Sveglia all’alba, anche oggi c’è da fare un “tappone”, apro la porta per vedere che tempo è, ma sull’uscio c’è l’omo bianco che mi rimanda in casa, prima si fa colazione e poi tutto il resto, nel frattempo manda la seconda moglie a far bere il mulo al lago. Appena partiti passiamo davanti alla grande maison forestale costruita dai francesi nel periodo coloniale e oggi fatiscente, scendiamo a vedere le sponde del lago Ouiouane dove “navigano” tranquille un po’ di anatre, è un bel laghetto con le sponde erbose e circondato da grandi alberi. La strada sale a curvoni nei tratti più ripidi il cemento sostituisce l’asfalto, ritroviamo i grandi cedri, e nelle radure i villaggi dei semi nomadi, con le loro case baracche di legno e teli di plastica. La salita finisce in un grande altopiano dove fra grandi massi di calcare, numerose greggi pascolano nell’erba bassa, ai margini la foresta che copre le zone alte e poi colline rossastre a perdita d’occhio. Anche qui in alto c’è un villaggio, la maggior parte delle persone sono arrivate da poco e le baracche sono in allestimento. Passo vicino a un pozzo scavato in mezzo alla radura dove ci sono due donne con due bimbe piccoline che giocano sopra una coperta, in realtà più che un pozzo è una buca sopra un fiume sotterraneo, una prende l’acqua col secchio e la tira sui cenci e l’altra li pesta coi piedi, mentre dentro dei tinozzoni scuri c’è la lana appena tosata a spurgare nell’acqua. Le donne parlano solo Tamazigh ma è un dialetto molto diverso da quello sentito finora. La strada inizia a scendere, ogni tanto si incontra qualche pastore fra le rocce bianche e i tanti lecci, sulla carta che questa zona viene definita una foresta di cedri, ma in realtà è una macchia di lecci che ricorda il nuorese. E’ una ventina di chilometri che si cammina, il paesaggio è bello ma l’asfalto rendo tutto meno affascinante anche se traffico non ce n’è. Nei pressi di Ain Leuch troviamo una schiera di chalet in stile alpino abbastanza disastrati, poi si entra nella cittadina, sembra un paese europeo con palazzoni e grandi edifici pubblici, sarebbe l’ora giusta per mangiare ma anche se sembra impossibile non riesco e trovare un posto per Tambone e allora si prosegue attraversando il centro di questo paese in discesa. Si sbuca su una strada trafficata dove passano camion con grandi tronchi di cedro e si iniziano a vedere i ciliegi con i frutti maturi. Per fortuna dopo poco prendo una via secondaria senza traffico e fiancheggiata da tantissimi ciliegi stracarichi di ciliegie mature, la tentazione è troppo forte nonostante i guardiani che sono accampati dentro i frutteti con delle tendine di teli di plastica, quando vedo che i guardiani sono più incuriositi dal viaggio che dal furto di ciliegie inizia una scorpacciata ininterrotta di un paio di chilometri. Fra ciliegi e campi di grano arriviamo (omo e mulo) a sera “colli stranguglioni”. Dopo una decina di chilometri di pianura fra i coltivi ,la via risale e si rotola sinuosa in una fitta macchia di lecci, poco prima del tramonto vediamo Azrou dall’alto, è molto grande ed è dominata da un’enorme moschea. La città sarebbe vicina ma la strada cammina in alto sulle colline facendo un giro largo nella macchia, è notte piena ma c’è una temperatura piacevole, entriamo nel centro abitato da una grande via illuminata con le rotonde e ampi marciapiedi, sembra una moderna città europea, senza nemmeno capirlo mi trovo proprio nel centro davanti alla grande Moschea dove c’è un albergo, sono le dieci per stanotte si dorme qui, come sempre l’ingresso col mulo crea ilarità, qui più che mai, visto che si sentono cittadini, comunque si trova anche una buona sistemazione per Tambone in un campetto accanto all’hotel. Le ciliegie ormai sono stradigerite, ora si cerca qualcosa da mangiare poi Azrou la cominciamo a guardare bene domani. | |
© 2024 Elba e Umberto
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