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E’ il grande giorno, usciamo e le vie sono già piene di persone bandierodotate, c’è polizia da tutte le parti ed è arrivata anche la televisione. Ci sono tante donne con i bimbi piccoli in spalla a gelare sotto il nevischio, inquadrati come balilla dalle scuole arrivano gli studenti tutti in fila indiana con la loro bandierina inneggiano al re e si posizionano lungo le transenne per riempire i vuoti. C’è veramente tanta gente la città è praticamente paralizzata Mohamed VI arriverà in serata ma le vie già bloccate e la gente è tutta a bordo strada, ci sono dei “complessini folk” dell’ organizzazione che intrattengono la folla. In un crescendo di eccitazione e congelamento sta arrivando il momento fatato: il passaggio del re, stendono un infinito tappeto rosso, mentre il gran cerimoniere in un delirio da checca isterica fa spostare tutte le telecamere. Nevischia mentre si schierano le autorità civili e religiose, i tonaconi bianchi degli uomini di moschea bagnati dal nevischio e mossi dal vento creano un effetto fantasma formaggino.Vengo preso di mira da tre bulli che si atteggiano a servizi segreti con tanto di cuffiettina radio ostentata a mo’ di auricolare, sono incazzati perché faccio le foto mi intimano ad andare via e vogliono vedere i documenti, più li ignoro e più si incazzano, si vede che mi troncherebbero volentieri ma si capisce bene che hanno ordini precisi di non toccare i turisti e i coglioni si sfogano con un tranquillo omino colpevole di aver sfiorato uno di loro.
Sembra di esse’ infondo al Volteraio ai tempi d’oro del rally, ogni tanto si sente un rumore e tutti si agitano, anche qui passano gli apripista coi lampi, finalmente arriva il momento atteso, in parata su una vecchia mercedes decappottabile arriva il re, scende di macchina e a passo svelto cammina per una cinquantina di metri salutando le autorità prostrate, poi rimonta in macchina e va al palazzo reale, il tutto dura una ventina di secondi. La festa per oggi è finita, domani si replica. Lentamente riusciamo ad uscire dalla calca, sentiamo chiamare “zirina zirina” è Bedha una delle sorelle maggiori di Moha venuta a Midelt per vedere il re, ci salutiamo e ci diamo appuntamento alla tenda fra qualche giorno.
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CategoryAprile 2008
Passo la giornata a scrivere ma il clima preparatorio mi ha contagiato, ci sono sempre più bandiere e striscioni e le immagini del re sono appese da tutte le parti anche sui vetri delle macchine. C’è una specie di gara a chi mette più bandiere, tutti i tetti a terrazza sono chiusi e è proibito stendere i panni, e da noi anche fare la doccia. Sembra di essere sul set di un kolossal, la città è invasa da militari, nella notte transennano tutte le vie e lavano le strade con potentissimi idranti che sverniciano tutti i marciapiedi appena “truccati”.
Andiamo a letto che è tutto blindato, il nonno s’incazza perché è tardi e lui non vuole rogne.
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Fervono i preparativi, i marciapiedi spazzati sono pericolosissimi perchè riaffiorano le buche, si respira un atmosfera strana, stanno pitturando e lavando tutto e il paese comincia ad essere invaso da militari.
Nell’albergo dove siamo alloggiati ci vogliono mandare via, arriva il re e l’albergo deve essere a disposizione per la gente dello staff coronato, bisogna discutere a lungo per rimanere, alla fine si resta con grande disappunto del nonno che mi odia perché lo sveglio tutte le notti quando rientro da internet.
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Stanno ripulendo e pitturando tutta la cittadina, mercoledì arriva il re! Squadre di spazzini spostano la spazzatura nelle vie laterali combattendo duramente contro il vento che la vuole riportare sul corso principale dove nel frattempo stanno dipingendo tutte le facciate di bianco, anche se in realtà la cosa che prende più colore è il marciapiede. Faccio base in una pasticceria e incomincio a scrivere.
Durante la notte arrivano nuove squadre di operai per rifare il trucco alla città e anche un po’ di camion con aste e bandiere.
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Grande dormita e giro pigro per Midelt, oggi è giorno di souk ma io sono attratto dalle pasticcerie.
