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Sveglia all’alba, si carica il Tagrat e si parte. Scendiamo fino al fiume, la valle è sempre più verde e si cominciano a vedere le spighe di grano, si cammina lungo il fiume, a un certo punto arriva un fuoristrada a gran velocità, mi metto in mezza strada per non mangiare polvere, è la guida amica di Boetti che avevo incontrato a Marrakech quando cercavo l’asino, ci scambiamo i saluti poi lui prosegue con i suoi turisti patinati. Guadiamo il fiume e poi iniziamo a salire lungo una pista che sale in direzione del massiccio del Toukhisine 2903 metri siamo immersi in un paesaggio maestoso di grandi montagne rossastre, i colori sono più famigliari la montagna è ricoperta da migliaia di pini d’aleppo alcuni veramente enormi (alti più di 30 metri). Dalle rocce sotto le vette si vede uscire tanta acqua e quando incrociamo i torrenti dobbiamo guadare, è una zona praticamente disabitata, si sente una voce di bimbo ma non si vede nessuno. Arrivati al torrente più grande incontriamo due abitazioni, in un campo strappato alla montagna ci sono due contadini che stanno pregando prima di seminare, fa caldo e l’asino comincia ad accusare la fatica sono più di otto ore che si marcia ma il passo è ancora lontano. Si vede in alto la miniera ancora attiva di Daquerd dove estraggono piombo e zinco, poi dopo un ultimo tratto particolarmente ripido, l’antenna, il riferimento che ci fa capire che la salita è quasi finita, ci godiamo il magnifico panorama, attraversiamo il costone roccioso con l’idea di fermarsi nella casa di fronte. Chiediamo se possiamo montare la tenda e il capo famiglia ci dice: “no, je connai la france” che tradotto vuol dire siete ospiti a casa mia . La casa è formata da una stanza unica con il pavimento di terra e cemento e dalla cucina, che però è riservata alle donne, le pareti sono arredate con sacchi di plastica ricamati con fili di sacco e da fogli di giornali, qui non c’è l’energia elettrica quindi con il buio si ferma tutto, c’è un televisioncina a batteria ma non va e tutti sono agitati perché ci tenevano a farcela vedere, Mohamed il figlio maggiore le prova tutte ma non c’è niente da fare è un quindicenne molto sveglio, il cervello di casa, e sono tutti molto orgogliosi di lui . Qui nessuno è mai andato a scuola nemmeno Tomah la sorellina di 8 anni, già responsabile del suo gregge di capre. Penso a come sarebbe bello per una casa come questa avere un impianto ad energia solare per avere la luce e l’acqua calda. L’isolamento e la contaminazione, la purezza e il degrado, la miseria e l’opulenza, mille pensieri mi attraversano la mente tutti insieme senza risposta. Come sempre le foto sono un grande regalo, qui ci tengono tantissimo, tanto che al muro è esposta la fotocopia della carta di identità del nonno, e poi sblocco una situazione imbarazzante. Mangiamo pane e olio e un buonissimo tajine di patate, poi guardiamo le foto con tutta la famiglia, dovrei conservare le batterie per scrivere, ma sono tutti contenti, ci godiamo il nostro solito cinemino e poi ci mettiamo a dormire. |
CategoryMarzo 2008
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Scendiamo verso il souk, anche perché dobbiamo comprare l’orzo per l’asino e un po’ di viveri per noi, lungo il sentiero incontriamo tante persone, il parcheggio degli asini è nel greto del fiume. È un souk molto piccolo rispetto a quello di Tabant, ma ricco di personaggi pittoreschi. Appena dietro c’è un fiume secco dove è stato allestito un mattatoio all’aperto e un macellaio ha ucciso diversi montoni, mi fa impressione il sangue rosso che si sta coagulando sulle rocce e i muscoli ancora contratti dell’ultimo animale macellato. C’è una piccola piazzetta che sembra una discarica, ma in realtà è la zona dove si vendono mobili e pezzi di legno, qui si vende di tutto dai panchetti usati ai pezzi di tavola. C’è un venditore di assenzio, scuro che sembra uno stregone, un fruttivendolo con cappello di paglia che se ne sta comodamente seduto sul suo sedile di macchina nell’attesa dei clienti, un riparatore di radio che riappiccica resistenze e condensatori con un enorme saldatore a gas, un pittoresco venditore di uova lesse che nell’attesa di clienti si sta mangiando tutto il “negozio”, ma in realtà è tutto un insieme di personaggi folcloristici. Sono pochissime le merci confezionate, la zona più estesa è quella delle carni, poi c’è l’immancabile barbiere e un venditore di spezie che ritira e vende scarpe di plastica. Vado a comprare l’orzo che sta finendo, in questo periodo dell’anno è una merce preziosa perché ce n’è poco. C’è un secchio che fa da misura, ne prendo 15 chili, con orzo, arance e cioccolata torniamo alla base, c’è in ballo una trattativa per acquistare un Tagrat: la shuarì di montagna, in pratica una coperta di crine cucita a sacco e divisa in due tascone che serve per portare il bagaglio sull’asino rendendo più stabile il carico, compro per 400 dirahm più la shuarì .
