Mi chiamo Umberto Segnini sono nato il 28 giugno 1966 alla Bonalaccia, piccolo borgo dell’Isola d’Elba nella casa costruita da Oddone, il mi Babbo.

Se mi guardo da fuori vedo un uomo molto fortunato che è riuscito a realizzare i propri sogni anche grazie all’aiuto di tante persone generose. Le voglio ringraziare tutte, in particolare i miei genitori che mi hanno sopportato e supportato nei miei viaggi di fantasia.
Oggi a quarantun anni mi sento il migliore Umberto di sempre capace di vivere in maniera semplice, ascoltandomi per capire cosa voglio e farlo.

Sono orgoglioso di essere nato all’Isola d’Elba e ho sempre vissuto la mia Elbanità come un grande privilegio.

 

Se penso all’infanzia riaffiorano immagini di pergole e pagliai, vendemmie e mietiture, asini e barocci, cacciuccate al mare, lo specchio pe’ i polpi e i disegni sugli scogli.

Il batticuore per essere portato in una “Cemballaia” segreta, o dove cresce l’erba dell’ascensione, la macchia profumata di lentisco e erbitro e la scopa femmina del Tambone.
La responsabilità di tracciare dritto un solco o le buche per le semente.

Il ricordo di camminate nei campi di grano maturo, dove non vedevo niente ma m’immaginavo tutto nel fruscio armonico delle spighe.

La capanna sulla sughera della collina, le merende con tutti l’altri bimbi nel giardino di casa alla Bonalaccia.
 

Il rapporto con il mare… la maschera e le pinne sono il regalo più bello, si apre un nuovo mondo a tre dimensioni ricco di vita e colori e l’universo parallelo della fantasia che spazia in mondi fantastici abitati da piovre giganti e uomini pesce.

Le domeniche a giro con Babbo, d’estate al “mare” con la “Giona” la barca di Peppe, e d’ inverno a la montagna pe’ vede’ le tombe, i caprili e le cascate.

I racconti della guerra sotto la leccia,e le feste più belle : il Natale e il Rallye.

Ha volte andavo in barca con nonno Mosè il babbo della mi mamma, lui non era Elbano, né contadino, veniva dall’Isola di Ponza, faceva il pescatore ed esprimeva concetti spesso contrari a quelli che respiravo alla Bonalaccia.
Non concepiva la vita dei contadini e la loro staticità:
“Già la terra è bassa poi fanno i manici delle zappe corti corti così stanno ancora più gobbi” diceva scuotendo la testa e mi raccontava di viaggi fino l’Africa, di stelle cadenti e dei porti di città con donne bellissime, della pesca con i delfini, di squali e capodogli, tempeste e trombe marine.

Famiglie Isolane di terra e di mare in antitesi fra loro e io le sentivo e me le sento dentro entrambe.
 
La scuola, la scoperta di essere bravo e la fatica a rispettare le regole e gli orari, alle scuole medie l’insofferenza cresce, troppi schemi, troppi prof che parlano solo di programmi, la scuola è un mondo estraneo all’Isola, non mi piace.

A quindici anni entro nel mondo del lavoro, è periodo molto formativo che ora a distanza di anni apprezzo ancora di più, il manovale e il bagnino per quanto agli antipodi mi hanno forgiato, davanti alla betoniera e sotto l’ombrellone ho avuto tanto tempo per pensare e confrontare la realtà del cantiere con quella della spiaggia turistica: l’arte di fare un arco e la facilità di affittare l’ombra.

 

Fino ai 28 anni ho passato tanto tempo da solo, scorrazzando per l’Isola in lungo e in largo, appassionandomi alla fotografia e all’archeologia e praticando tanto sport.

Il primo viaggio l’ho fatto nel ‘93: l’Etna, Malta e le Eolie, Isole e Vulcani le mie grandi passioni, scoprendo il piacere di fermare i pensieri su un quaderno un mese di solitudine e silenzio ad osservare e pensare.
Guardando l’Elba da lontano ho deciso di aprire “il viottolo”.

Era un po’ che stavo riflettendo su come impostare il futuro, e l’idea di trasformare le mie passioni, il trekking, il kayak, la mountain bike e l’Elba in lavoro mi stuzzicava.
Non ho mai avuto dubbi sulla riuscita del progetto, l’Elba è bellissima, le attività divertenti e gratificanti, era impossibile che piacesse solo a me.

Il problema che mi ponevo era etico: è giusto farsi pagare per portare le persone in luoghi che custodiscono l’anima dell’Elba?
Alla fine di tormentate riflessioni sono arrivato alla conclusione che è molto più coerente accompagnare le persone nei posti più belli e selvaggi dell’Isola e trasformarle in custodi di questo patrimonio, piuttosto che spargere cemento o piantare ombrelloni per soldi e poi andare a giro da solo per disintossicarsi.

Il Viottolo per me non è stato un semplice lavoro, ma la realizzazione di un concetto che non riuscivo a trasmettere con le parole.

In questi dodici anni ho accompagnato tante persone di tutte le età e di tanti paesi diversi  e tutti mi hanno insegnato qualcosa, è stato come viaggiare per 12 anni stando sempre nello stesso posto, ma in particolare mi hanno sempre colpito gli occhi delle persone che hanno viaggiato tanto per il mondo, hanno una luce speciale trasmettono una sapienza serena che mi ha spinto ancora di più a partire per il giro del mondo.