Raib, lo yogurt cremoso, come sempre è molto buono, ma anche le mille foglie non sono male, fa un gran freddo e tira vento, in montagna è nevicato tanto, il manto bianco si è abbassato di almeno 500 metri. Midelt è un posto tranquillo disteso su un altopiano a 1488 metri di quota, è dominato dalla catena dell’Ayachi. Qui le persone sembrano tutte uguali vestite di scuro e senza magia, ma forse perché la testa è ancora alla montagna. |
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Sveglia alle cinque colazione e partenza, i ragazzi sono tutti eccitati per il recupero, ieri sera abbiamo guardato le foto per localizzare il punto, si sale veloci su un sentiero dritto, solo una piccola deviazione per prendere l’acqua. Alle 9,30 siamo già al oued secco, Moha lega il mulo e poi scendiamo nella gola di corsa perché loro pensano che qualcuno possa rubarsi carico e mulo, invece è tutto dove l’ho lasciato Tambone e zaini.
Mohammed prende Tambone e noi i bagagli, un‘ora e siamo già sulla via di casa. È andato tutto bene, grazie alla solita fortuna questa volta nei panni di due ragazzi abili e generosi. Facciamo merenda con formaggio di capra, pane, olio e l’immancabile the, mentre il tempo comincia a ingrigirsi, sta arrivando tagut, ancora qualche ora e il recupero sarebbe stato un problema. La discesa è ripida, cambiamo via per evitare un canalino con la neve pericoloso per i muli. Lungo il percorso incontriamo diversi pastori fra cui il babbo e il fratello di Moha e arriviamo alla grande tenda dove Serena è stata adottata dalla famiglia, perfetti per il pranzo. La regina della tenda è la mamma Eto che sta tessendo un grande tappeto multicolore sull’ “astà” (il telaio). La tenda è magica e confortevole con la luce che filtra dai lati e il fumo del focolare sale disegnando spirali, si sta benissimo sui tappeti, circondati dai capretti appena nati, la tenda è montata in pendenza così il calore sale nella zona alta dove si dorme, i teli laterali si aprono e si chiudono rapidamente per avere luce o riparo a seconda delle esigenze. Si sta bene, c’è armonia in questa famiglia, i Nomadi sono persone speciali, stando con loro si gusta il sapore effimero della libertà circondati da larghi sorrisi e occhi grandi, sono poche le parole che attraversano la tenda, prevalgono le risate leggere e gioviali come lo sguardo scintillante di Moha quando parla fiero della sua piccola tenda bianca di sacchi cuciti. La tentazione di fermarsi c’è (come cantava Battiato la voglia di vivere a un’altra velocità), ma voglio andare a Midelt per aggiornare il sito e raccontare le belle storie della gente dell’Atlas. Lasciamo Tambone qui e ci incamminiamo verso Midelt accompagnati dai due ragazzi, sta arrivando il brutto tempo, ridiamo dello scampato pericolo, in alto nevica Tagut! Ora si ride ma è andata bene, un altro giorno e avremmo perso Tambone e i bagagli, Tagut, Tagut, detto a denti strinti e fronte arricciata, inculoatagut … A Flilo, il primo paese dove arrivano i taxi, ci salutiamo e entriamo a Midelt da anonimi turisti europei, doccia e dormita in albergo.