Voglio andare a vedere la miniera, lungo la strada incontriamo i tre bergamaschi, due vanno a scalare una parete dell’Aourodan stanotte bivaccheranno lì, Tony viene con noi alla ricerca della miniera. Mohammed ci indica la via, guadiamo il fiume e saliamo un sentierino molto ripido fra lecci giganti, dopo un po’ incontriamo una discarica di miniera con dei pezzi di minerale di ferro, sembra ematite e limonite. Poi troviamo la strada “vera” che porta alla miniera, davanti alla prima galleria c’è un compressore e poi troviamo una casa-grotta dove c’è la giovane moglie del guardiano della miniera, in pratica è il guardiano del compressore perché la miniera è chiusa da anni. La casa è poverissima sembra un’abitazione preistorica, la cosa più moderna è un pezzo di cartone che fa da porta, tutto intorno ci sono le galline. La ragazza ci indica la via per le gallerie alte, si sale da un sentiero ancora più ripido e i lecci sono ancora più grandi, sulla destra si scorge un sentierino disegnato nella roccia friabile che conduce alle gallerie scavate in una grande parete di roccia. Davanti al sentiero ci sono due lecci monumentali che sono cresciuti sul dirupo, nonostante la posizione sono forti e rigogliosi perché sentono l’acqua della galleria. Davanti alla galleria principale c’è un grosso masso quasi sferico, più grande dell’ingresso. I colori sono quelli delle miniere Elbane con tante tonalità di ocra, rosso, nero e giallo; le terre ossidate tingono molto, sono perfette per disegnare e dipingersi la faccia; la galleria si divide con diverse ramificazioni, alcune invase dall’acqua, è un ambiente ricorda il Ginevro. Lasciate le gallerie saliamo fino al passo che domina Zawyat Ahansal con la sua forma semi circolare, arrivati sulla sella il panorama è superbo, si domina dall’alto tutto il percorso che abbiamo fatto ieri fino a Taghia con sullo sfondo il Timghazine e molto oltre, a destra, le gole che risalgono in direzione di Ait Bou Goumez, sopra di noi i magnifici plateaux dell’Aroudan e dell’Azourki. Salgo fino ad una grotta molto simile al “Grottone” di Cavoli, si sente la voce di un bimbo pastore, però non si vede, a fianco della grotta c’è un ginepro bellissimo, subito sotto una piccolissima radura che sembra un’area sacrificale, è un posto fantastico. Scendendo facciamo una sosta dalla moglie del guardiano che sta allattando, sorride e fa una grande festa all’arancia che gli dona Tony. Questa volta scendiamo dalla strada, una ragazza pastore che rientra ci saluta festosa, era la voce misteriosa della valle. Rientriamo a casa che è buio, ripartiamo quasi subito per andare da Mohammed. Ci vuole una mezz’ora abbondante per arrivare, si attraversa il souk con ancora degli scampoli di attività, ma le persone stanno per andare a dormire in previsione della partenza di domani, poi il bel villaggio di Agoudim e finalmente, illuminata da un gran falò, la gite del nostro amico. Ceniamo in un’atmosfera fiabesca a lume di candela: oggi è il compleanno di Maryan, la moglie, ci sono dolcini di pasta di mandorle, un corollo, la zuppa mangiata con cucchiai di legno, il tajine e la specialità gli spaghettini con zucchero e cannella, poi l’arance con la cannella e l’infuso di verbena. Mohammed è entusiasta del viaggio con l’asino e lo vuole fare anche lui con sua moglie. Passiamo una bellissima serata ricca di aneddoti e preziose informazioni, alla fine come sospettavo non si paga niente, insisto, ma mi dice di dare i soldi ai poveri che sicuramente incontrerò. È già domani quando finalmente rientriamo sotto un cielo di stelle sempre più bello.
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Vado da Segagnana e mi accorgo che quella che credevo una stalla dentro il cortile della Kasbah è in realtà una casa, in pratica ieri gli ho cacato davanti all’uscio, ma dai saluti amichevoli la cosa non sembra essere così grave.
