Zaouia Sidi Abdallah Bumakhlouf
Basilica
Antica Tor?
la piena del Mellegue
la Tavola di Giugurta
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L'alluvione nel deserto Fa freddo, dopo qualche mese in ciabatte mi rinfilo le 8850, sono quelle nuove consegnatemi da Jader a luglio. Andiamo nel centro di Le Kef per respirare l’aria di questa giornata di festa, El Haid chiamata anche la piccola festa (Haid as Sagheer) che ormai è l’argomento principale da una decina di giorni, nella via principale ci sono un po’ di ragazzi mascherati stile carnevale che ballano intorno ad un altoparlante e tanti piccoli banchini di chicci e balocchi. È una festa tranquilla, da famiglie, di quelle stile natale, in cui i parenti si riuniscono per il gran pranzo di fine digiuno scambiandosi i dolci tradizionali a base di miele e datteri, già si parla della grande festa che ci sarà fra settanta giorni l’Haid el Adha dove ogni famiglia macellerà un montone. È la festa dei bimbi e soprattutto delle bimbe che girano per il paese inghingate come piccole spose, spesso accompagnate dal babbo, pavoneggiandosi, è dissonante la vistosa eleganza delle bimbe con lo stile dimesso e sempre nell’ombra delle donne. La strada sale ripida fra le case bianche fino alla Basilica, un edificio costruito in epoca romana e poi trasformato in chiesa dai bizantini, prima di diventare moschea con l’avvento dell’islam, oggi questo edificio è sconsacrato ed è stato restaurato cercando di riportarlo alle sue origini architettoniche, è adibito a museo ma per la gente è ancora la Grand Mosqué. Poi salendo gli scalini bianchi raggiungiamo la bella Zaouia di Sidi Abdallah Bumakhlouf il santo patrono della città, è un posto bello, armonico e rilassante, ombreggiato dal verde degli alberi lucente per la pioggia, è un edificio elegante con tre cupole bianche e porte verdi. Saliamo ancora fino ad arrivare alla grande fortezza della Kasbah costruita sulla roccia a strapiombo che la rende ancora più imponente. Questo è da sempre il punto strategicamente più importante del Tell e ancora oggi all’interno c’è una base dell’esercito tunisino. Davanti all’ingresso c’è il guardiano in attesa, oltre il portone fra lapidi e statue di varie epoche, fanno bella mostra una serie di vecchi cannoni circondati da fiori gialli, da qui un altro portone ci invita al livello superiore dove ci sono due forti costruiti nel milleseicento dagli arabi che riportano evidenti le tracce dei francesi nelle strutture difensive e negli alloggi. Dalle feritoie dei bastioni alti si ha una vista bellissima sulla città vecchia che ingloba gli scavi romani dove spiccano le colonne delle terme e sul grande altopiano. Accompagnati da bimbi che fanno festa entriamo nella parte alta della medina dove troviamo un'altra Zaouia, una scuola sufi fondata dal maestro Sufi Sidi Ali Ben Aissa che oggi in parte è trasformata in museo. E’ uscito un sole caldo che si sposa bene con il vento fresco, davanti al “Sufi center” c’è una piazza alberata con un cafè stile bar da mario prima maniera, con il pavimento ricoperto di mozziconi di sigarette, dove si radunano gli uomini a fumare e a giocare a carte, mentre in piazza i ragazzini scoppiano i petardi. Saliamo ancora e usciamo dalle mura della medina, davanti a noi un grande bastione di roccia, è una collina di pietra gialla con tante piante di capperi e grotte belle usate come stalle, nella forma e nei colori ricorda Forte Focardo. Una scala scalpellata nella roccia ci porta sopra una grande piattaforma con “la periferia alta” un agglomerato di case abbaraccate e tanta spazzatura, peccato per lo sporco perché il posto è molto bello, con la montagna ricoperta di pini in alto e le cave in basso. Scendiamo da un viottolino ripido che ci riporta alle mura. Camminando fra i vicoli del vecchio quartiere Ebraico troviamo all’interno di un piccolo cortile la Sinagoga che è aperta. Qui per secoli ha vissuto una numerosa comunità giudaica, oggi non esiste più, ma c’è una famiglia che vive qui a fianco che custodisce l’edificio e il suo tesoro: tre rotoli delle Torà scritti mano molto antichi che emanano un gran fascino, oltre alle sacre scritture c’è una mostra di foto incartapecorite che raccontano gli ultimi decenni degli ebrei di Le Kef. Le Kef è bianca e le porte delle case sono celesti, in diversi scorci ricorda Ponza. Quando si riparte mezza giornata se n’é già andata, lungo la via facciamo una sosta in un marabutto circondato da olivi secolari, più avanti tende militari, filo spinato e cartelli di pericolo però