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Ravvivo il foco con i cespugli oleosi come mi hanno insegnato i pastori e dopo una scaldatina vado a fare un giro di perlustrazione. Vedo un pastore in lontananza anche lui ha acceso un fuoco sul colle dirimpetto, sotto di noi c’è una gola stretta, è la via più breve ma c’è il rischio di rimanere a metà, l’alternativa è di scendere verso il chiuso del pastore, la via è molto più lunga ma sembra più agevole. Tornando verso la tenda incontro una spaccatura nella roccia che sprofonda nelle viscere della terra è tutta piena di ghiaccio compatto e non se ne vede la fine. Partiamo con l’idea di fare la via più lunga, ma incontriamo il pastore che ci dice di scendere dal oued, quindi torniamo indietro per entrare nella gola, è un posto spettacolare ma molto difficile da scendere col mulo, la gola è sempre più stretta e in alcuni punti c’è tanta neve, sembra di essere dentro un videogioco di quelli che più vai avanti più è difficile: prima la strettoia, poi la neve, poi un tronco che chiude il passaggio, infine una strettoia con un salto di un paio di metri, non si passa. Comincio a essere stanco, decido di lasciare qui il carico e Tambone con l’idea di recuperarlo domani e di scendere portandosi solo gli zaini piccoli, se arriva il tempo brutto qui la situazione può diventare critica. Scendiamo ancora qualche centinaio di metri poi un salto di una trentina di metri ci obbliga a risalire. Rincontriamo il pastore che ci indica la via e ci rifocilla con un tocco di pane e un bicchiere d’acqua, tutto quello che aveva. Discesa come da preavviso è “no swuin” (bello), il sentiero scende sopra la voragine a zig zag, ma qui qualche mulo c’è già passato anche se non recentissimamente come confermano le cacche secche. Nel punto che sembrava più difficile si apre una spaccatura a destra che facilita il percorso, un ultimo accumulo di neve a ombra e poi il sentiero pur rimanendo ripido diventa più agevole, in basso si vede Midelt vicina e le prime abitazioni sono a poco più di un’ora di cammino. Si cammina fra lecci un po’ secchi e un po’ spelacchiati a causa delle capre, è un’enorme distesa di alberi spettro. Stiamo per raggiungere le colline di terra rossa che ho visto per la prima volta dall ‘Ayachi lunedì, camminiamo lungo il greto del fiume, poi si trova una pista e si inizia ad attraversare una campagna a tratti coltivata, accanto a una collina di terra rossa si vede una tenda e una casa nel verde. Raggiunta la casa veniamo accolti da una famiglia gentilissima che ci accoglie sorridente con acqua, the e una frittata, senza bisogno di spiegazioni come il pescatore cantato da De André. Serena, che è già stata ribattezzata Zirina, crolla e si addormenta, gli ultimi due giorni sono stati duri ma se l’è cavata egregiamente soprattutto di testa, la cosa più importante.
Con Moha e Mohammed, due ragazzi ventenni, ci mettiamo d’accordo per il recupero di Tambone e dei bagagli, ci diamo appuntamento per domattina alle 5 qui alla casa di Hssein il fratello di Moha, si va noi tre e si porta anche un mulo. Moha torna alla sua tenda e Mohammed va dai genitori a Tattouine e io mi metto a dormire, gli ultimi quattro giorni sono stati impegnativi e poi devo recuperare perché domani sarà un'altra giornata impegnativa.
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Sveglia all’alba con sorpresa, è già pronto il primo “pane sasso” il pane dei pastori nomadi che si fa impastando la farina con l’acqua senza lievito, poi si avvolge l’impasto intorno a un sasso tondo (zona della “gola infernale” di martedì si trovano delle sfere nere quasi perfette) quindi si sotterra nella brace per cuocere, il risultato è eccezionale e poi come mi spiega Alla l’agrom (il pane) dei pastori è il migliore perchè dà la forza, ma essendo senza lievito non fa venire il mal di pancia. Con un sacchetto di farina e una teiera di latta, un pugno di foglie di the e una stagna d’acqua presa alla sorgente ci mangiamo in cinque.
