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Il piccolo Indio del Sahara È mezzanotte ma è ancora caldissimo, una squadra di ragazzi sta finendo di allestire le impalcature per la festa di matrimonio che ci sarà stasera, bucano la strada e mettono dei pali di legno che servono per sostenere l’illuminazione, i lavori si fermano all’una di notte, ora in cui scatta una specie di coprifuoco e al posto degli uomini per le vie si cominciano a vedere le volpi che si spingono fino alle case abitate spinte dal coraggio della fame. Scrivo fino al primo canto del muezzin e poi mi addormento. Quando mi sveglio il sole è già alto, la gettata di sabato è già stata disarmata, camminando per la via in cerca di un fruttivendolo incontro un gruppetto di bimbi che giocano con un ciuco e un carretto, su tutti spicca un bimbo con i capelli lisci a caschetto e la faccia da indio che per qualche evento magico è nato in questa oasi Sahariana. Il taglio degli occhi, il naso e la folta chioma lucente, lo rendono diverso dal fratello e dai suoi amici che hanno tutti i capelli riccioli e l’ovale del viso allungato, ogni tanto capita che i geni si ricordino dei “parenti lontani” ulteriore prova che noi umani siamo un’unica razza, qualcuno più scolorito, qualcuno ricciolo, secco o massiccio, ma alla fine siamo tutti parenti, il sorriso del piccolo indio africano che gioca con i suoi amici è la risposta più bella all’idiozia del razzismo. La macchina fotografica esercita sempre un grande fascino e tutti vorrebbero una “sura” (fotografia) specialmente i bimbi e i ragazzi, richiedono le foto e poi si accontentano di guardarle piccoline nel visore della camera digitale, in tanti vogliono le foto, anche una bimba che prima dice che lei non vuole la foto ammonendo anche le altre con la minaccia che alla madrassa hanno detto di non farsi fotografare, ma poi la voglia di vedersi immortalata è più forte e prima salta davanti all’obbiettivo e poi si ammira compiaciuta nel visore. La confusione attira sempre più gente, si ferma anche un macchinone nero di una famiglia benestante, probabilmente diretta ad una festa, da cui esce un bimbone obeso che mi chiede di essere fotografato con la sorella, poi con fare da boss mi stringe la mano e risale in macchina senza nemmeno guardare le foto, prima che la cosa degeneri metto la fotocamera nello zaino e mi dileguo. In serata inizia la festa del mariage, la strada è stata trasformata in un teatro, con la via platea piena di sedie occupate dalle donne e sul palco gli sposi sul trono contornati dall’immancabile cameraman e dal fotografo con un flash gigantesco che ad ogni foto scioglie un po’ di cerone bianco dal faccione pingue della sposa, ma il pezzo forte è il complesso musicale in cui spicca il cantante che dentro una giacca dorata degna di un domatore del circo Orfei lancia lamenti stonati che amplificati e distorti da un disgraziato impianto audio fanno rimpiangere il canto del muezzin. |
© 2024 Elba e Umberto
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