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Attencion !! a la gendarmerie Attencion
Partenza all’alba per salire l’ultima montagna che ci separa dal mare prima della calura, Driss mi aiuta a sistemare il carico, ci scambiamo gli indirizzi e ci regala un pane appena sfornato, mi saluta con una stretta di mano e un ennesimo “attencion, pas confidence, ombertò attencion”. Ilcielo è viola quando attraversiamo una Targuist ancora dormiente, imbocchiamo una mulattiera ritrovando subito le piantagioni di Kif dove le donne già al lavoro stanno “sarchiando”. Saliamo andando incontro all’alba, raggiunta la sella mi aspetto di vedere il mare che invece è nascosto da un fitto strato di nuvole basse, saliamo seguendo il crinale, poi trovo l’ingresso di un viottolino che scende nella macchia di cisto e leccio, il sentiero è quasi invisibile ma è molto battuto tanto che il fondo è diventato sabbioso. All’improviso il viottolo incontra una fattoria, si apre su una grande coltivazione di kif che si estende a perdita d’occhio, c’è un uomo gli chiedo la strada per Torres de Alcalà, mi indica un viottolino che risale la collina dall’altro lato, abbiamo un dialogo breve e asciutto ma abbastanza per capire che mi sta facendo i complimenti perché sono andato a prendere la roba direttamente dai produttori senza essere passato dagli intermediari, per lui come del resto un po’ per tutti se vieni qui è solo perché sei interessato alla droga. Mi scompiglia tutta questa simpatia, se sapessero che io sono contrario a tutte le coltivazioni che portano alla produzione di droghe, a partire dai vigneti. Risalito il poggio si apre sotto di noi un panorama fantastico con ampie terrazze di kif affacciate sul mare, interrotte solo dal grano coltivato nei terreni più accidentati e da qualche fico. Camminiamo per un paio d’ore attraverso le piantagioni di marijuana, qui le piante non sono molto alte ma ce ne sono tantissime fiorite, l’aria è così densa di questo aroma appiccicoso e intenso che sembra di nuotarci dentro, i campi si estendono su tutti i lati e più ci avviciniamo alla strada asfaltata più aumentano. I contadini che lavorano nei campi ci osservano curiosi, le donne più sospettose, mentre gli uomini sempre gentili mi indicano la via migliore per Torres, è un periodo di lavoro intenso, c’è da mietere il grano e da togliere continuamente le erbe infestanti dal kif e tutti vi partecipano uomini donne e bimbi. Arriviamo all’asfalto, tagliamo attraversando campi di grano e mandorli, qui è troppo arido per la cannabis, siamo scesi molto di quota, le nuvole sono scomparse e fa molto caldo, ma il mare non si vede ancora, il Godrone fiancheggia il grande oued secco che ci accompagnerà fino al mare, anche la vegetazione è cambiata ci sono grandi oleandri fioriti, pitte e carrubi. Arriviamo a Bni Boufrat, primo paese che incontriamo e anche l’unico prima di Torres de Alcalà, è un paese di pianura con case sui due lati della strada e due cafè frequentati da personaggi mediamente fulminati che attraversano continuamente la strada barcollando. Siamo sul chiocco del sole e fa un gran caldo, mancano solo cinque chilometri alla costa ma il mare sembra camminare davanti a noi e non si fa raggiungere. Attraversiamo una campagna gialla di grano appena mietuto incontrando anche una veccia trebbiatrice tutta cinghie, pulegge e castelletti di legno che sembra quella dei Pupilli che veniva alla Bonalaccia per la trebbiatura quando ero bambolo.
Mi viene incontro un ragazzo che mi chiama collega ostentando un sacchetto di haschish.