non si vede nessuno, chiedo informazioni a un pastore che mi dice che si tratta di un campo di addestramento militare. Le montagne algerine sullo sfondo sono molto belle e si perdono in lontananza in un orizzonte di nuvole di tempesta, iniziamo la discesa per raggiungere l’hamman Mellegue circondati da colline multicolori dominate dal rosso degli ossidi di ferro. Nella notte la pioggia ha scavato il fondo della strada ma si riesce ancora a passare, arrivati in fondo andiamo a vedere il fiume che rispetto a ieri sera è almeno un metro più alto e poi andiamo alle terme romane. A pochi metri c’è una casina dove vive una famiglia che usa l’hamman come bagno ma permette a chi vuole di usufruirne, la signora ci consegna la chiave da cantina e andiamo. Dall’esterno è poco più di un insieme di ruderi ma scendendo è sorprendentemente bello, si scendono due rampe di scale e ci si trova dentro il calidarium, una grande stanza scavata nella roccia con una piscina che emana vapori, sulla volta un lucernaio che illumina la stanza con una lama di luce, è un posto fuori dal tempo. La vasca è alimentata da una sorgente di acqua calda e salata che si trova a poca distanza, sul pavimento ci sono dei fori chiusi con dei cenci che vengono levati per svuotare la vasca e il livello è regolato da un’apertura di troppo pieno che manda l’acqua nel Mellegue. Si sta proprio bene ammollo in quest’acqua calda e salata, il caldo abbiocca e ci vuole uno sforzo di volontà per uscire, la sensazione di privilegio è grande, dentro un calidarium di duemila anni fa in perfetta efficienza e dentro ci siamo solo noi, gironzolando mi rendo conto che è più grande di quello che sembrava, c’è un’altra vasca ancora più grande che è quella destinata alle donne. Pensando alla strada che stanno costruendo ho la sensazione che anche qui siamo arrivati appena in tempo, è un posto di eccezionale bellezza che si è salvato perché arrivarci è complicato, ma se entra nel circuito turistico è la fine, magari ci faranno anche il foro e il colosseo, ma questa magia sparirà per sempre. Scambio qualche impressione con il ragazzo che abita qui, lui spera nei turisti e negli investimenti che promettono ricchezza, magari gli faranno fare anche il guardiano o il giardiniere e avrà una casa con la doccia, ma dubito che potrà ancora andare a suo piacimento nell’hamman degli ancien roman. Il fiume è sempre più gonfio, un salto a vedere le spettacolari rocce colorate che sembrano clonate dalla miniera di Rio Albano e poi si riparte anche perché ha ricominciato a piovere, i signori delle terme ci invitano a rimanere per un giorno, decliniamo ma sono contento perché ritorniamo a trovare l’ospitalità berbera. Andiamo verso Sud scendendo praticamente paralleli al confine Algerino, il paesaggio è da campagna maremmana e il clima da autunno europeo, arriviamo a Tajerouine un paesone di frontiera pieno di caserme militari e famoso per il contrabbando con l’Algeria, come tutti i centri anche questo è ricco di reperti romani, un piccolo cartello indica a sinistra la Tavola di Giugurta la famosa montagna fortezza dove si racconta che Giugurta, l‘ultimo re unico Numida avesse la sua roccaforte inespugnabile. Giugurta era un eccellente guerriero e riunificò il regno Numida che i Romani alla morte di Massinissa avevano diviso in tre regni assegnati formalmente ai figli di Massinissa. Questa nuova situazione politica non stava bene ai Romani che presero a pretesto l’uccisione di alcuni ricchi mercanti capitolini per attaccare il regno Numida, Giugurta resistette per sette anni dal 112 al 105 avanti cristo e fu sconfitto solo perché tradito da Bocco I re della Mauretania e suo suocero. Si sale in direzione di Kalaat es – Senan, la Tavola dovrebbe essere davanti a noi ma la nebbia nasconde tutto, la vediamo quando ci siamo sotto, è una montagna con la sommità piatta, un’enorme fortezza naturale che incute rispetto e saperla roccaforte dei guerrieri numidi, per i legionari di Roma non doveva essere piacevole. La strada finisce al minuscolo villaggio di Ain Senan, la macchina viene assaltata da un gruppo di bimbi sovraeccitati che chiedono soldi e bon bon, segno evidente che qui è arrivato il turismo di quelli che scendono dal fuoristrada, fanno la foto, regalano dinari e bob bon e via, chissà cosa sarebbe successo se fossimo arrivati con il mulo, probabilmente saremmo stati accolti e invitati a prendere un the. Il turismo sarebbe una grande risorsa per queste terre povere ma questo sistema di turismo è schifoso e porta solo illusione di