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Il treno per la città dei morti
Per andare a vedere le piramidi di Dashur la soluzione migliore sembra quella di prendere il treno fino a Al-Badrashein e poi un minibus per Dahshur. Alla stazione Ramses arriva il treno di terza classe, c’è tanta folla la gente si lancia sulle porte con il treno ancora in movimento, è tutto uno spingere per scendere e salire, è un delirio di spinte e urla, in tanti si infilano nel treno entrando dai finestrini senza vetri per accaparrarsi i posti a sedere. Riusciamo ad entrare e dopo poco minuti il locomotore parte, il convoglio avanza lento, è strapieno, lezzo e puzza di piscio, i bigliettai che avanzano a spintoni ci ignorano e la gente ci guarda male, non ci vorrebbero nel vagone  “solo arab, solo arab” continuano a dirci. Il treno è un locale ma non si ferma a Al-Badrashein, vediamo scorrere le piramidi di Saqqara, la maggior parte della gente è tutta seduta in terra vorrei scendere ma le porte sono ostruite dalle tante persone ammassate. Un paio di tipi gentili mi aiutano a cambiare vagone e quando il treno rallenta fino a fermarsi si scende  saltando in mezzo ai binari. Questi sono i treni che i turisti non devono prendere perché il governo non vuole far vedere queste ferrovie degradate che fermano nei paesi senza stazione. Siamo a Al-Hai piccola cittadina ai margini della grande oasi di Al-Fayoum considerata il fulcro dei movimenti integralisti islamici più rilevanti dell’Egitto. Il binario è una discarica e anche intorno la spazzatura non manca, solo ora mentre guardo il treno che riparte mi rendo conto che c’è un sacco di gente anche all’esterno, abbarbicata alla meglio fra i vagoni. Il centro del paese è diviso dalla ferrovia e si vende pesce sui binari, nei cestoni ce ne sono diversi tipi, i più numerosi sono i pesci gatto scuri e viscidi come le anguille. Finalmente il vero Egitto, vie sterrate e fangose fiancheggiate dai colori e i profumi delle merci più disparate che pittoreschi venditori cercano di vendere declamandone l’eccezionalità, stiamo catalizzando l’attenzione di tutti, nonostante le tante notizie allarmanti non c’è nessun sentore di ostilità, anzi c’è solo curiosità e gentilezza. Per ritornare nella zona delle Piramidi di Dahshur prendiamo un puk puk “gli apini taxi” che coprono tragitti urbani, ripassiamo sopra la ferrovia mercato e ci fermiamo al parcheggio dei pulmini dove se ne prende uno che ci porterà fino a Al-Badrashein. La strada scorre nel verde meraviglia che fiancheggia il Nilo che brulica di vita, ibis e aironi punteggiano di bianco i coltivi dove gruppi di contadini avanzano nei campi zappando la terra scura di limo. Sembrano in divisa tutti con le camice scure, i pantaloni arrotolati alle caviglie e i piedi scalzi, è il lavoro duro e rituale della campagna, di questa meraviglia possibile grazie al Nilo e ai tanti canali che rendono fertile il deserto, sembra la Libia disegnata sulle  gigantografie della propaganda di Gheddafi. Ci sono asini e mucche e anche tante bufale che mi fanno veni’ voglia di mozzarella. Scendiamo a Al-Badrashein dove troviamo un puk puk che ci carica, l’autista è uno scugnizzo con una sigaretta spenta in bocca che avrà una dozzina d’anni e che lavora insieme al suo “scagnozzo” un bimbo di 6/7 anni. È tutto esaltato dal portare ‘sti tipi anomali e fa il giro di mezzo paese strombazzando a tutto spiano, poi tutto fiero ci scarica al parcheggio dei pulmini, il nostro è il più scassato che abbia visto finora, è tutto marcio e si regge sulle saldature. Qui usa pagare mentre si viaggia passando il pound di mano in mano fino all’autista che mentre guida fa i resti, mentre l’autiere è impegnato a fare i resti rischiamo un frontale con un camion, si sfila per un nulla, dev’esse che le preghiere che suonano sempre nei mangianastri di questi carretti funzionano per davvero. Siamo a Dahshur, cerco un puk puk faccio il segno delle piramidi