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Sveglia all’alba, colazione, rifaccio il tagrart e si parte, stamani Tambone non va, la prima mezz’ora è una battaglia poi si stufa di fa’ sciopero e si comincia a camminare di buon passo. La campagna è dolce, siamo alti quest’altopiano in pieno inverno è coperto dalla neve ma è un ambiente molto più abitabile rispetto a quello dei giorni precedenti, lo si vede dalle case che sono molto più numerose e dalle mucche che qui possono vivere, la mucca è una risorsa enorme per una famiglia ,vuol dire latte tutti i giorni. Qui la terra è chiara e di conseguenza anche le case hanno lo stesso colore, nel terreno c’è tanto quarzo. Arrivati ad un villaggio vedo in alto la piccola scuola, mi fermo anche per chiedere informazioni e vengo accolto da un giovane maestro di una prima-terza elementare dove ogni bimbo al mattino porta un po’ di legna per la stufa. La scuola è mandata avanti da due ragazzi di città  che ci invitano a prendere un the, sono contenti di parlare con qualcuno non del villaggio, loro sono di città, parlano arabo e non riescono a integrarsi con la gente Berbera dei villaggi, il vero problema è che qui nessuno sa l’arabo, è come se da noi il programma scolastico venisse svolto in bulgaro. Anche qui parliamo di Base Elba ai bimbi, in Berbero, in Arabo e in Francese. Ogni volta che riparto da una scuola mi sento pieno di energia positiva, per l’energia dei bimbi e per l’entusiasmo sognatore di questi ragazzi i maestrini  senza calci in culo  mandati al “fronte” dove nessuno vuole andare, insegnanti per passione e vocazione.
La strada prosegue salendo fra boschi di piccoli lecci, spesso lascio la via principale e taglio per le vie dai legnaioli, anche Tambone sembra divertirsi di più nei tornantini ripidi disegnati fra i tronchi. Il paesaggio cambia, ora siamo circondati da montagne nere, vicino ad un torrente incontro una carovana di muli carichi di legna  mandata avanti da un gruppo di ragazze che mi invitano alla loro casa, ci sono tante donne sole in queste zone anche perché molti uomini vanno a lavorare in Europa o sulla costa atlantica marocchina, mandano avanti la “baracca” e sono molto più intraprendenti e spavalde delle donne dell’Alto Atlas.
Davanti ad un nuovo grande scenario di montagne grigie e verdi che si perdono fino ad incontrare picchi innevati  scendiamo in direzione della valle  dove a fianco del fiume  incontreremo il Godron (l’asfalto) che ci porterà fino al lago di Tislit, anche qui tagliamo da un viottolino fra i pini d’aleppo che ricoprono queste montagne sassose risparmiando qualche chilometro di pista. Arrivati al torrente Tambone si fa una gran bevuta e poi non senza difficoltà riesco a fargli guadare il fiume. La strada sale ripidamente, a tornanti, sotto di noi  una gola stretta e scura con tante cascatelle, mentre le montagne sopra sono brulle e di color grigio chiaro divise da linnee orizzontali di roccia gialla  che sulla sommità  formano delle grandi creste di roccia che fanno pensare a enormi dinosauri pietrificati. Si arriva al passo, lo sguardo si perde nelle rocce brulle che finiscono nel deserto, si sale ancora, ormai la vegetazione è praticamente scomparsa solo qualche cespuglio di “fienello”, fa freddo ed è riapparsa la neve. In alto a sinistra una postazione anti polisario, ci ricorda che siamo vicini alla zona dei saharawi , superiamo il secondo passo, ormai il paesaggio è quello desertico, scendiamo fra rocce brulle, il sole è ormai tramontato quando  lo sguardo  incontra il surreale il lago di Tisli. Vedere tanta acqua in mezzo al nulla sa di magia, scendiamo, mentre nell’assenza di vento cala la notte, sulla  lastra d’acqua gelida e immobile si specchiano pallide la luna e la neve degli alti picchi circostanti. Ci fermiamo sui bordi del lago dove c’è un'unica struttura, un “castello solare” a 2275 metri. E’ un piccolo ostello a forma di kasbak con i pannelli solari sulle quattro torri d’angolo. Siamo gli unici ospiti, il castello è gestito da una signora anziana e da un po’ di attendenti tutti straniti da questo imprevisto arrivo notturno.