Ormai ci siamo un cartello indica un chilometro a Torres e due a Cala Iris, si sente il mare, a destra un piccolo villaggio abbastanza fatiscente, proseguiamo nel oued secco che finisce in un bosco di eucaliptus e tamerici, poi finalmente il mare. Non ero mai stato così tanto tempo senza vedere il mare, percorriamo gli ultimi metri in silenzio, nella mente rivedo il film di questa camminata, si sovrappongono centinaia di immagini e suoni, paesaggi maestosi e persone magnifiche, fatica, freddo, fame, falò, risate e canti, deserti, montagne, foreste, miniere, grotte, douar e città e mille e mille volti di persone che sento come una grande famiglia. Senza rendermene conto sono in riva al mare, incrocio lo sguardo di Serena che luccica, anche Tambone sente la “densità” del momento, sembra commosso, è la prima volta che vede il mare e sicuramente se non l’avessi preso con me non l’avrebbe mai visto, me lo immagino di ritorno nella valle di Anergui a raccontare delle infinite distese di grano della piana di Fes, dei pascoli estesi del medio Atlas, di Ifrane paese fantasma senza ciuchi, altezzoso a descrivere le migliaia di asini, muli e cavalli incontrati, chissà cosa c’è nel capo di Tambone, sicuramente vuole che gli levi il carico dal groppone e che lo faccia bere!
A Torres c’è una spiaggia ciottolosa tipo Pomonte con due cafè alle spalle dove arrostono sardine, in alto su una piccola collina il rudere del torrione che da il nome al paese, risale al periodo di Mulay Ismail che qui aveva costruito il porto principale del suo regno. Subito veniamo avvicinati in maniera molto amichevole da un tipo che si presenta come il direttore della scuola del paese, sa già tutto di noi, ci dice che siamo i benvenuti e che possiamo fermarci quanto vogliamo e montare la tenda dove ci pare, però ci consiglia di segnalare la nostra presenza alla gendarmeria del paese.
Fa l’amicone ma non mi piace, fuma continuamente ha gli occhi piccoli e un sorriso da faina.
Ci offre un piatto di sardine che ci gustiamo all’ombra di una pergola in riva al mare, il posto è bello e sa di casa, l’idea è quella di fermarsi qualche giorno per mettere in pari il diario, confezionare il primo servizio “importante” e farsi qualche bagno. Faina ci spiega che qui la gente è molto tollerante e che le donne fanno normalmente il bagno in bikini però le uniche che vedo in acqua sono vestite dalla testa ai piedi, mi racconta che ama questo villaggio perché abitato da persone tranquille e pacifiche che vivono di pesca, però non ci sono pescherecci, mi chiede se sono un giornalista …
Do il grano a Tambone e andiamo alla caserma accompagnati dal professore. La caserma sa di legione straniera e di siesta alla sergente Garcia, veniamo fatti accomodare in una stanza dove c’è la prigione con dentro un detenuto che dorme. Vengono fatti i soliti controlli e sembra tutto a posto come nei controlli degli ultimi giorni, l’ultimo quattro giorni fa a Tahar Souk. Arriva un gendarme grasso e sudaticcio con le mani piccole e tozze che strappa i passaporti di mano al collega e senza guardarli ci chiede severo quanti giorni staremo a Torres, gli rispondo tre o quattro, i poliziotti ci lasciano e dopo una discussione animata nell’altra stanza tornano e ci dicono che proprio in quel momento è arrivata una circolare dal ministero che dice che a Torres de Alcala arriverà il re e che da oggi in tutta la zona è proibito campeggiare. Chiediamo se c’è la possibilità di affittare una casa, Ciccio ci dice che è proprio quello che ci volevano proporre e si stanno organizzando per trovarla, ci consentono di tornare alla spiaggia nell’attesa che i gendarmi ci indichino la casa dove alloggiare. Alla spiaggia ritroviamo il professore che ci sta aspettando, non facciamo in tempo a spiegargli l’accaduto, sa già tutto perché è stato informato per telefono, ma la sua versione contraddice con quella dei gendarmi infatti ci dice che non possiamo montare la tenda per la nostra sicurezza. Ci invita ad aspettare al bar che tra poco arriverà il signore che affitta le case, che è un suo amico e ci mostrerà alcune case comunque tutte lontane dalla spiaggia. Gli dico della circolare, abbassa gli occhi e inizia un discorso farfugliato ” io non so niente di politica e non voglio sapere niente, io sono per la pace” (nessuno ha parlato di politica). Con un mercedes scuro arriva l’uomo delle case, inizia una trattativa mediata dal professore, ma il prezzo richiesto è troppo alto, allora ci viene proposta una “camera” che altro non è che un sudicio rimessaggio, anche questo ad un prezzo esorbitante. Decidiamo di chiedere al proprietario del cafè di poter montare la tenda nella terrazza sul tetto (come hanno fatto i ragazzi spagnoli sul tetto del cafè di fianco), la richiesta sembra spiazzare il proprietario che dice che deve chiedere….(così traduce il professore) ma non si capisce a chi! Dopo qualche minuto arrivano i gendarmi in macchina, ci dicono che c’è un problema con i passaporti, ci chiedono ancora i documenti, parlano al telefono con qualcuno, ci dicono di tornare a sederci al tavolino che quando hanno finito ci chiamano loro, il professore però rimane lì con loro.