Oggi proviamo a “sfondare” cambiando, scenderemo in direzione est lungo l‘oued secco, in fondo dovrei trovare uno sbocco verso la pianura così mi assicurano, abbiamo un carico più leggero perchè ho lasciato un po’ di roba al campo, salutiamo e iniziamo la discesa. Dopo poco si incontra un tipo strano su un mulo che ci guarda sospettoso, passano una ventina di minuti e si sente una grande botta, forse l’uomo misterioso cerca fossili o minerali con l’esplosivo. Il letto sassoso del fiume comincia ad avere un po’ d’acqua, i lati della valle sono inquietanti è tutto molto precario e ci sono continuamente delle piccole frane, entriamo in una gola stretta dove ci sono delle piccole cascate e tanti ammoniti, il viottolo finisce dentro un rifugio pastorale scavato nella roccia che si affaccia su un precipizio di una cinquantina di metri. Ritorno sui miei passi per qualche centinaio di metri e seguendo un’ impercettibile traccia che sale a destra del torrente mi ritrovo su una mulattiera, mirabile e mimetica che come un graffito è incisa nella roccia e rinforzata da arditi muri a secco, la discesa è impegnativa per la neve che è rimasta nei tornantini a ombra, ma eccezionale per il disegno ed il panorama che offre. Superata la gola ritroviamo il corso d’acqua, ora scorre sulla roccia, è un posto molto bello con cascate e laghetti abitati da rospi in amore. L’acqua scompare quando il letto torna ampio e sassoso, anche gli ammoniti finora numerosissimi non si vedono più. Fa caldo è da stamattina che si scende e abbiamo perso tantissima quota, incontriamo un anziano pastore con un gregge di pecore sparpagliato in un’ area molto vasta alla ricerca dei radissimi cespugli, l’uomo ci conferma che siamo sulla giusta via, poi finiamo in una grande arena circolare di fango, è un lago secco in alcuni punti c’è fango melmoso tipo sabbie mobili, in altri è compatto e screpolato, tutto intorno montagne rosse erose, sembra una gigantesca arena per battaglie di dinosauri, trovarsi qui con la pioggia può essere fatale. Ci sono delle tracce di sterco di mulo a destra e a sinistra, decido di salire verso nord in direzione della nostra meta seguendo la traccia di un fiume secco, il disegno è sinuoso e si apre sempre su un’ infinita salita di ciottoli.
Un paio d’ore di salita e troviamo una tenda di nomadi, una donna sta raccogliendo la neve in un canalone ombreggiato, anche lei mi conferma che siamo sulla via giusta, la salita sembra infinita, in una gola con pareti scure troviamo una serie di stagne di plastica incastrate nella roccia per raccogliere la preziosa acqua che scende lentissimamente a goccioline, è un ambiente estremo difficile anche per i nomadi. Incominciamo a ritrovare la neve, in uno slargo lascio riposare Serena e Tambone e vado a vedere dove termina il passo. Cammino per un paio d’ore su un bellissimo crinale panoramico dove sono sbocciati dei bellissimi fiori bianchi dalla neve appena sciolta, siamo saliti tantissimo ci troviamo nuovamente sopra i tremila, in lontananza si vede Midelt ma non riesco a trovare un passaggio per raggiungerla, sono montagne molto ripide che alternano pareti rocciose quasi verticali a tratti fangosi soggetti a smottamenti, la via migliore sembra quella che scende in direzione ovest lungo una gola rocciosa. Ritorno alla base e insieme raggiungiamo il passo inventandoci dei tornanti nel tratto più ripido e poi iniziamo a scendere nella gola, per fortuna non c’è tanta neve perché il percorso è sempre più difficile. Sbuchiamo dentro il letto secco di un fiume, sopra di noi delle rocce granitiche con chiusi che ricordano “La Tavola”. È quasi buio e comincia a fare freddo, montiamo la tenda su un pianello davanti a un caprile fra le coti di granito, a Tambone il posto piace perché c’è tanta erba fresca, non c’è acqua solo neve da sciogliere al fuoco e per mangiare un pezzo di pane che preferisco lasciare a domattina.
