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La giornata è bella, decido di tentare il passo, Baali non è d’accordo, mi dice di provare e poi tornare a la maison di Taarart. Attraversiamo i vicoli del borgo intasati di mucche e capre e iniziamo a salire la valle. Il torrente limpido, i campi verdi, i contadini sorridenti, gli animali al pascolo, le vette innevate tutt’intorno, sembra la valle dei librettini dei testimoni di Geova, ci mancano solo i leoni che mangiano l’erba, qui però è tutto vero. Fa caldo anche in maglietta. Tutte le persone che incontro sono perplesse sulle mie intenzioni e mi ripetono a sentenza Tagut (neve), Tagut, Adrar (montagna) Tagut, Midelt no, Tagut. Tagut suona come il nome di un Dio che non perdona, è maschile e cupo, viene nominato ad occhi bassi, è sacro come il limo dell’antico Egitto, senza Tagut sarebbe il deserto, ma Tagut se lo sfidi ti uccide. Mi sento respirato come un profanatore occidentale e non mi piace, vorrei spiegare che non voglio sfidare Tagut ma solo ammirare questi luoghi di meraviglia, se Adrar dice che si deve tornare indietro, si torna. Dall’Ayachi la parte verde della valle sembrava finire appena sopra il paese, in realtà camminiamo per più di un’ora sopra la zona coltivata, poi guadiamo il torrente e il verde scompare, la valle diventa un deserto arido di ciottoli grigi. Da lontano si vede una nuvola di polvere alzata da quattro muli che corrono veloci verso valle, è una famiglia di seminomadi che stanno scendendo al paese per compere, si fermano, gli spiego sulla mappa le mie intenzioni, mi dicono che è molto difficile e mi consigliano di fermarmi alla loro casa che si trova poco più in alto nella valle, dove hanno lasciato le donne, loro torneranno stasera, ci salutiamo e proseguiamo in direzione contraria. La salita diventa più ripida e la pista inesistente, si continua nel letto di sassi sempre più stretto seguendo le dritte dei pastori che ogni tanto si incontrano, in questa aridità le greggi si spostano continuamente per trovare cibo a sufficienza. La valle sembra infinita, le montagne intorno scorrono verso il basso e si abbassano, una sensazione che ci fa capire che siamo ormai alti. Sui fianchi del canalone ci sono alcuni stoici ginepri dove un ragazzo sta caricando la soma del suo mulo di legna, è un concetto di taglio ben diverso dal nostro qui stanno attenti a non far seccare il prezioso albero, fare la legna è un po’ come mungere una mucca. Mi trovo davanti una gola stretta che sale ripida e scoscesa al confine della prima neve, Tambone non ce la fa, bisogna scaricare il tagrart. Porto su prima il mulo scarico che non ne vuole sapere e poi gli zaini e il resto del carico. La valle è finita siamo sul primo colle, a sinistra si sale per Midelt , a destra si piega verso Zhauia Hansa, anche qui un pastore dagli occhi assenti mi dice “Tagut”. Saliamo verso il prossimo passo in direzione Midelt avanzando in diagonale, il mulo non ce la fa a salire più ripidamente, siamo oltre i tremila metri tira vento e la fatica si fa sentire, Tambone va trainato se mollo le redini si ferma. Anche Serena è stanca ma soffre in silenzio. Finalmente sfondiamo, siamo altissimi, si cammina su un altopiano ricoperto di neve e poi si comincia a scendere, c’è abbastanza neve ma si riesce ad avanzare bene, ogni tanto devo “battere” la pista per non far sfondare l’asserdom, ma dopo la faticata dell’ascesa è un giochino divertente. Sotto di noi una gola che si presenta impegnativa perché nel canalone c’è tanta neve, il sole sta per tramontare, decido di salire in una zona di rocce stabili in alto per montare la tenda e passare la notte. Sul punto più alto un cumulo di rocce, mi affaccio e scopro una grande voragine scura che si perde nel vuoto, è una visione tetra, affascinante e drammatica sembra la porta di un regno del male. La roccia sembra basalto e l’aspetto è quello della bocca di un cratere vulcanico. Ci sono tanti corvi che volano fra le guglie interne al “cratere”, fanno capolino e poi si rituffano nel regno delle tenebre accrescendo la vocazione demoniaca del luogo. Il vento gelido mi riporta alla realtà, bisogna montare la tenda alla svelta prima che il buio e il gelo rendano tutto più complicato, Serena nel frattempo ha dato il meritato orzo a Tambone. Isoliamo il fondo della tenda con il naylon e la paglia e ci si prepara per la notte. |
© 2024 Elba e Umberto
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