Ci dicono di tornare in caserma. Ci attende il comandante stizzito che ci dice che non siamo regolari, sono scaduti i tre mesi del visto turistico, diciamo che l’ultimo dei numerosi controlli l’abbiamo fatto quattro giorni prima a Tahar Souk e il capo della gendarmeria ci ha detto che era tutto ok, anzi mi ha fatto notare che a fine giugno sarebbero scaduti i sei mesi di soggiorno per me. Niente, non ci ascolta nemmeno, continua a sovrapporre la sua teoria e poi insiste sul mulo: “dove l’avete comprato? da chi? chi mi dice che non l’avete rubato?” e poi “dove avete dormito? non si può viaggiare così” Ci dice di uscire dall’ufficio rispedendoci nell’antigalera dove, da dietro le sbarre, mi saluta solidale il detenuto che nel frattempo si è svegliato, mi viene da ride perché è tutto il mi cugino Claudio. Nell’altra stanza si sente il comandante che sta facendo una serie di telefonate urlando in maniera sempre più isterica. Dopo una mezz’ora di attesa arriva il grasso che ci spiega con vocina pia e manine giunte che la nostra presenza nel paese è irregolare, che dovrebbero aprire una procedura molto lunga ed onerosa sia per loro che per noi, ma siccome loro sono molto buoni si sono sforzati tanto e hanno trovato la soluzione: bisogna andare a Melilla (enclave spagnola in terra marocchina ), uscire dal Marocco e rientrare subito con il visto comunitario spagnolo, in modo da poter restare altri tre mesi in Marocco senza problemi. Ci rendono i passaporti e ci accompagnano in macchina alla spiaggia dove insistono per offrirci un caffe’ in compagnia del professore e ci ripetono che tutto questo lo fanno per farci un grosso favore. Ci suggeriscono di riposarci e partire domani per Melilla, il professore ci offre ospitalità a casa sua (prima mi aveva detto che ci avrebbe ospitato volentieri ma non aveva posto) ma preferisco partire subito e risolvere il prima possibile. Controvoglia ci chiamano un grand taxi, lasciamo i bagagli e Tambone in custodia al tipo del cafe’ con la garanzia della gendarmeria che nessuno toccherà niente. Faina e il grasso insistono perché stanotte si rimanga qui e si parta domattina, ora per una notte si può dormire anche con la tenda e anche sulla terrazza del cafè, ma io voglio andare, allora mi consigliano di dormire a Al Hoceima e di proseguire domani con calma verso Melilla,il messaggio è chiaro: domani voi qui non ci dovete essere. Raggiungiamo la città di Al Hoceima in taxi, telefono al mi fratello per fargli gli auguri di compleanno e a Azedine per dirgli di venire a prendere Tambone il più velocemente possibile poi aspettiamo il primo pullman per Nador che parte alle due del mattino.
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© 2024 Elba e Umberto
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