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Il primo sole ci da la sveglia, ma fa un gran freddo e aspetto chiuso nel sacco a pelo che si scaldi un po&rsquo. Ci sentiamo chiamare, sono due dei “cavalieri” incontrati ieri mattina nella valle di Taarart, sono sorpresi di vederci pensavano che fossimo tornati indietro, loro stanno andando a preparare i ricoveri per le greggi in un grande altopiano dove gli animali pascoleranno per tutta l’estate. Ci danno una mano a smontare e caricare e poi partiamo insieme, raggiunti i loro due muli prendiamo un sentierino che ci consente di evitare il canalone pieno di neve. I muli scendono veloci senza briglie in carovana, prima zizagando sul ripido pendio e poi in fila indiana e Tambone se la cava egregiamente, sembra contento della compagnia. Ci fermiamo alla sorgente a prendere l’acqua che esce dalla roccia, sotto di noi ci sono delle rocce chiare dove l’erosione ha disegnato un grande arco e una serie di piccoli poggioli a forma di dromedario. Arriviamo alla pianura e ci fermiamo dove ci sono delle piccole grotte e un campo di calcio con le porte e i bordi delimitati da linee di sassi. In un attimo accendono il fuoco per scaldare l’acqua e facciamo colazione, pane e the, mi spiegano che i muli torneranno a casa da soli e che loro rimangono qui per qualche giorno, loro sono seminomadi, Amazigh, sono pastori, in passato avevano le tende e si spostavano con tutta la famiglia poi il nonno ha costruito la casa e da allora le donne e i piccoli vivono stanziali, gli uomini si spostano durante l’estate. Ripartiamo mentre Alla e Hammed cominciano a fare dei muri a secco. Rimaniamo d’accordo che se c’è troppo Tagut ci rivediamo in serata. Si sale, il terreno è fangoso per il disgelo e il mulo fatica, poi con l’aumentare della pendenza diventa roccioso, un paio d’ore e siamo sull’ultimo passo, Tattouine e Midelt sono sotto di noi, ma sul lato di tramontana c è troppa neve, lascio Serena e Tambone sul colle e faccio un po’ di supervisioni a piedi per cercare una via, ma poi torno indietro, c’è troppa neve e anche tanto fango e il viottolo cammina nel vuoto, è troppo rischioso per il mulo, sarei tentato di mollare il mulo e di scendere a piedi ma poi decido ti tornare al campo base dei nostri amici Amazigh, mi sembra di essere Mosè che guarda la terra promessa. Si scende veloci nel terreno morbido fra le pernici che volano verso valle. Visto da qui l’altopiano è enorme, scuro di fango appena liberato dalla neve. Al campo sono arrivati due cugini che hanno portato un gregge di pecore e uno di capre, mentre Hammed è tornato a casa dalla famiglia. Lasciamo Tambone e si va alla sorgente a bere in compagnia di Hussein, il posto e la compagnia sono eccellenti e la delusione per non essere riuscito a sfondare scompare. Faccio una grande corsa in discesa verso l’arco, Hussein mi segue, è una sfida, vince lui ma di poco, ridendo col cuore in gola gli dico che ha vinto perché io avevo la macchina fotografica che mi sbilanciava, ma lui mi fa notare che le mie scarpe sono molto meglio delle sue, si ride di stanchezza come dopo le infinite partite di pallone da bamboli e poi mi fa un grande complimento, di quelli che quando ci pensi ti ride l’occhi, mi dice che corro sui sassi come un pastore Amazigh. Gli Amazigh sono considerati i più selvatici fra le tribù berbere (e berbero in arabo vuol dire barbaro, selvaggio), probabilmente me l’ha detto per farmi contento e c’è riuscito. Ritorniamo al campo che il fuoco è già acceso, col piccone prepariamo un piano perfetto e montiamo la tenda. Scarichiamo le foto nel pc ,esco per fare la legna ma è gia fatta, allora vado a fare il pastore, o meglio il cane pastore, aiutando a portare il gregge verso le grotte. Finiamo che è buio, non abbiamo più viveri, per fortuna che siamo stati “adottati”. Siamo tutti intorno al focolare con le greggi a cornice nelle grotte, accomunati dalla magia del fuoco, si mangia pane e si beve the. Le piccole teiere (ogni pastore ne ha una) sono tutte sulla brace e a turno si mescia la calda bevanda. Alla si allontana di qualche metro e rivolge la sua preghiera verso la Mecca. E’ una notte di quiete e armonia, uomini e animali radunati intorno a una fiamma sotto una volta di milioni di stelle dove non c’è traccia di aerei e satelliti. |
