umberto e tambone

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fes

Stamattina Tambone è agitato e non ne vuole sapere della sella, fra vari tentativi di carico se ne va una mezz’ora, poi finalmente si parte. I primi cinque chilometri sono in discesa su una grande strada asfaltata, per fortuna che c’è poco traffico perché è veramente pericolosa, poi svoltiamo a destra e prendiamo una stradina che scende fra meli e ciliegi. Man mano che si scende cambia la vegetazione, ora ci sono tante agavi e palme nane e nei campi il grano è maturo, ritroviamo i paesini con i tetti piatti e gli uomini coi tonaconi, mentre si ricominciano a vedere le donne velate. Scendendo attraversiamo un altopiano di calcare ricco di grotte e poi cominciamo ad attraversare la grande pianura che ci porterà a Fes. Si cammina fra campi di grano e olivi, percorrendo stradine circondate da muri, la mietitura che è già iniziata viene fatta ancora a mano con le falci e il trasporto con gli asini. È un paesaggio dolce di campagna avvolto nel silenzio, non sembra assolutamente di essere vicini a una grande città, anche gli animali stanno cambiando, ogni tanto si incontrano dei cavalli, alcuni veramente belli. È già pomeriggio inoltrato quando ritorniamo sull’asfalto, su un infinito rettilineo che ci porta fino all’abitato di Ain Chgag che è una grande distesa di case circondate da piazzali polverosi e pieni di spazzatura, è un posto brutto e anche le persone sembrano tutte brutte, come sempre negli occhi delle persone riflette l’ambiente che li circonda. Proseguiamo verso est per cinque o sei chilometri fra i campi di grano interrotto ogni tanto da qualche villone per poi entrare nel grande stradone che ci porterà dritto a Fes, nei pressi di un grande campo da golf dove stanno costruendo un enorme villaggio. Siamo su una delle arterie più trafficate del Marocco, per fortuna che a fianco della grande strada c’è una striscia sterrata che ci permette di salire verso Fes senza rischiare. Manca una quindicina di chilometri a Fes che quando siamo partiti da Marrakech sembrava quasi una meta astratta e ora ci siamo. Ci passano vicini gli aerei che partono e arrivano dall’aeroporto e mi fanno ritornare in mente i grandi aerei che ci passavano sopra la testa quando con i kayak si stava imboccando il Tevere da Fiumicino. Dopo pochi chilometri la campagna che circonda lo stradone viene sostituita da un’infinita distesa di villone in un festival di sfarzo e pacchianità con grandi muri di cinta e telecamere di controllo. Camminiamo almeno cinque chilometri dentro questo quartiere di ricchi e nei pochi spazi ancora liberi stanno costruendo. La droga e il cemento sono da sempre i miei nemici e questa enorme distesa di cemento è sicuramente in gran parte finanziata dai soldi della droga del vicino Rif, vero motore trainante dell’economia di questa parte del Marocco. La mitica Fes, la città con oltre dodici secoli di storia, da qui sembra solo un cartello pubblicitario, così come noi che sembriamo assolutamente fuori luogo con il povero Tambone, unico mulo, che avanza con difficoltà su questi scivolosi marciapiedi catturando l’attenzione di tutti. Fra lo smog di un traffico sempre più caotico ci troviamo nel centro della ville nouvelle di Fes, ormai è sera i marciapiedi sono strapieni di persone. Alcuni ci guardano divertiti, altri ci deridono, qualcuno è incazzato, all’improvviso arriva un vigile urlando aggressivo, mi si avventa addosso con l’idea di farmi il culo, poi quando vede che non sono marocchino cambia modi e espressioni radicalmente dicendomi che non ci sono problemi. Se fossi stato un contadino Berbero avrei passato guai, ma sono un europeeo e il re vuole dieci milioni di turisti entro il 2011 e a questi tutto è permesso, anche entrare nello sciccoso centro di Fes col mulo. Comunque ci intimano di lasciare la città nuova e salire verso la medina dove ci sono i caravanserraglio per i muli. È notte e non ho assolutamente voglia di fare otto chilometri nel traffico per raggiungere la medina, troviamo una sistemazione per la notte buona per noi meno per Tambo e poi evadendo le richieste sempre più insistenti di gente che vuole comprare il nostro mulo, andiamo a mangiare, come ci eravamo ripromessi qualche mese fa, in un ristorante italiano dove incontriamo un trevigiano che ci paga la cena.