Image  “Fuck you” e “Give me money, please”  
Si respira sempre più rabbia, è il sentimento più denso che aleggia, più del dolore e più della paura, un malessere diffuso che si stratifica e si ispessisce sommando accumuli di frustrazioni e soprusi. Un ragazzino mi grida “fuck you” e scappa spaventato da se stesso, dal suo istinto irrequieto che mal controlla, però i suoi occhi allagati e allargati di paura, scintillavano di coraggio, era luce di rabbia che per quanto pericolosa e malsana è espressione di vitalità. Molto meglio un “fuck you” in fuga che un accosto, servile e smidollato di “Give me money, please” la versione anglofona e ancora più antipatica del “donne moi l’argent” marocchino e tunisino. “Give me money, please” la via più semplice forse, sicuramente quella che ti trasforma in accatone, uomo vagone che marcia lungo la ferrovia del mondo dei servi, quella che, se ti va bene, della locomotiva puoi ambire solo a vedere il culo. La via, quella scelta senza scegliere dai tanti soldati che in compagnia del vuoto dei loro occhi spenti se ne stanno immobili piantonando le caserme dentro le loro tristi divise dal colore di lutto. Appena più che bimbi educati dall’infanzia a un mondo di servi e padroni e autodestinatisi al ruolo di servi, con la sola ambizione di sopraffare un servo più servo. Una scelta per fame e ignoranza che sembra la migliore proprio come “Give me money, please” e poi senza capi’ com’è andata ti ritrovi a punta’ il fucile contro un tu’ parente che sta scappando da casa sua perché gli tirano le bombe in capo, fuck you.
Parafrasando Bufalo Bill di De Gregori, fuck you può scartare, give me money please no.