ricchezza e toglie la dignità, questi bimbi per correre dietro ai regali, magari anche ingenui, dei turisti, senza accorgersene anzi giocando perdono il loro orgoglio, valore indispensabile per vivere in terre così dure, incrocio lo sguardo di un anziano del villaggio e ci leggo il mio stesso pensiero. Nel frattempo inizia a piovere forte e non si può salire in vetta, decido di tornare indietro con l’idea di ritornare per salire in cima alla Tavola di Giugurta. Da Kalat es-Senan prendo una stradina sterrata, ma dopo pochi chilometri le buche e il fango ma soprattutto il fronte temporalesco che si sta avvicinando mi fanno sciegliere di tornare indietro verso Tajerine. Nonostante la pioggia e il fango si incontrano tante persone a piedi e in bicicletta che imperturbabili si spostano da un villaggio all’altro. Piove sempre di più, ci fermiamo su un ponte per vedere un oued che si sta mangiando le sponde, ancora lampi. Ci passa davanti un gruppo di cinghiali crinierati con una quindicina di piccoli che sembrano essere usciti da un mosaico antico. L’idea è quella di arrivare a Tozeur, passiamo da Kasserine, il centro più grande della zona, senza fermarci mentre tutt’intorno si sta scatenando un delirio di fulmini, con il buio i fuochi d’artificio sono ancora più belli, arrivano dei lampi che accecano e viene un’acqua come le funi, i lampi illuminano una campagna che sembra un lago che si vuole mangiare la strada, a un certo punto non vedo più niente ma l’unica cosa da fare è proseguire fino a Feriana il prossimo paese. L’arrivo è apocalittico con il fiume in piena a fianco della strada che minaccia di straripare, le vie del paese sono dei fiumi che portano giù di tutto, naturalmente l’energia elettrica è saltata. Dietro ho il fiume che minaccia di straripare, davanti una depressione che sta diventando un lago poi la strada risale, non c’è molto da scegliere vado e va bene, parcheggio e aspetto con l’acqua che scorre sotto la vettura. Dopo dieci minuti ha praticamente smesso di piovere, lo spettacolo della piena è poderoso, mi vengono in mente i consigli dei pastori che incontravo sull’Atlas che mi raccomandavano sempre prudenza quando passavo nei letti secchi degli oued, ora ho capito il pericolo. Qui la gente prende tutto senza scomporsi minimamente, osserva tutto con apparente distacco, è tutto inschallah e amdullah, di prim’acchito sembrano tutti un po’ tordi, ma con una natura così violenta essere fatalisti è qualcosa di simile alla sopravvivenza. Leggo la carta stradale, per arrivare a Gafsa bisogna passare il fiume che si chiama El Kebir che in arabo vuol dire Il Grande, il che vuol dire che è meglio non andare troppo avanti, ma la curiosità è tanta avanzo un po’ incontrando fango tronchi e pozze, si capisce che l’acqua è già calata rispetto alla piena di qualche minuto fa. In lontananza si vedono tante luci, mi dicono che si tratta della “Steg” sembra una base spaziale, probabilmente è un’industria o qualcosa del genere, chiedo se la strada per Gafsa è percorribile, ma nessuno lo sa, comunque la strada diventa sempre più impraticabile e decido di tornare indietro. A Feriana incontro un tassista che parla italiano è appena arrivato dalla strada di Kasserine mi conferma che verso Tozeur è impossibile andare e che El- Kebir è straripato e ci sono stati forse dei morti, però la strada per Kasserine è praticabile. Di dormire a fianco del fiume non mi va, così si torna a Kasserine. Tornando indietro mi rendo conto di quanta acqua c’era prima, ora la strada è alta sulla campagna mentre prima l’acqua sembrava inghiottire tutto, anche Kasserine ha subito una bella lavata e il fango ha invaso le strade, anche questa è una città di frontiera e quindi è piena di caserme e di militari, ci fermiamo a mangiare un panino insieme ai tanti soldati in libera uscita che quando li vedi senza divisa e senza fucili sono dei ragazzini timidi e sbarbati, fissati coi telefonini e i vestiti alla moda. Anche qui trovo un internet e dal web arrivano notizie di tanti morti per il maltempo soprattutto in Algeria, come sempre è Roberto che da La Bonalaccia mi da le dritte per collegarmi sui siti giusti. Ormai sono circa le due, sarà per l’elettricità dei temporali ma non ho sonno e allora decido di guidare ancora un po’ fino a Sbeitla così domattina presto andiamo a vedere i resti dell’antica città di cui ho letto meraviglie. Anche qui la strada è allagata ma comunque riesco ad arrivare e parcheggio davanti agli scavi del sito.
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