I mangiatori del cercina Comincio a essere insofferente ho voglia di visitare perbene quest’arcipelago e poi continuare il viaggio ma i lavori arretrati sono ancora tanti. Ogni giorno è più caldo, nelle ore centrali la temperatura supera abbondantemente i quaranta gradi. Anche i kerkenniani si lamentano e cercano di starsene fermi e rintanati, mentre i turisti, quasi tutti tunisini, passano le giornate a bere birra e a mangiare al cercina, il ristorante in riva al mare, diventando ogni giorno più grassi. Il tramonto è sempre il momento più bello, stasera me lo godo da dentro il mare che, ingoiato l’astro, passa dall’arancio al viola in un attimo per poi divenire piano piano un’immobile lastra nera. |
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CategoryLuglio 2008
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Il mare vivo Stamani la baia è in secco più del solito, si vedono anche le ancore delle barche ormeggiate più a largo, il pensiero va allo tzunami e a cosa succederebbe se arrivassero su queste isole assolutamente piatte una serie di grandi onde anomale, magari causate da un terremoto nella vicina Sicilia. Poi la marea inizia a salire e sale tanto di più rispetto al solito: è arrivato il mare vivo, è la prima volta da quando siamo qui. Normalmente la marea ha un’escursione di un ottantina di centimetri ma quando c’è il mare vivo può superare anche i due metri. È un fenomeno legato ad una serie di fattori, la luna, le correnti, ma soprattutto il vento, quando soffia da nord-nord ovest il mare comincia a salire e sembra che voglia inghiottire tutto, arriva fino al limite della case costruite per i turisti, mentre i villaggi sono stati saggiamente costruiti più all’interno. Il mare vivo è un po’ il limo dei pescatori perché porta verso terra il pesce e rende ricco di vita animale un mare altrimenti quasi sterile. In serata ritorniamo a Ouled Kacem per cercare uno studio, così qui viene chiamato un piccolo alloggio, ma si trovano solo case grandi. Anche qui è arrivato il morbo del cemento e tutti stanno costruendo all’impazzata, decine e decine di cubi di cemento che crescono da tutte le parti nella speranza di ospitare turisti, un’urbanizzazione senza regole che sta rovinando l’architettura semplice ed elegante da presepe di mare del villaggio. Fathy è amareggiato per non essere riuscito a trovare quello che cercavo, gironzoliamo per il paese che la sera prende vita con la gente sta a veglia ai bordi della via su sedie e materassi in un clima di grande rilassamento e poi solita camminata notturna per attraversare l’Isola. Arriviamo con il mare vivo che fa capolino dal muretto proteggi casa. |
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La maledizione di Kerkennah Un’altra giornata pigra passata a leggere e scrivere, con un’ormai rituale pausa mangereccia per il Thschish, una minestra di polpo e semola di grano grezzo. In serata andiamo al villaggio per incontrare Fathi che ci ha trovato una casa. Ci incontriamo vicino al porticciolo, si parla un po’ di tutto e si sta bene, però la casa non c’è, quindi ce ne torniamo alla casina dietro il fico di Sidi Frej. Lungo la strada incrociamo più volte una moto stradale potentissima che viene lanciata sul rettilineo ogni volta un po’ più forte, alla guida c’è un ragazzo senza casco. Gli incidenti stradali sono la maledizione di Kerkennah ogni notte ci scappa un morto, motorini senza fari, macchine sfasciate guidate da briachi e soprattutto motociclisti sempre senza casco che si sfidano sui rettilinei asfaltati sporchi di sabbia e polvere. |
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Fathy il gigante |