Youssef ha le chiavi della Kasbah, apre il grande lucchetto del portone e entriamo all’interno delle grandi mura. Questo è il granaio collettivo più grande e antico della valle, si sviluppa su quattro piani più il tetto, i primi due sono tutti anneriti da secoli di fuoco, nel terzo e nel quarto ci sono ancora i resti delle pannocchie. I piani sono messi in comunicazione da ripide scale scavate nei tronchi, attraverso strette botole. Le stanze sono areate da strette feritoie e la luce che ci filtra rende tutto più misterioso e affascinante. Arriviamo sul tetto a terrazza, nell’osservare le numerose fortezze sparse nella valle si respira il passato guerriero di queste terre. Oggi andiamo a Taghia, piccolo villaggio rimasto praticamente sconosciuto fino ai primi anni settanta. Entriamo nella valle sopra Augoudim da una mulattiera che fiancheggia il lato sinistro del fiume, dopo un paio di chilometri incontriamo un villaggio fra i mandorli fioriti, poi una stretta mulattiera scavata nella roccia a sinistra del fiume ci porta fino ad un bivio dove c’è un microscopico duuar con un grande granaio. Vi abita una grande famiglia con un gregge di capre e pecore, il capofamiglia è un personaggio carismatico, è un anziano con turbante, un bastone e un elegante impermeabile bianco, parla solo un dialetto berbero, ma mi fa capire chiaramente che a destra si va per Taghia e a sinistra verso le vette innevate lungo la pista che porta alle gole del Todra e poi alle grandi oasi del sud. Scendiamo per un sentiero a tornanti e guadiamo il fiume e iniziamo a camminare in uno stretto sentiero disegnato dentro la roccia, sotto di noi pozze e cascatelle. Dopo un po’ il percorso cammina a fondovalle, camminiamo saltellando a destra e sinistra del corso d’acqua, sopra di noi ci sono tante grotte da sempre usate dalla popolazione della valle come rifugio durante le guerre, in alto chiude l’orizzonte il maestoso altopiano innevato dell’Aroudan. Incontriamo una campagna coltivata, c’è una casa isolata con pannello solare e parabola che qui fa proprio strano, lasciamo la valle principale e entriamo a sinistra dentro una stretta e alta gola che ricorda il Siq di Petra, la famosa città dei Nabatei che ho visitato qualche anno fa. Le pareti sono alte e dritte e non fanno entrare il sole, il sentiero cammina stretto fra grandi lecci che sbucano dalla roccia, sale alto sul fiume e poi scende in fondo alla gola sferzata da un vento gelido. Nel torrente ci sono degli uccellini gialli e neri che alternano pause a brevi voli frenetici. Appena si allarga la gola iniziano i primi campi di grano e poi davanti a noi si apre un paesaggio magico: la valle si allarga verde e rigogliosa e tutto intorno grandi montagne dominate dalla guglia del Timghazine (mt 3155). È difficile dare una dimensione a questo paesaggio maestoso e armonico, il silenzio domina tutto, si ha la sensazione di essere le prime persone che entrano in questa valle. A fianco del fiume c’è un campo di calcio con quattro grossi sassi che delimitano le porte,sembra un campo di calcetto per dinosauri poi cominciamo a vedere case e persone. Un gruppo di ragazzini in groppa ai muli sta salendo a zig-zag sopra a un pendio ripidissimo che non si capisce dove porta. Ci affacciamo alla prima gola dove c’è un laghetto artificiale alimentato da una sorgente che serve per irrigare i campi e poi saliamo su una collina di terra rossa friabile lungo un sentierino da capre. Il posto è bellissimo ma non abbiamo tanto tempo, andiamo a vedere la sorgente principale e facciamo un giretto in paese,stanno ampliando il piccolo gite ,Tanghia negli ultimi anni è diventata famosa per l’arrampicata le sue pareti rosate che salgano verticalmente verso il cielo sono una delle mete più ambite per i climber di tutto il mondo e il villaggio si sta preparando ad accoglierli è un bel turismo speriamo che non venga mai in mente a nessuno di fare una strada carrozzabile fino a qui . Iniziamo a rientrare con il sole che qui è già tramontato , mi colpisce una ragazza che si sistema i capelli mentre attraversa il torrente saltando fra i sassi. Facciamo lo stesso percorso all’inverso molto velocemente sul finire della valle incontriamo Tony uno dei tre bergamaschi che sono venuti qui a scalare, percorriamo l’ultimo tratto della valle assieme e poi torniamo alla base attraversando il souk già animato in vista del grande mercato settimanale di domani. Quello che sembrava un villaggio fantasma si sta trasformando in una grande camerata di venditori.
