|
Treno dolore e sgomento Stamani si mette a frutto l’eperienza di ieri, eludento la sorveglianza che non è mai troppo scaltra, faccio due biglietti da europeo e poi si va verso il treno popolare, quello che ufficialmente non esiste e che per non farlo vedere ai turisti sta anche ai margini della stazione. È un relitto ferroviario a cui mancano anche gran parte dei finestrini, dentro c’è gente che dorme un po’ dappertutto, man mano che arriva la luce le sagome scure sparse fra sedili e vani bagagli si rivelano persone che hanno rimediato un riparo per la notte, è un deposito di lezzo e dove ci sono i vetri sono così incrostati che non si vede niente. Il treno dolore e sgomento comunque viaggia e in tre ore e mezzo siamo nella capitale, la locomotiva per motivi di immagine si fema lontano dalla stazione centrale e i suoi occupanti vengono vomitati nelle infernali vie del Cairo da passaggi laterali. Stavolta si va a botta sicura e con un paio di indicazioni volanti siamo al centro riparazioni Canon, sempre a Heliopolis ma nel distretto di Almza, fra vialetti ordinati in una palazzina tutta precisa. Ci accoglie un baffuto pancione avvolto in una nuvola di profumo, che la mattina si deve dare con la pompa del verde rame, è buffo e altezzoso ma sa il fatto suo, mi pulisce la macchina che torna a funzionare, il grandangolo invece è morto e ne compro un altro, per il 300, anche lui ko, mi promette di cercarmene uno usato. Ci spostiamo verso il centro raggiungendo Zamalek, esclusivo quartiere residenziale di banche e albergoni costruito su un isolotto in mezzo al Nilo, qui c’è la sede egiziana del Monte dei Paschi di Siena dove devo ritirare la nuova carta di credito per sostituire la vecchia che a fine mese scade. Passando davanti al Marriot uno dei più famosi alberghi da ricchi del Cairo, veniamo assaltati dai tassisti che ci vogliono a tutti i costi portare in giro, per 50 euro, che sono quasi due mesi di stipendio di un operaio, ci propongono la visita di ogni dove e mi inseguono famelici insistendo fino allo sfinimento. Non c’è nessuna indicazione di banca, ma l’indirizzo è preciso e si trova facile, ci aspettavano e il responsabile si dimostra gentilissimo, si chiacchiera un po’ e ci da qualche dritta fra cui una preziosissima di un negozio di fotografia dove si potrebbe trovare degli obbiettivi usati, che si trova di fronte alla Madrassa Ahram, indicazione indispensabile per farsi capire dal taxista. Fortuna vuole che trovo un trecento usato, è un po’ vecchiotto ma funziona e costa cinque volte meno di uno nuovo. La fame ci induce a festeggiare mangiando, è giovedì pomeriggio che corrisponde al nostro sabato sera, i negozi chiudono presto e i cairoti si riversano nelle vie e nei ristoranti. Capitiamo in un gigantesco ristorante popolare dove famiglie e gruppi di amici vanno a mangiare, in tanti prendono spaghetti al ragù e piccioni al forno, agli egiziani piace mangiare, i ciccioni sono tanti e di tutte le età. È un posto di grande varietà umana penso che per un egiziano del Cairo un ristorante italiano debba sembrare un tristissimo luogo popolato di zombi. Si ritorna alla Ramses station, naturalmente sul treno non c’è posto, ma ormai s’è imparato e si sale alla zitta, stavolta però è pieno davvero e si viaggia alla clandestina insieme a tanti altri, soprattutto studenti che rientrano verso casa. Sul treno oltre al controllore e ai venditori di cibo ci sono anche i facchini, uno viaggia insieme a noi. Più che un lavoro è cercare di sopravvivere, non so nemmeno se lo pagano, ma anche se fosse è poco più di niente, è vestito come un detenuto, grasso e sporco con una faccia così rassegnata che non c’è posto nemmeno per la disperazione, cerca di tirare avanti cercando di rimediare bascish puntando sulla commiserazione dei viaggiatori. Sono le piccole cose che ti fanno capire come funziona: passa il venditore di panini e bevande, con fare da mendicante il facchino gli chiede qualcosa da mangiare e lo segue, questo gli allunga qualche bustina di the e di zucchero facendo illuminare gli occhi a questo pover’omo che poco dopo cede un paio di buste della preziosa merce a un collega. Dopo un paio di quarti d’ora, dopo preso il the, con espressione appagata prende un pezzo di cartone e si mette a dormire incastrandosi fra la parete e lo scalino. |
© 2024 Elba e Umberto
Lascia una risposta
Devi essere connesso per pubblicare un commento.