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Pensieri senza limiti Nel pomeriggio andiamo a vedere El Ataya il paese con più abitanti delle isole Kekennah dove ci sono i cantieri piu importanti dell’Isola, è un giorno di festa però i cantieri non si fermano mai. Sono cantieri silenziosi, niente a che vedere con i capannoni e le gru, le barche vengono costruite all’aperto dietro la spiaggia con le tecniche tradizionali, i tronchi che vengono portati dal continente sono di legno di olivo (alberi secchi o comunque improduttivi perché un uomo saggio non ucciderebbe mai il sacro olivo per farne una barca) e di eucaliptus, vengono segati e modellati nelle forme tradizionali delle feluche o dei più moderni motopesca e infine pitturati con i colori sgargianti del mare e del sole. L’arcipelago di Kerkennah ha circa quattordicimila abitanti e duemila imbarcazioni, circa una scafo a famiglia, la stessa proporzione che c’era nell’Eba preturistica fra abitanti e asini. Si potrebbe dire che il mare sta a Kerkennah come la campagna all’Elba, o come il polpo alle vigne, oppure come la barca all’asino, solo che quando si parla di Kerkennah si parla al presente, mentre dell’Elba al passato (o forse al futuro). Osservando l’abilità dei maestri d’ascia, che mi ricorda quella degli scalpellini Sanpieresi , penso che ci si potrebbe avvalere di loro per ricostruire la nave da carico di epoca Romana che porterà una colonna di granito da Cavoli a Roma, una della cose che inschallah farò qundo tornerò stanziale all’Elba. Arriviamo nel piccolo porto di El Attaya, il vento mette fame e ci fermiamo nel cafè sul porto per mangiare un brik, ci avvicina un omone che ci invita a prendere un thè con i suoi amici. Si chiama Samir, mi trovo a condividere i pensieri che mi frullavano nel capo, l’Isole e gli Isolani del mediterraneo e del mondo, le nostre caratteristiche di apertura mentale e orsaggine formale di cui siamo tanto fieri, il vezzo di dividere il mondo in Isole e continenti e le genti in Isolani e continentali; le nazioni, i linguaggi, le religioni e la politica vengono dopo. Isolati sì, ma miscelati e bastardi, navigatori, mistici, fuggiaschi, dissidenti e corsari, un cacciucco di individui diversi abituati a osservare un orizzonte senza confini dove stendere pensieri senza limiti sul mare infinito e mai uguale. E penso all’Elba, dove le menti si sono inquinate di soldi e chiuse in confini continentali che non ci appartengono, dove si guardano i grafici e non si guarda più il mare, dove si ha paura di tutto e non ci si vuole adattare a niente. Il tempo scorre veloce chiacchierando e in un attimo arrivano le undici, abbiamo appuntamento con Fathi a Ouled Kacem per la cerimonia finale del matrimonio. Ci accompagnano Samir e Sami un ragazzo di El Attaya che c’ha la macchina, una scassatissima R5 che farebbe schifo anche a zio Ciro. Fathi ci stava apettando, è tutto orgoglioso e ci presenta amici, ci spiega come si svolgerà la cerimonia e ci mostra il doppio trono dove si siederanno gli sposi. Arriva “il folklore” con cinque musicisti poi i parenti stretti e finalmente i festeggiati, la sposa è irriconoscibile, da bimba minuta e velata si è trasformata in una vamp, tutta scollata e luccicante come una topona del carnevale di Rio de Janero. Come da copione c’è la telecamera e l’immancabile fotografo spaccacoglioni alla Cetica che tortura gli sposi e tutto il parentato con un ventaglio di plastica e un mazzo di fiori finti obbligandoli a pose demenziali e accecandoli a colpi di flash. Ogni paese ha le sue usanze, come in tutte le Isole c’è un gran campanilismo o “minarettismo” che sia e Samir schifa i matrimoni di Ouled Kacem dicendo che è solo un ostentare vestiti mentre a El Attaya è tutto più semplice ma molto più spontaneo. La festa andrà avanti fino all’alba fra canti balli e bevute ma noi rientriamo approfittando del passaggio che ci ha offerto Sami, lasciando la sposa ormai agonizzante a sciogliersi sotto i colpi di flash del fotografo. |
Il sabato arrivano i Pirla Anche stamani dobbiamo andare a Ramla, ci da un passaggio uno dei tanti abitanti di Sfax che viene qui il fine settimana per rilassarsi. Sfax è il secondo centro della Tunisia per numero di abitanti, questa città costiera è la capitale economica del paese, è un po’ la milano tunisina e i Kerkenniani prendono in giro questi frenetici continentali dicendo “loro lavorano tanto per poi venirsi a rilassare, mentre noi siamo sempre rilassati e non abbiamo bisogno di andare da nessuna parte”. |