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Ogni mattina il tempo è più bello, decidiamo di rimanere qui un paio di giorni, la zona è bellissima e merita di essere conosciuta. Dopo aver visitato Segagnana nella stalla della Kasbah che fa anche da toilette, ci spostiamo verso il centro di Amezray dove c’è un’altra grande Kasbah e tante case. Zawyat Ahansal è un insieme di duuar un po’ come la valle di Ait Boualli, questa valle prende il nome da un marabutto che ha vissuto qui intorno al 1600 e ancora oggi viene venerato dai berberi di questa e di altre valli nonostante il culto dei marabutti sia osteggiato dalla “curia” islamica. Nel villaggio regna il silenzio su tutto domina il fragoroso scorrere dell’acqua del torrente Ahansal che si sta gonfiando sempre più per lo scioglimento delle nevi alte. Il fondo valle è tutto coltivato e adornato da grandi mandorli fioriti, scendiamo lungo il greto del fiume che ha un’acqua pulitissima, ma color ghiaccio. Ci sono tanti canali per l’irrigazione e nei punti più ripidi dei mulini, ogni tanto ci sono dei ponticelli di legno. Il sole è caldo e viene voglia di bagnarsi, l’acqua è fredda ma piacevole. Si incontrano contadini che irrigano i loro terreni con canali e chiuse, donne che lavano i panni o che vanno a prendere l’acqua alle fonti. Su tutti mi colpisce una giovane ragazza con un bambino sulla schiena che incontro più volte, è molto giovane, ha un portamento elegante e un vestito arancione, spicca per l’eleganza e per la pelle scura, è diversa dalle altre donne, più che una Berbera sembra una Touareg. Lasciamo il fiume nei pressi del souk di Zawyat Ahansal ora deserto, il silenzio lo rende ancora più simile a un set di un film western, mancano solo le musiche di Morricone. Poco distante dal souk ci sono degli edifici in stile europeo, sono stati costruiti dai francesi negli anni trenta durante il periodo coloniale e oggi sono il palazzo del governatore e la caserma della guardia forestale. Ci sono anche diversi resti di scambi e carrelli a testimonianza dell’attività mineraria che si svolgeva nella parte più alta della valle. Ritorniamo verso il fiume, l’attraversiamo da un ponte, sotto c’è un gruppo di donne che lava i panni, mettono i panni sul bordo del fiume, hanno steso una specie di grande coperta che fa da base e dentro dei fondi di bidone tagliato pigiano i panni coi piedi come facevano prima nei tinelli pe’ schiaccià l’uva. C’è anche una ragazzina che sbatte i panni sulla “copertona” con una specie di matterello e i bimbi piccoli tutti intorno che giocano, sembra che si divertano tutti. Entriamo nel duuar di Agoudim, è questo il nucleo più importante e antico di Zawyat Ahansal, ci sono diverse Kasbah, alcune ormai poco più di un cumulo di macerie. Appena entrati sembra disabitato, ma poi, come sempre, ci si rende conto che sono tutte case abitate. Andiamo verso la Kasbah più grande dove ci sono le indicazioni di una gite d’etape, entriamo per prendere un the e veniamo accolti dalla famiglia Amahdar, Ahmed il proprietario, ci offre omelette, biscotti, the, noci e acqua minerale. Conversiamo piacevolmente per una mezz’oretta nel cortile assolato della casa, poi attraversando una serie di vicoletti e cortili ci porta a vedere la Kasbah più bella del villaggio. Ogni volta che ci mettiamo a parlare ci si rende conto che tutti ci conoscono, siamo gli italiani dell’asino che sono arrivati da Assemsouk, sono tutti molto gentili e sono ammirati e affascinati da questo nostro viaggio che sentono molto berbero. È un popolo fiero e orgoglioso delle proprie origini nomadi e in tutti gli argomenti affrontati viene sempre rimarcata la differenza fra berberi e arabi.
Continuiamo a girare tra i vicoli per poi scendere nella zona del cimitero dove c’è la tomba del famoso marabutto, la cappella è bianca con il tetto ricoperto di tegole verdi è piena di tantissimi indumenti e veli che qui vengono lasciati come segno di devozione da tantissimo tempo, poco più avanti un grande ginepro con tanti braccialetti attaccati ai rami, sono i doni lasciati dalle donne in cerca di marito e di figli.
