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I vicoli della città vecchia
Scrivo un po’ di lettere per preparare il lancio di Base Elba, poi prima andare ad internet dove ho un appuntamento con Michelangelo per fare delle migliorie al sito, facciamo un giro nella città vecchia entrando dal cimitero vecchio che è interessante e inquietante, è una collina rossa dominata da un grande marabutto di mattoni crudi con all’interno le solite sepolture malridotte e intorno decine di fosse a pozzo con una copertuta in mattoni crudi che si chiude su una botola aperta, dentro ognuna di queste sepolture ci sono svariati corpi, alcuni avvolti nei sudari sembrano mummificati, è difficile capire, nessuno sa dire niente di questo luogo oltre che sono morti da tanto tempo. Dal cocuzzolo del camposanto si ha una bella panoramica sulle case della città vecchia sui cui tetti piatti in questo periodo di mietitura ci sono accumulati i fasci di grano e dall’alto sembrano nidi di smisurati uccelli. Mentre si entra nei vicoli, guardando fra la spazzatura accumulata a ridosso della ripida parete della collina funeraria, vedo che c’è un teschio che probabilmente è rotolato dall’alto e ora riposa fra la rumenta ignorato da tutti. Sono vicoli vivi i primi incontrati, con i bimbi che giocano a rincorrersi e le donne che puliscono erbe e chicchi di riso sulle soglie delle case, spostandosi verso nord si entra nella parte ormai abbandonata dell’agglomerato, le abitazioni sono in gran parte crollate, il  paese è come sommerso dagli accumuli dei detriti, sembra che ci sia stato un terremoto. I portoni di legno di palma con grandi chiodi fatti a mano, così come le pitture colorate che si vedono dentro i ruderi e le tante nicchie che spuntano delle sezioni di pareti sopravissute, raccontano di un’architettura pregevole, è un continuo scoprire anfratti silenziosi che regalano sorprese, ora vecchi arredi, ora utensili; c’è silenzio assoluto e luce filtrante, sembra quasi un’esplorazione sottomarina. Camminando avvolti dentro i colori belli del tramonto che esaltano il rosso dei mattoni, ritoviamo un carrugio abitato, i bimbi giocano nella polvere dorata del vicolo, mentre gli anziani seduti a cerchio conversano sorseggiando the, accompagnando con gesti ampi e lenti le poche frasi scandite con enfasi, si respira la cultura del deserto in questi vicoli, dove le donne anziane sono vestite di blu e se ne stanno sulla via sedute sulla soglia della porta delle loro case seminiterrate controllando ogni movimento. Camminando nel dedalo di viuzze ci troviamo in un cortile dove una mamma giovanissima sta coccolando il suo neonato, è sorpresa da noi e forse anche un po’ impaurita e disturbata, ma la voglia di mostrarci il neonato è più forte di tutto il resto e il suo sorriso candido e orgoglioso è l’essenza della bellezza. Girato l’angolo mi ritrovo fra bimbi eleganti e flessuosi, hanno la pelle scura e i lineamenti tipicamente africani e in tanti inaspettatamente hanno gli occhi chiari, qui in Africa capita spesso che gli agglomerati siano divisi per etnie e probabilmente in questa zona semiabbandonata di Mut vi si è installata una piccola comunità proveniente da Sud, contrariamente a quello che tanti pensano il razzismo qui è molto forte e difficilmente ci si sposa fra etnie diverse. Il rumore di una ruspa ci fa capire che anche Mut antica ha i giorni contati, le vecchie case dalle forme morbide costruite con terra e fango vengono sostituite da cubi di cemento armato, qui non esiste niente di anche lontanamente simile ad un piano regolatore, quando uno ha un terreno e i soldi può costruire, senza nessun vincolo reale. La  cittadella fortificata, per secoli il cuore di Mut, costruita dalla gente dell’oasi per proteggersi dalle incursioni dei beduini e che fu ulteriormente fortificata alla fine del IXX secolo per difendere la comunità locale dai temutissimi Mahdisti provenienti dal Sudan, sta per scomparire per sempre. Mentre cala la sera i chiaroscuri rendono ancora più impietoso il paragone fra la morbidezza delle forme sinuose e sempre diverse delle vecchie case, con i moderni cubi di cemento tristi e senza poesia, oltre che soffocanti contenitori di calore, che poi necessitano di un geometrico  condizionatore per riuscire a respirarci dentro e poter guardare senza soffocare l’indispensabile cubo della televisione. Questo progresso cesso che avanza monotono e meccanico in tutti i luoghi macinando memoria, coscienza e bellezza, non può avere vita lunga, se lo osservi bene è poca cosa, è un enorme tubo digerente senza cervello che tra poco ingoierà anche se stesso, è stupido e presuntuoso prende vigore dal non pensare della gente, ma questo incantesimo come tutti i malefici prima o poi svanirà e si portera via anche il “vermocane capitale”.
In serata mi ritrovo con Michelangelo su Skype, sento anche Jader e gli racconto un po’ dell’Africa.