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L’uomo del Forte Mi sveglio e l’acqua stamani è un po’ più alta, ma dura poco sto in mare un‘oretta e quando torno indietro più che altro cammino. Fa un gran caldo e viene da starsene tutto il giorno sotto il fico in riva al mare, che poi non è assolutamente mare. Prima di ricominciare il viaggio vero e proprio devo rimettere in pari il diario e sistemare il materiale per i servizi, il problema è che col capo sono ancora all’Elba. Verso le cinque si va a fare un giro a piedi nell’interno per andare a vedere i resti della villa romana di Borj El Hissar il sito archeologico più famoso dell’isola che si trova sulla costa a pochi chilometri da qui. L’isola è totalmente piatta, attraversiamo l’arida distesa camminando fra le palme, poi incontriamo qualche coltivo, fichi e viti tenute basse come cespugli senza essere infrascate, hanno dei piccoli e sofferti grappoli di uva già matura. È un’agricoltura stentata il terreno è povero e l’acqua poca, è un misto di polvere e sabbia, qui ogni frutto anche se rinsecchito è prezioso e infatti quando entro fra le viti per fare delle foto mi urlano subito dalla vicina casa per farmi girare alla larga dal sofferto raccolto. Ancora una ventina di minuti e arriviamo a Borj EL Hissar, la struttura che domina il pesaggio è un fortino spagnolo del XVI costruito sopra una precedente struttura difensiva Bizantina. Sulla costa che guarda verso il continente, fra il fortilizio e il mare si trova la villa Romana anche questa sovrapposta a un precedente insediamento punico. A guardia dell’antica postazione militare c’è un un gattino tipicamente africano, magro di pelo raso e rossiccio con il muso affilato e le orecchie grandi. Dalla terrazza nel fortino ci chiama un signore in camice e turbante, Mohammed. Lo avevo visto in lontananza e pensavo fosse in attesa di turisti invece abita proprio qui, sul pavimento inferiore ci sono delle grandi cisterne piene d’acqua e intorno nelle spesse mura alcune stanze. Mohammed mi dice che quando c’è vento da nord vede la televisione Italiana e mi fa una lezione di politica italiana da Craxi a Berlusconi. Ritorniamo a Sidi Frej passando lungo la costa fra reperti archeologici vari e ville moderne costruite praticamente nel mare. Qui ci sono tante case di vacanza soprattutto di ricchi abitanti di Sfax, moto d‘acqua parcheggiate sulla riva e un fornello per arrostire gamberi con tavolo apparecchiato in mare e secchio col vino gelato in perfetto stile “american arabic”. Arriviamo alla spiaggia del grand hotel che è interdetta, infatti arriva un buttafuori nerovestito che ci accompagna all’uscita, attraversiamo il recinto dorato dove sono rinchiusi turisti europei e tunisini che ascoltano le solite musiche e poi attraversato il palmeto illuminato dalle stelle torniamo alla nostra laguna. |
Internet, da Campo a Ramla Facciamo l’autostop, si ferma un gippone con un tunisino e una francese, ci chiedono se siamo noi gli italiani che vanno in giro a piedi e come mai siamo venuti a Kerkennah. Lui dice che se non fosse stato per la moglie qui non ci sarebbe mai venuto perché non c’è niente. Scendiamo a Ramla per andare a internet. Ramla è un paesone indolente, anche perché con questo caldo sarebbe impossibile diversamente, con i bar pieni di uomini a fumare la shisha (narghilé), si gironzola un po’ a vuoto e poi si trova un internet, il proprietario dopo un’oretta va via per la preghiera e ci lascia tranquillamente da soli nel negozio, proprio come a Campo nei giorni scorsi dove tutte le volte prima di avvicinarmi al computer dovevo consegnare i documenti e poi, fra aperture e chiusure non c’era mai verso di combina’ niente. |