Il culto dei marabutti è ancora vivo, e il suo inizio è antecedente a quello dell’islam, questi “santi” sono molto amati dai berberi che continuano a celebrarne le ricorrenze radunandosi nella Zawyat (villaggi nati per accogliere i pellegrini) con pellegrinaggi che durano anche diversi giorni e festeggiando con musiche e canti.
I Marabutti hanno avuto un ruolo molto importante nella storia del Marocco avvicinando le genti delle campagne all’Islam con la fondazione di scuole religiose di campagna (le Zawyat) che finivano per contrapporsi alle famose Madrasse, le grandi scuole coraniche delle città, creando dei movimenti di popolo che spesso hanno portato a rovesciamenti di potere nel paese .
Il sole è tramontato, andiamo a vedere l’ingresso della valle che visiteremo domani, ci chiama un uomo che insiste perché andiamo da lui a prendere un the, si chiama Mohammed e ci racconta un sacco di storie e aneddoti sui berberi, sul Marabutto e sulla sua vita di guida nel deserto e dell’Atlante. Ci racconta che ha fatto la traversata dell’Atlante a piedi in un mese a passo veloce e ci da delle preziose indicazioni per il proseguimento del nostro viaggio e anche per l’escursione che vogliamo fare domani. Mi mostra orgoglioso le foto del cugino, un campione di podismo che ha vinto numerose corse, fra cui più volte la prestigiosa maratona delle sabbie. Sono contento anche se un po’ incredulo di questo clima umano così caldo e amichevole, dove ti chiamano per il piacere di conversare, sembra quasi che ci sia una gara ad ospitarti, la cosa più bella che si respira è l’orgoglio della propria storia e l’amore per la propria terra, valori che da noi si stanno perdendo che mi ricordano l’orgoglio sano dei vecchi isolani, quelli che ospitavano in cantina i “trinchesvain” e facevano assaggiare ai primi turisti le lampate i ricci e le grampie di polpo. Insieme al the la moglie di Mohammed ci porta anche un dolce che è la copia esatta della schiacciunta di nonn’Onelia. Torniamo a casa che è buio e c’è una bella sorpresa: l’acqua calda! Il bagno è sempre nella stalla ma una doccia calda è proprio quello che ci vuole nelle fredde serate d’Alto Atlante. È ormai notte fonda nella valle si sente solo il rumore del fiume, è un silenzio calmo e freddo illuminato da una quantità incredibile di stelle che rendono tutto ancora più magico.
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Finalmente mi sveglio bene, dopo una dormita di una dozzina di ore mi sento in forma, un the caldo è proprio quello che ci vuole, salutiamo i nostri amici, Lahcen ci fa dono di una dedica scritta molto bella. Facciamo un giro di Assemsouk, è un posto surreale, non è un villaggio ma un souk per nomadi, in pratica un ritrovo per scambiare le merci, con locali per accogliere per poco tempo gli ospiti, poche ore in questa stagione, qualche giorno in estate quando arrivano anche i nomadi dalle piste del sud con i dromedari, vie che ora sono impercorribili per la neve ed il freddo. È molto strano ma bello, i personaggi sono di quelli che ti rimangono impressi, il souk è fatto da tre camion con le pecore e due uomini arrivati coni muli con delle pelli di capra, il tutto dura una mezz’ora, ci fermiamo al bar dove tutti si fermano per scaldarsi, e ci prendiamo un the scaldato nel camino e poi si parte. La strada sale adornata da ginepri sempre più belli, salgo su uno secco che sembra l’albero di una nave e mi strappo i pantaloni. La salita è ripida ma ha una pendenza costante e Segagnana dopo un’oretta di riscaldamento inizia a salire con ottimo passo, arriviamo al passo Tizi’llissi (2603 metri) e il panorama è maestoso, siamo soli in questa meraviglia. Inizia la discesa, sulla destra un enorme massiccio rosato che ricorda il Latemar, è l’Aurodan (mt 3359), si scende con un gran passo, mi fermo per sistemare lo zaino e fare qualche foto e vedo Serena con l’asina lontanissime. La discesa è interminabile, le guglie rocciose che vedevamo sotto di noi le raggiungiamo e dopo un’ora di cammino le vediamo maestose sopra di noi. Man mano che scendiamo ritroviamo la vegetazione, prima ginepri, poi lecci, poi pini. Siamo ancora alti, con i primi ginepri troviamo le prime case qui non esiste l’energia elettrica e chi vive qui ha veramente una fibra eccezionale. Scendendo troviamo un piccolissimo agglomerato isolato e chiaramente senza la linea elettrica, però con l’impianto satellitare e pannelli solari e un impianto di irrigazione a getto grande esempio di