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I Saggi Ottenebrati e l’Adoratore del Sole
Uno dei tratti più belli dell’oasi è la via che dal centro di Siwa va al villaggio di Dakrur sotto la montagna dei Fantasmi, nel primo tratto attraversa una zona residenziale dove le case sono ancora costruite nella maniera tradizionale, alcune sono dei ruderi disabitati, ma la maggior parte sono abitate e tenute bene, è il quartierino ricco di fascino che in alcuni punti ricorda la bella Ghadames. Sono gli anziani appollaiati davanti agli usci a rendere unico questo scorcio, spesso i loro occhi sono bianchi consumati dalla polvere e dal sale, di solito stanno seduti o straiati al fresco davanti alle case avvolti in turbanti e mantelli e quando si spostano spesso si sorreggono con bastoni lucenti di legno di olivo, quando gli passi davanti ti guardano anche se i loro occhi spenti non sanno più vedere, ma ti osservano in silenzio sembra che ti entrino dentro i pensieri con l’olfatto, questi volti scuri, rugosi e immobili si armonizzano all’architettura senza tempo di questa via e assumono le sembianze di personaggi mitologici, fra il fantasma e lo stregone.
Dopo un primo tratto più angusto la strada si distende in un largo rettilineo lungo un paio di chilometri dove passano continuamente i carretti, spesso trasportano le donne che curiose e celate dietro i veli combattono fra la voglia di guardarsi intorno e il timore di farsi accorgere curiose dagli uomini della famiglia, che sono sempre vigili e guardinghi nel controllare che non si verifichino scambi di occhiate fra maschi e femmine. Le donne vengono accompagnate fino alla soglia della casa a cui portano visita, scendono velocemente e si rifugiano nelle case tangando l’uscio, è praticamente impossibile vederle perché stanno sempre chiuse dentro. A bordo strada i bimbi (3/4 anni) giocano a fare i contadini piantando pezzetti di foglie di palma e poi irrigando con un bussolotto d’acqua, mentre le bimbe della stessa età giocano a fare il pane con la sabbia. Questa è una strada che è anche un souk e ci sono decine di micro attività, il negozio tipo è una cassetta di palma apparecchiata con qualcosa sopra: caramelle, uova, una radio, della verdura … c’è anche un fabbricante di giocattoli di canna e una bottega che costruisce letti e sedie tradizionali incrociando  le parti legnose delle fronde delle palme, uno dei mercanti più coreografici è un venditore di pulcini rossi che li tiene chiusi nelle gabbie, naturalmente costruite con legno di palma. Le attività più grandi sono la falegnameria dove una squadra di artigiani sempre al pezzo realizza in continuazione porte, sedie, mobili, panche e letti e poi la frequentatissima officina meccanica, che è anche il punto di ritrovo dei giovani vagabondi motorizzati del paese, dove però più che eseguire lavori di meccanica si rattoppano le camere d’aria dei carretti, naturalmente non mancano un paio di piccoli cafè, il macellaio e il barbiere. Finita la strada souk si entra nel palmeto per qualche chilometro e proseguendo in direzione est si sbuca nella radura alla base del Jebel Dakrur. la montagna dei fantasmi al tramonto regala colori magici che ieri abbiamo ammirato dai fianchi, oggi però voglio salire sulle cime di questa affascinante montagnola dai quattro cocuzzoli, dalle case più alte risalgo camminando nel terreno sabbioso che è disseminato di conchiglie e cocci, risalendo fino alla piccola duna che divide  le due vette principali, dal dosso sabbioso si apre una bella panoramica sul lago orientale dell’oasi. Spostandosi verso nord c’è un viottolino appena accennato che sale verso il punto più alto del poggio girandogli intorno in senso antiorario, è un terreno roccioso ma friabile ed è formato prevalentemente da conchiglie fossili, man mano che salgo la visuale si allarga sul palmeto e la laguna orientale con la strada sopraelevata, anche questa, come il birket Siwa, sempre più secca, dalle acque salmastre sbucano le isolette che con la luce della sera stanno diventando rossastre, così come le zone ormai secche che da qui svelano la loro estensione. In basso nella via fra le casine del villaggio di Dakrur, il traffico dei carretti con l’approssimarsi della sera sta aumentando. le rocce sono arcigne e ricche di spaccature, in queste fenditure ci sono diversi nidi di falco, alcuni dei quali volteggiano eleganti e potenti a caccia di prede. in cima mi attende un gran panorama che spazia in tutte le direzioni, si ha una magnifica prospettiva sul grande palmeto, anche da qui la collina di Aghurmi con il Tempio dell’Oracolo domina la scena perfettamente allineata con il Tempio di Umm Ubeyda e la sorgente di Cleopatra. Questa montagna dalla cima piatta assomiglia a una grande piazza per adorare il miracolo dell’Oasi, me la godo nel silenzio insieme al sudore che scivola caldo e il vento fresco che lo asciuga e ai falchi che sfrecciano sibilanti.
Salgo sui tre poggi principali, ognuno dei quali regala un panorama diverso, con la luce più radente si vedono ancora meglio le migliaia di conchiglie inglobate nella roccia, chissà se i pesci che nuotano nei canali e nelle lagune qui intorno sono i discendenti diretti dei frequentatori del mare in cui vivevano queste conchiglie, se così fosse sono loro gli abitanti dell’oasi che vantano le origini più antiche. Scendendo, alla base del terzo, ci sono diverse tagliate nella roccia da dove sono stati estratti grandi blocchi, la più grande delle quali ha una forma più elaborata, forse è una grande tomba, entro dentro è molto grande e scende di livello, però l’interno è buio e sono venuto senza torcia, quindi faccio poca strada. Manca poco al ponere del sole, salgo ancora un po’ mi piazzo sullo sperone più alto di questo cocuzzolo e aspetto, non sono più solo, sulla montagna sull’altro poggiolo un Siwano solitario ammira assorto la posa di sole, con la sua veste bianca sembra un sacerdote del tempio di Amon, chissà se esiste ancora una qualche forma atavica di adorazione dell’astro in questa oasi così marcatamente islamica. Il tramonto arriva bellissimo come sempre, infuocando tutto prima di scomparire dietro le dune del deserto, contemporaneamente al canto dei muezzin che chiamano la preghiera dalle tante moschee.
Sulla via del ritorno mi ritrovo nel flusso di rientro dei contadini Siwani, i più coreografici sono quelli in bicicletta, dei “cancelli” di una ventina di chili carichi di erba, zappa e falciotto, queste persone danno l’idea di essere sempre tranquille e spesso canticchiano nenie ripetitive, si avvicina l’ora di cena e alcune donne si muovono con i loro veli trasportando pentoloni da una casa all’altra, mi immagino che camminare con il buio con il velo sugli occhi non deve essere facile.
In tarda serata si va ad internet, c’è la connessione che traballa ma il problema non turba i Siwani che  usano la sala soprattutto per vedere i film, non si riesce ad inserire niente però sento Mohamed dal Marocco che mi manda un po’ di traduzione in francese per Elbaeumberto.