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Omaggio al mare Camminando fra le barche in secca faccio amicizia con Fathi un pescatore che parla un po’ di italiano perché è stato due anni a lavorare a Napoli dove vive il fratello. Mi racconta un po’ della sua esperienza italiana e delle maree di Kerkennah e poi ci invita ad andare al suo villaggio Ouled Hacen dove nel pomeriggio ci sarà una festa di mariage (matrimonio) che è articolata su più giorni, oggi ci sarà la festa in mare con le barche. Facciamo un giro nel surreale mare senz’acqua della baia di Sidi Frej e poi andiamo sull’altro lato dell’Isola a Ouled Kacem dove abbiamo appuntamento con Fathi per le cinque e mezzo, quando con il risalire della marea le barche potranno prendere il largo. Arriviamo in ritardo all’appuntamento ma giusto in tempo per vedere l’arrivo del corteo nuziale con gli sbandieratori e poi prendiamo il largo con le feluche. Fathi ci tiene tanto, ci stava aspettando e ci fa salire sulla barca più importante, quella che porta “il folklore” un tamburo e una trombetta. C’è il futuro sposo che è un po’ malconcio perché come mi spiega Fathi ha fatto un incidente e s’è “schasciat a’gamb” mentre la sposa resterà in casa fino a domenica giorno della cerimona finale. Tutto il villaggio partecipa alla festa salendo sulle tante imbarcazioni vivacemente imbandierate. Prendiamo il largo, il vento è teso e le vele latine spingono le barche velocemente, è una specie di danza con gli scafi che si avvicinano e si allontanano come per sfidarsi fra urla divertite e scherzosi gesti di sfida degli equipaggi. I drappi colorati sono annodati su una cimetta che va dalla testa dell’albero alla poppa dove è legata a una bottiglia di plastica piena d’acqua che ogni tanto viene lanciata verso le altre barche o nel vento sventolando mille colori. È un’esplosione di colori e suoni con il tamburo e la trombetta che non hanno mai tregua. C’è una ritualità atavica e pagana in questa cerimonia, un omaggio al mare che qui più che mai è il Dio padrone, i ritmi sono sempre più frenetici e gioiosi mentre sulle barche si svuotano veloci lattine di birra e altri veleni liquidi. Si naviga una ventina di minuti velocemente perché queste barche eleganti viaggiano assai rapide, poi le mettono prua al vento e ci si ferma per fare il bagno a largo dove ci sono due tre metri di profondità e si possono fare i tuffi e nuotare. In tanti si tuffano uomini donne e bimbi è una festa di tutti, l’acqua in realtà non è un granché, soprattutto se paragonata a quella Elbana, ma la festa è bellissima e soprattutto è vera, ad eccezione di noi e di una donna inglese, è tutta gente del villaggio. Si rientra in un clima sempre più eccitato, fra canti tuffi e abbordaggi. La festa prosegue a terra, ci intruppiamo nel corteo che tra strombazzate tamburi e sbandieramenti attraversa il paese fino a raggiungere la casa della sposa, minuscola con gli occhi da bimba e velata di bianco, sembra la Madonna data in sposa a Giuseppe. È ormai sera quando lasciamo la festa che durerà fino alle cinque di mattina e ritorniamo a Sidj Frej. |
Il mare senz’acqua Facciamo il primo bagno tunisino, il mare di Kerkennah non a nulla a che vedere con quello Elbano, è un bassofondo infinito e pantanoso, ricco di alghe, spugne e granchi di sabbia, è un mare caldo e salatissimo lo si sente dal sapore e lo si vede dalla linea di galleggiamento delle feluche che sembrano volare sull’acqua. Il bassofondale fa si che il paesaggio cambi completamente con la marea, quando il mare si ritira la riva diventa un’infinita distesa di sabbia e fango e le barche rimangono in secca insieme alle ancore. Nonostante questa zona sia la più turistica dell’Arcipelago è un posto estremamente tranquillo, i pochi turisti arrivano per lo più dalla vicina Sfax e passano il tempo fra il mare e i teloni montati sulla spiaggia dove sono sempre accesi i bracieri di latta per cucinare. C’è un’atmosfera tipicamente mediterranea, più che l’Elba mi ricorda Ponza ma più tranquilla, il tramonto è il momento più suggestivo con il sole gigante che si immerge nella laguna infuocandola. |
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