abitazione ecosostenibile . La discesa è interminabile si snoda sinuosamente sui fianchi della montagna e ogni tanto ci sono dei tratti a tornante, ricorda tanto, anche se la sede stradale è più stretta, la famosa Pikes Peak. Iniziamo a vedere delle abitazioni a fondo valle, il fiume e diverse casbah, è Zawyat Anshal, siamo arrivati prima del previsto grazie anche alla bellissima giornata che ci ha aiutato a superare questi alti passi. Scendiamo verso il primo duuar di Amezray dominato da un grande granaio collettivo che sovrasta imponente la verde valle sottostante e ci sistemiamo in un’accogliente gite d’etape proprio accanto al monumento. Il proprietario Youssef Jini è un esperto di montagna. In serata arriva una coppia di anziani francesi con cui ceniamo che ci raccontano del loro viaggio, stanno rientrando a casa nei pressi di Tolosa. Hanno fatto un grande viaggio in fuoristrada Marocco Mauritania, Mali, Senegal, Burkina Faso e poi nuovamente il Marocco. Ci raccontiamo i viaggi e ci scambiamo un po’ di informazioni prima di andare a dormire. |
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Sono nel sacco a pelo tutto infreddolito quando Serena mi dice che è l’ora di alzarsi perché tra poco arriveranno i bimbi. Esco tutto assonnato sistemiamo il carico e ci spostiamo nella zona delle aule per Base Elba. Ci sono tre insegnanti il maestro di ieri e due maestre molto giovani, una di loro, radunati tutti bimbi nel cortile, gli spiega del nostro viaggio e del progetto, solita foto di rito e lasciamo la scuola, questa volta siamo stati ospiti del re. Un rombo scende dalla valle sembra una macchina da rally in realtà è un cinquantino che va a 30 all’ora ma il centauro dell’Atlante mi suona e mi maledice a gesti pel ciuco in mezzo strada guardandomi con occhi indiavolati attraverso due occhialini da saldatore. Poi incontriamo una famiglia che con gli asini sta scendendo nei campi a valle. Dopo qualche chilometro raggiungiamo Ifrane (mt 2019), quando, mentre sto guardando la mappa sul bivio in uscita dal piccolo centro abitato, mi viene chiesto in italiano se ho bisogno di aiuto, è Abdullah un marocchino che lavora in un parco giochi a Messina e che ora è tornato a casa per un paio di mesi. Oltre alle preziose indicazioni per la strada ci rimedia una balla di fieno per l’asino e due pani, ci vuole invitare a mangiare e a passare la notte a casa sua, ma rifiutiamo il generoso invito e ripartiamo iniziando a salire da un viottolo fra i campi. Segagnana non ne vuole sapere, il primo tratto è un tormento, praticamente la trascino come e una slitta, ma poi dopo una mezz’oretta riprende il suo passo costante da montanara. Saliamo una ripida pista contornati da vette innevate e lecci, la giornata è bellissima, siamo solo noi e un mulo che ci precede di poco. Dopo un po’ troviamo la prima neve e i soliti ginepri meravigliosi si sostituiscono ai lecci Arriviamo al primo passo della giornata Tiz’n Tirgbist (mt 2629) il lato ombreggiato della strada è coperto di neve, il panorama è superbo si vedono in lontananza le montagne che abbiano salito l’altro giorno, ci fermiamo per far mangiare l’asino e noi. Il sentiero prosegue salendo leggermente fino al secondo passo dove si trova un bivio per la città di Azilal (mt 2600), si apre un nuovo maestoso paesaggio verso vette e valli lontane. Continuiamo a salire, ormai camminiamo sulla neve, siamo molto alti e fa freddo il panorama è bellissimo, forse il più imponente tra quelli visti fino a ora, ma me lo godo poco perché non ho digerito. Sulle ultime luci del tramonto raggiungiamo il passo Irdigh (mt 2815), siamo sotto i 3677 metri dell’Azourki, iniziamo la discesa, sopra di noi delle montagne meravigliose ricordano le cime più belle delle Dolomiti che diventano rosate con la luce dell’ultimo sole. Tramontato il sole la valle diventa gelida, a fondo valle ci dovrebbe essere il souk dove ho intenzione di sostare ma non si vede nessuna luce, ho freddo per fortuna che Serena è in forma. Arriviamo in fondo alla valle ad Assemsouk (mt 2348) dove si è intravista una luce, mi affaccio e ci sono due ragazzi che si dimostrano subito gentili, sono in pratica l’unica luce accesa del souk, ci aiutano a scaricare e ci accolgono nel ristorante che stanno imbiancando. Siamo proprio fortunati perché sono arrivati oggi per iniziare la manutenzione, io approfitto della loro generosità nello scaricare i bagagli faccio l’ultima vomitata e mi infilo nel sacco a pelo a dormire.
