro una rete sta andando incontro a un triste destino. Mi godo il panorama morbido di campi di grano e papaveri, poi arrivati al villaggio di Tilougguite l’autista mi fa entrare nel pulmino perché ha paura della polizia. È un incubo siamo 21 in un pulmino che in Europa porterebbe 9 persone, nemmeno Cinghio ha mai portato così tanta gente, sono tutti stravestiti, specialmente le donne che tra pigiami,veli e controveli hanno il volume di sorangelina dei tempi d’oro, però a quanto pare per la polizia l’importante è stare tutti dentro. L’interno è un delirio, ci sono cinque file di sedili e poi svariati panchettini di plastica e anche un piccolo cestello di lavatrice particolarmente ambito dalle culone.
In un festival di vomito e sudore arriviamo a vedere il lago artificiale di Bin el Ouidane molto bello dall’alto con le colline rosse che vi si specchiano dentro, superiamo un ponte provvisorio che sostituisce quello distrutto dall’alluvione del ’99 e dopo un tratto a strapiombo sul lago arriviamo a Ouaouizarth un paese avvolto nella cappa umida originata dal bacino idrico.
Questo è un altro Marocco qui i ragazzi sono vestiti all’occidentale e ci sono tante persone grasse sembra di avere fatto molta più strada che nella realtà.
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Sveglia nella stanza dei quadri sui sacchi di plastica, abbiamo dormito in compagnia del capo famiglia e dei figli maschi. Lasciamo il miele, la marmellata, la cioccolata e anche le sempre gradite bottiglie di plastica. Tomah ci mostra orgogliosa il suo gregge e un ciuchino appena nato, con la luce del giorno è ancora più bella e fiera e nel suo vestito di lana sporco e liso sembra una piccola venere degli stracci .
Il giovane Mohamed ci accompagna per un tratto in salita e poi arrivato al passo mi indica una scorciatoia fra i pini, il panorama è dominato dalla “Cattedrale” una spettacolare montagna a forma di chiesa che si alza imponente e solitaria dalla valle. Scendiamo fino al fiume Ahnsal “che è arrivato dal basso”, due botti in cielo chiamano lo sguardo e vediamo dei parapendio che si aprono: sono i tedeschi che hanno dormito da Mohamed di Zawyat Ahansal.
A fondo valle fa caldo, ci sono le zanzare e le ginestre fiorite, passiamo di fianco a una segheria in disuso e poi arriviamo alla gite d’etape. È un ritrovo di sportivi, canoisti italiani e francesi, paracadutisti tedeschi e americani.
È un bel posto ma decidiamo di andare a Ouaouizarth per scaricare un po’ di materiale e guardare la posta prima di ripartire per un tratto molto lungo dove sarà difficile avere internet.
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