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Il sorriso delle fate e il broncio delle megere
Lasciamo la nostra stanza sulla collina dei morti della vecchia Mut prima dell’alba per fare una camminata verso sud ovest in direzione del deserto di sabbia, dopo circa un chilometro si vedono le mura imponenti dei ruderi di un antico insediamento, il sito è recintato ma si entra da una delle tante aperture. È un sito molto esteso, ci sono delle grandi mura in mattone crudo, tracce di pavimentazioni, qualche resto di colonna, c’è anche la baracca del guardiano che però ci ignora e qualche cane che si stiracchia la schiena rivolto al primo sole. Sicuramente qui c’era un importante insediamento, probabilmente era qui la Mut del periodo Romano, l’impronta è quella di una città,  non ci sono sepolture, ma i resti di una cinta di mura e all’interno numerose abitazioni, si vede bene che qui sono stati effettuati degli scavi archeologici importanti, fra i tanti edifici e i vicoli riportati alla luce, anche la struttura di un mulino e quella che sembra la bottega di un fabbro, ma la stragrande maggioranza delle urbanizzazioni sono ancora sotterrate, ovunque spuntano resti di cocci e tracce di pavimenti a lastre, si respira netto che qui in passato c’era un insediamento molto importante, del resto la città dedicata alla Dea Mut la sposa di Amon, il principale dio dell’Antico Egitto, doveva sicuramente essere un centro prestigioso, purtroppo sembra che sia stato tutto dimenticato e anche questo scavo abbandonato è ormai diventato un rifugio per cani e volpi, non sembra poterci raccontare molto di più. Lasciato l’altopiano della vecchia misteriosa città, ci incamminiamo nella campagna fra campi di cipolle, erba medica e palmeti, salendo su una collinetta rossa si scorge un piccolo lago in cui si specchiano le palme circostanti, superato il bacino camminiamo ancora un po’ fra campi di grano e campi sterili formati da rosse argille salmastre e poi si rientra avvolti nella cappa caliginosa. C’è un largo marciapiede nei pressi del centro di Mut dove si ritrovano le donne che vendono le erbe, se ne stanno sedute in terra con la loro merce davanti, in attesa dei compratori, evidentemente esiste una gerarchia e dei posti assegnati perché assisto ad una scena di sfratto, operata da un vecchio che si ferma e scaccia una giovane donna e la sua bimba berciando aggressivo con modi da cialtrone sotto lo sguardo compiaciuto delle altre venditrici, quattro brutte cinghiale grasse tutte vestite di nero che non si risparmiano vili commenti sibillini, l’aggredita cerca di difendere la sua “piazzola” di vendita ma dopo un violento sfogo, esasperata inizia a trasferire le sue erbe dall’altro lato della strada con l’aiuto della sua bimba fiera alleata della mamma. Con la classe innata dei buoni la donna trasforma lo sfratto in un gioco per la bimba che si diverte a trasferire le fascine di verdura dall’altro lato della strada saltellando e ridendo sotto lo sguardo cupo e ottuso delle megere dai veli neri che si incupisce ancora di più quando un motocarro di un baffuto pancione accosta al marciapiede ghetto e si compra quasi tutta l’erba sfrattata.