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La giornata è bella, decido di tentare il passo, Baali non è d’accordo, mi dice di provare e poi tornare a la maison di Taarart. Attraversiamo i vicoli del borgo intasati di mucche e capre e iniziamo a salire la valle. Il torrente limpido, i campi verdi, i contadini sorridenti, gli animali al pascolo, le vette innevate tutt’intorno, sembra la valle dei librettini dei testimoni di Geova, ci mancano solo i leoni che mangiano l’erba, qui però è tutto vero. Fa caldo anche in maglietta. Tutte le persone che incontro sono perplesse sulle mie intenzioni e mi ripetono a sentenza Tagut (neve), Tagut, Adrar (montagna) Tagut, Midelt no, Tagut. Tagut suona come il nome di un Dio che non perdona, è maschile e cupo, viene nominato ad occhi bassi, è sacro come il limo dell’antico Egitto, senza Tagut sarebbe il deserto, ma Tagut se lo sfidi ti uccide. Mi sento respirato come un profanatore occidentale e non mi piace, vorrei spiegare che non voglio sfidare Tagut ma solo ammirare questi luoghi di meraviglia, se Adrar dice che si deve tornare indietro, si torna. Dall’Ayachi la parte verde della valle sembrava finire appena sopra il paese, in realtà camminiamo per più di un’ora sopra la zona coltivata, poi guadiamo il torrente e il verde scompare, la valle diventa un deserto arido di ciottoli grigi. Da lontano si vede una nuvola di polvere alzata da quattro muli che corrono veloci verso valle, è una famiglia di seminomadi che stanno scendendo al paese per compere, si fermano, gli spiego sulla mappa le mie intenzioni, mi dicono che è molto difficile e mi consigliano di fermarmi alla loro casa che si trova poco più in alto nella valle, dove hanno lasciato le donne, loro torneranno stasera, ci salutiamo e proseguiamo in direzione contraria. La salita diventa più ripida e la pista inesistente, si continua nel letto di sassi sempre più stretto seguendo le dritte dei pastori che ogni tanto si incontrano, in questa aridità le greggi si spostano continuamente per trovare cibo a sufficienza. La valle sembra infinita, le montagne intorno scorrono verso il basso e si abbassano, una sensazione che ci fa capire che siamo ormai alti. Sui fianchi del canalone ci sono alcuni stoici ginepri dove un ragazzo sta caricando la soma del suo mulo di legna, è un concetto di taglio ben diverso dal nostro qui stanno attenti a non far seccare il prezioso albero, fare la legna è un po’ come mungere una mucca. Mi trovo davanti una gola stretta che sale ripida e scoscesa al confine della prima neve, Tambone non ce la fa, bisogna scaricare il tagrart. Porto su prima il mulo scarico che non ne vuole sapere e poi gli zaini e il resto del carico. La valle è finita siamo sul primo colle, a sinistra si sale per Midelt , a destra si piega verso Zhauia Hansa, anche qui un pastore dagli occhi assenti mi dice “Tagut”. Saliamo verso il prossimo passo in direzione Midelt avanzando in diagonale, il mulo non ce la fa a salire più ripidamente, siamo oltre i tremila metri tira vento e la fatica si fa sentire, Tambone va trainato se mollo le redini si ferma. Anche Serena è stanca ma soffre in silenzio. Finalmente sfondiamo, siamo altissimi, si cammina su un altopiano ricoperto di neve e poi si comincia a scendere, c’è abbastanza neve ma si riesce ad avanzare bene, ogni tanto devo “battere” la pista per non far sfondare l’asserdom, ma dopo la faticata dell’ascesa è un giochino divertente. Sotto di noi una gola che si presenta impegnativa perché nel canalone c’è tanta neve, il sole sta per tramontare, decido di salire in una zona di rocce stabili in alto per montare la tenda e passare la notte. Sul punto più alto un cumulo di rocce, mi affaccio e scopro una grande voragine scura che si perde nel vuoto, è una visione tetra, affascinante e drammatica sembra la porta di un regno del male. La roccia sembra basalto e l’aspetto è quello della bocca di un cratere vulcanico. Ci sono tanti corvi che volano fra le guglie interne al “cratere”, fanno capolino e poi si rituffano nel regno delle tenebre accrescendo la vocazione demoniaca del luogo. Il vento gelido mi riporta alla realtà, bisogna montare la tenda alla svelta prima che il buio e il gelo rendano tutto più complicato, Serena nel frattempo ha dato il meritato orzo a Tambone. Isoliamo il fondo della tenda con il naylon e la paglia e ci si prepara per la notte. |
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