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Dalla luce che entra dalla finestra sembra proprio che sia una bella giornata, oggi bisogna partire davvero. C’è una luce fortissima, durante la notte è nevicato più in basso dell’ultima volta e la valle sembra rivestita di carta stagnola, tanta è la luce. Andiamo a vedere dei francesi, che in realtà sono belgi, ma dormono ancora, gli lasciamo un biglietto con il nostro numero telefonico e andiamo da Beljik a finire il lavoro. Ci troviamo davanti alla porta di casa, lui sta andando a lavoro e noi rimaniamo come padroni. Mentre si scarica le foto cerco di leggere la posta e le notizie dell’Elba. Come al solito è tutto più lungo del previsto, ma ormai ci siamo. È arrivato anche Beljik che ha voglia di chiacchierare di religione. Beljik per certi versi è un po’ come Mohammed di Agadir Bou Acheiba, è un mussulmano convinto e mi fa un gran sermone sulla perfezione della legge coranica, è un brav’omo e si vede che la sua fede gli da forza e tranquillità come lo si vede anche in qualche cristiano o buddista. In questi tre mesi è aumentato il mio rispetto per questa religione e ho veramente voglia di leggere seriamente il Corano per conoscere in maniera più approfondita la materia. Sono sempre stato affascinato dalle religioni, io non credo nelle verità assolute e nemmeno che si possa dare la colpa o il merito a entità superiori per quello che ci capita, penso che dio sia uno dei frutti più spettacolari prodotti dalla mente dell’uomo, in grado veramente di gestire i destini di milioni di persone. La discussione va per le lunghe, sono quasi le tre e ci dobbiamo vedere con i belgi che nel frattempo hanno telefonato e poi c’è anche da partire. Andiamo al pullman blu dove ci sta aspettando la famiglia dei giramondo, ci accolgono sulla loro casa mobile con la quale sono in viaggio da due anni. Hanno attraversato tutta l’America, dalla Patagonia all’Alaska, poi sono tornati in Belgio e ora sono venuti in Marocco e fra tre settimane finiranno il loro viaggio. Passiamo una mezz’oretta insieme, ci invitano a restare un po’ con loro, mi dispiace declinare l’invito, ma è il momento di partire. Lasciamo il paese fra il solito brusio di commenti e ci avviamo verso la pista sterrata in direzione di Ifrane. Camminiamo attraversando la stretta valle con una serie quasi ininterrotta di case lungo la strada, poi quando comincia fare buio ci fermiamo davanti a una scuola, vado a chiedere informazioni e trovo un giovane maestro che mi dice che se voglio ci possiamo fermare nell’aula vicino alla strada. Per me è una soluzione ideale: fuori c’è il posto per l’asino e dentro c’è la corrente, così posso ricaricare le batterie, ci sono i banchi per mangiare e scrivere e c’è anche la televisione con l’impianto satellitare perché questa è l’aula che usano gli insegnanti come loro base. Sistemiamo il bagaglio e poi mi guardo un film di guerra americano coi sottotitoli in arabo.
