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Esco di casa con l’idea di andare su internet perché la sera c’è troppo traffico e la rete si paralizza, ma la giornata è bellissima e mi ritrovo a camminare fra le dune fuori paese mi colpisce una strana costruzione isolata fra il deserto e il mare: è un cubo con una cupola sopra tutto bianco, ha un apertura senza porta, sembra la tomba di un marabutto (santo) ma non lo è. Intorno c’è un pozzo secco e i resti di qualcosa ma non capisco cosa. Camminando fra le dune raggiungo la spiaggia dove i ragazzi di Tarfaya si divertono a surfare le onde e qui incontro un personaggio speciale, Salek il pescatore, mi fa un po’ di domande è curioso parla fitto in francese misto allo spagnolo con cadenza araba, mi fa vedere una lettera spiegandomi che lui legge e scrive arabo, inglese, spagnolo e francese. È una lettera speciale trovata otto anni fa dentro una bottiglia di vetro sulla spiaggia di Tarfaya, l’ha scritta uno spagnolo che allora aveva quarantotto anni in un momento di disperazione, era appena morta sua moglie. Salek gli ha risposto e da lì è nata un amicizia, prima epistolare poi vera, lo spagnolo viene tutti gli anni qui e lui è stato suo ospite in Spagna, mi fa veder anche l’ultima lettera, “è veritad tuta veridat”. Dice che sta andando alla baracca a limpiar gli rete. Gli chiedo se lo possiamo accompagnare, è sorpreso ma contento della richiesta e ci avverte che sono otto chilometri per andare e otto per tornare e che bisogna essere molto allenati come lui che fa questo tutti i giorni. Iniziamo questo cammino lungo la spiaggia, Salek ci tiene a precisare che lui non è un marocchino ma un Saharawi, un uomo del deserto, i marocchini pensano solo ai soldi e chiedono sempre, sanno solo prendere ma non sanno vivere nel Sahara. Gli chiedo della bianca cupola e mi spiega che è un monumento in memoria di Antoine de Saint –Exupery che precipitò proprio lì. Grazie a lui riesco a vedere il piccolo aeroporto fra le dune che prima avevo attraversato senza vederlo. Quelle che sembrano baracche dei pescatori sono in realtà postazioni della gendarmeria che vigilano lungo la costa contro l’immigrazione dei clandestini verso la Spagna che arrivano soprattutto dal Mali, dalla Mauritania e dalla Nigeria. Sono senza divisa, vestiti come pescatori, ma si riconoscono dalle impronte degli anfibi. In realtà i militari non hanno molto da fare e alcuni hanno messo una rete per pescare. Salek ha una passione per le impronte: le sue, le mie di prima, quelle di un amico, quelle dei militari, le bici, le auto, ieri, oggi, stamani, due giorni fa… “i Saharawi guardano sempre le impronte” dice. Si cammina e si parla. Salek controlla tutto quello che porta il mare. Arriviamo alla famosa e decantata capanna. In realtà Salek non ha da fare niente, le sue reti sono in terra. A lui piace camminare sul mare, pensare e parlare con la gente che incontra. Mi ricorda un vecchio cacciatore isolano che mi confidò che a lui della caccia non gliene fregava niente, ma per anda in giro pe i monti senza esse preso per matto prese il porto d’armi. La capanna è un mirabile esempio di riciclo. È costruita interamente con materiale di recupero con estrema cura, le pareti sono di tavole coibentate all’interno con cartoni e plastica per non fare entrare il vento; fra i chiodi e il rivestimento ci sono delle guarnizioni fatte con plastica più doppia. Ci offre di dormire nella sua reggia sul mare, sono tentato ma declino l’invito. La zona di Dakhla mi attira molto, questa notte o domattina voglio partire. Capisco a cosa serviva il carbone, a cuocere il thè, perché il vero thè si cuoce sul carbone non con il gas come fanno i marocchini. È arrivato un altro pescatore, siamo in quattro. Salek ha un panino e una sardina, prepara quattro parti, la sua è la più piccola e si fa merenda, bevendo un thè eccelente. Parla come un profeta, i poveri vivono meglio dei ricchi e qui si sta meglio che in Europa e lui l‘ha vista, è un posto dove se non lavori muori di fame, qui qualcuno ti aiuta sempre. Le città sono tutte pericolose e la gente diventa cattiva perché non parla con il vento e con il mare, e lui le persone le giudica dagli occhi, dal sorriso e dalle mani, non gli interessa se uno è ricco o povero, se cristiano o mussulmano e mi esorta a diffidare di quelli che pregano troppo. Spiega che lui ha sempre voluto pescare con la rete fissa perché vuole pescare per mangiare e i pescatori con le barche devono pescare per la barca, per la benzina e poi per loro. Dice tante cose ma è soprattutto la coerenza fra le parole e lo stile di vita che rendono questi momenti intensi. Si riparte per accompagnare un giovane pescatore al controllo della sua rete. Con una muta rattoppata, un sacco e un legno va a controllare le reti che partono dalla riva. Camminando fra le grandi onde dell’oceano dopo mezzora di controllo il bottino: un sarago che regala a Salek. Rientriamo a Tarfaya che è notte. Il bus della notte è completo, si parte domattina alla 5. |
© 2024 Elba e Umberto
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