unendo le mani a triangolo, ci pensa un po’ ma poi si va, si cammina lungo un canale fino ad arrivare all’imbocco di un viale che porta all’ingresso della zona archeologica. Saranno le due del pomeriggio quando si entra, è un posto magico e silenzioso, lasciamo la via e si cammina nella sabbia ondulata, intorno tante piramidi. Siamo nell’antica città dei morti del tempo dei faraoni, che si estendeva per una quarantina di chilometri nel deserto occidentale ai margini delle fertili terre irrigate dal Nilo, in questa area si trovano decine di migliaia di sepolture costruite nel corso di più millenni. Sbucano tracce di reperti ovunque e sicuramente la sabbia nasconde ancora numerosi tesori, sotto un cumulo di eternite si intuisce uno scavo sospeso, qui c’è ancora tanto da scoprire e mi piacerebbe partecipare a una spedizione archeologica, per il momento non ho trovato niente ma magari qualcosa viene fuori. Il paesaggio è dominato dalla Piramide Rossa, che poi rossa non è, ma è grandiosa e perfetta nel suo rigore geometrico, fu costruita per volere del Faraone Snefru, babbo di Cheope e fondatore della quarta dinastia. Snefru fece costruire tre piramidi, la prima a Medium qualche decina di chilometri più a sud, all’interno dall’oasi di Al-Fayoum, che si ispirava alla più antica piramide quella a gradoni di Saqqara costruita dal geniale architetto Imhotep circa 4700 anni fa per il Faraone Zoser. La prima piramide non gli venne bene, ma Snefru non si perse d’animo e raddoppiò facendo costruire qui a Dahshur prima la Piramide Romboidale e poi la Rossa dove, finalmente soddisfatto, diede ordine di farsi seppellire. I due monumenti a quarantasei secoli dalla loro costruzione dominano ancora la scena entrambi alti centocinque metri e distanti fra di loro solo un paio di chilometri. Siamo ormai sotto la Piramide Rossa che a differenza delle piramidi di Giza conserva ancora diversi lastroni bianchi di calcare che in origine la rivestivano completamente, da qui l’imponenza dell’edificio mette soggezione e mi immagino l’effetto che doveva suscitare nella psiche dei sudditi del Faraone. Il silenzio e l’assenza di visitatori rende il tutto ipnotico, gli giro intorno le pareti perfette tutte inclinate di quarantatre gradi sembrano variare il loro angolo e la loro lunghezza ad ogni passo, c’è un fascino sovrannaturale dal retrogusto lievemente angosciante all’ombra di questo solido. Come uscita da un vecchio film si avvicina lenta una vecchia peugeot, al volante un anziano autista che trasporta una giovane pallida turista con capello di paglia, il tempo di una foto e ritornano verso la strada lasciando il ricordo di un immagine piacevolmente retrò. Verso est in lontananza si staglia la sagoma da grande termitaio della Piramide Nera di Amenemhat III, sullo sfondo il verde dei palmeti che sovrastano i coltivi intorno al Nilo e poi le ciminiere delle tante fornaci di mattoni che colorano il cielo di fumi neri in un tetro miraggio da prima era industriale.
Ormai è quasi ora di chiusura, proviamo a raggiungere anche la Piramide Romboidale passando da una depressione per eludere le guardie ma senza successo. Arrivano i gendarmi, è scoccata l’ora x e si chiude tutto, è un gran peccato perché ora c’è la luce più bella. Una volta capito che siamo a piedi ci fanno salire con loro nel cassone chiuso del camion, “Italia Ornella Muti” finalmente si cambia non ne posso più di “Italia giuventus bellusconi” Siamo una quindicina nel cassone, noi e i militari della polizia turistica, tutti vestiti di nero e i baffi da cattivi, fa un effetto strano sentirsi chiedere  souvenir, stilo e bon bon da gente che imbraccia il mitra, comunque ci fanno un gran favore perché ci scarrozzano fino alla fermata dei minibus. Soliti cambi, poi metro e di nuovo nel traffico infernale del Cairo. In serata troviamo un bar con la wi-fi gratuita dove fanno un eccellente caffè espresso.

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