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Oggi dovevamo partire, ma c’è ancora da inviare un sacco di cose e nei prossimi giorni sarà impossibile farlo. È da giovedì sera che siamo ospiti di Mohammed e Farida sono una coppia di anziani che ci hanno quasi adottato, hanno trasformato la loro casa in una gite d’etape, la più antica della valle, esiste dal 1985, e siamo stracoccolati, un po’ perché gli piace questa storia del viaggio con l’asino, un po’ perché siamo gli unici ospiti. Stamattina abbiamo fatto la solita grande colazione sulla terrazza che si affaccia nella valle e siccome doveva essere l’ultimo giorno qui ci siamo fatti le foto insieme e Mohammed ci ha portato un saccone di noci e del pane fresco da mangiare durante il viaggio. Siamo nuovamente da Beljik che ci da una piacevole notizia, in paese è arrivato un pulmino con una famiglia di francesi babbo, mamma e quattro figlioli che da due anni sono in giro per il mondo e stanno per rientrare in Francia. Beljik li ha conosciuti e ci fa vedere il loro sito, pur essendo un viaggio diverso dal nostro, ci sono delle affinità. La cosa ci incuriosice e domattina, se non sono ancora partiti, li andremo a trovare. |
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Al mattino il cielo è grigio e sulle vette sembra nevicare, meglio così perché questa giornata la devo dedicare a scrivere. Tabant è un posto immerso nella natura e nel passato lo si percepisce anche dai suoni che si ascoltano dall’interno di una stanza: lo scorrere dell’acqua dei canali sempre più forte per lo scioglimento delle nevi, le folate di vento violento che improvvise scendono nella valle, il suono degli zoccoli degli animali frenetico e tintinnante quello degli asinini, lento e dimesso quello degli asini, forte e deciso quello dei muli. Sono in una stanza decorata con i tipici disegni berberi dalle forme geometriche e i colori sgargianti, fra cuscini e coperte e mi sembra di essere un nobile berbero nel suo castello di fango. Nel pomeriggio il cielo si apre e si vede bene che è scesa tanta neve, il manto bianco è più basso di almeno cinquecento metri. Scendo in paese per vedere se riesco a usare internet, la bottega è aperta, ma sta per chiudere, per fortuna c’è Beljik, un corpulento ragazzone vestito con un tunicone da marabutto, che ha una specie di telefono satellitare con cui si connette alla rete, che mi invita a casa sua. Si vede che è la casa di un appassionato di tecnologia, ci sono diversi telefoni e tastiere, un grande computer e la televisione è collegata ad un’antenna parabolica orientabile che si collega a una miriade di canali. Devo spedire tante cose, ma non posso resistere dal controllare il risultato della sfida con la Juventus su Fiorentina.it e faccio bene! Perché le notizie e le foto della vittoria in trasferta mi mettono ancora più di buon umore. Dopo aver cenato Mohammed, l’anziano padrone di casa, tira fuori una vecchissima carta della regione macchiata e consumata ma molto bella e ricca di dettagli, dove possiamo vedere molto bene il percorso dei prossimi giorni, ricco di valichi di alta quota. |
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È il giorno del grande souk, si sente il brusio del mercato anche dalla camera. Appena esco rimango impressionato dal numero di asini e muli parcheggiati ai margini del souk, sono diverse centinaia di animali arrivati per lo più al mattino presto dai villaggi più isolati. Questo è un vero souk di montagna non ci sono oggetti per turisti, la gente dalle valli porta prodotti alimentari e artigianali e oggetti da riparare. Nel parcheggio degli asini ci sono i maniscalchi, entrando il souk è diviso per settori: nella zona alta ci sono i macellai con le carni esposte sui banchi e sotto la macabra esposizione di teste e pelli di capre e pecore a testimoniare la freschezza dei loro prodotti, poi c’è la zona dell’abbigliamento, la via sottostante è quella della frutta e della verdura, è la parte più colorata e frequentata. Proseguendo si incontrano i calzolai, in assoluto i più richiesti, tutti hanno scarpe da cucire e risolare, lavorano a un ritmo impressionante è uno spettacolo vedere con quale abilità piantano i chiodi nelle suole. È il festival del riciclo, ci sono contenitori ricavati da vecchi copertoni e bidoni, le lamiere più disparate trasformate in mangiatoie, anche le selle e le shuarì sono fatte con materiale di recupero, ma gli articoli più spettacolari sono le stufe, sono tutti pezzi unici, le più ambite sono quelle ricavate da scaldabagni bucati, hanno uno sportello per la legna e quello per il recupero della cenere, tutto ritagliato e ricavato da materiale in disuso. Sicuramente il materiale che si trova solitamente da noi fuori dai cassonetti qui verrebbe esposto come merce di pregio. Anche il modo di comprare è singolare, dopo il solito mercanteggiare per il prezzo, la merce acquistata viene nascosta sotto i vestiti e poi caricata sugli asini, perché in base ai principi della legge coranica è disdicevole ostentare la merce acquistata, in special modo la carne. Intorno a mezzogiorno il souk comincia lentamente a svuotarsi, gli abitanti dei villaggi più lontani caricano le merci acquistate nelle shuarì sopra i propri animali e intraprendono la via del ritorno, anche i banchi cominciano a smontare, cominciano ad entrare nelle vie i vecchi Bedford rossi su cui vengono caricati le merci e le persone che provengono dai villaggi collegati con la strada. Le donne e i vecchi vengono fatti accomodare sulle balle, mentre gli uomini, ma soprattutto i ragazzi, si posizionano nei posti più assurdi e pericolosi, il più ambito sembra essere il tetto della cabina, ogni camion porta almeno cinquanta persone. È ormai sera il souk è finito, le vie sono sporche ma è tornato il silenzio, c’è un’atmosfera di “scampato pericolo” come quando l’Isola ritorna lenta dopo l’invasione dei turisti d’agosto. |
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